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Liquidazione giudiziale: impegno del socio insufficiente

Il Tribunale di Trento dichiara la liquidazione giudiziale di una società in stato di insolvenza, accertata da un C.T.U. per oltre 1,4 milioni di euro. La corte ha ritenuto irrilevante sia il trasferimento della sede legale avvenuto dopo la domanda, sia l’impegno del socio a finanziare la società, poiché non elimina lo stato di insolvenza e non rientra negli strumenti alternativi di soluzione della crisi previsti dalla legge.

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Liquidazione giudiziale: l’impegno del socio a ripianare i debiti non basta a salvarla

Una recente sentenza del Tribunale di Trento ha chiarito un punto cruciale nel diritto fallimentare: la promessa di un socio di coprire le perdite non è sufficiente a evitare la liquidazione giudiziale se la società si trova in un conclamato stato di insolvenza. Questo provvedimento offre spunti fondamentali sulla valutazione dello stato di crisi e sui limiti degli interventi interni alla società per risolverla.

I Fatti del Caso

Il caso nasce dal ricorso del Pubblico Ministero, che chiedeva l’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti di una società. Durante il procedimento, emergevano diversi elementi chiave:

1. Trasferimento della sede: La società aveva trasferito la propria sede legale dalla provincia di Trento a quella di Padova dopo il deposito del ricorso. Il Tribunale di Trento ha però confermato la propria competenza, in base al principio di irrilevanza dei trasferimenti di sede avvenuti dopo l’inizio della procedura.
2. Stato di insolvenza accertato: Un Consulente Tecnico d’Ufficio (C.T.U.) nominato dal giudice ha condotto un’analisi approfondita, concludendo che la società versava in “una situazione di squilibrio patrimoniale per l’importo di euro 1.452.247,00”. In pratica, la liquidazione dell’attivo non sarebbe stata in grado di coprire tutte le passività.
3. L’impegno del socio: A fronte di questo dissesto, il socio unico e liquidatore della società si era impegnato, anche tramite una lettera della società controllante, a finanziare l’impresa per un importo di 1.500.000,00 euro per ripianare il dissesto.

Tuttavia, il Tribunale ha ritenuto questo impegno ininfluente ai fini della decisione.

Lo stato di insolvenza come presupposto della liquidazione giudiziale

Il cuore della decisione ruota attorno alla nozione di insolvenza. La consulenza tecnica ha dimostrato in modo inequivocabile che l’impresa non era più in grado di far fronte ai propri debiti. Questo stato di deficit patrimoniale grave è stato considerato dal Tribunale come la prova manifesta dell’insolvenza, presupposto oggettivo per l’apertura della liquidazione giudiziale.

Inoltre, l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati superava la soglia di trentamila euro prevista dall’art. 49 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (c.c.i.i.), rafforzando ulteriormente la necessità dell’intervento giudiziale.

Le Motivazioni della Decisione

Il Tribunale ha fondato la sua decisione su alcuni principi giuridici molto chiari. In primo luogo, ha stabilito che la promessa di un futuro apporto finanziario da parte del socio, per quanto cospicuo, non elimina l’attuale stato di insolvenza. La società, al momento della decisione, era oggettivamente incapace di pagare i suoi creditori con i propri mezzi.

L’impegno del socio, secondo i giudici, non costituisce uno strumento di risoluzione della crisi riconosciuto dalla legge. La sentenza sottolinea che la pronuncia di liquidazione giudiziale può essere evitata “solamente accedendo agli strumenti alternativi di soluzione della crisi o dell’insolvenza previsti dal c.c.i.i.” (come il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione dei debiti), cosa che la società non aveva fatto.

Di conseguenza, l’esistenza di un grave e non contestato deficit patrimoniale, unita al superamento delle soglie di debito previste dalla legge, ha reso inevitabile l’apertura della procedura concorsuale.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

La sentenza del Tribunale di Trento ha importanti implicazioni per le imprese in crisi. Essa ribadisce che per evitare la liquidazione giudiziale non sono sufficienti promesse o impegni futuri, anche se formalizzati. È necessario che l’impresa dimostri di aver superato lo stato di insolvenza o, in alternativa, attivi uno degli strumenti formali previsti dalla legge per la gestione della crisi.

Per amministratori e soci, questo significa che di fronte a segnali di crisi conclamata, l’unica via percorribile è quella di agire tempestivamente attraverso le procedure normate, che offrono un quadro di tutele sia per l’impresa che per i creditori. L’intervento del socio può essere un elemento all’interno di un piano di risanamento strutturato, ma non può, da solo, sostituirlo e bloccare la legittima richiesta di apertura della liquidazione da parte dei creditori o del Pubblico Ministero.

Il trasferimento della sede legale di una società dopo la richiesta di liquidazione giudiziale sposta la competenza del Tribunale?
No, la sentenza conferma che, ai sensi dell’art. 28 del Codice della Crisi d’Impresa, i trasferimenti della sede legale avvenuti nell’anno prima del deposito della domanda, o a maggior ragione dopo, sono irrilevanti per determinare la competenza territoriale, che resta radicata presso il tribunale della sede originaria.

L’impegno di un socio a ripianare i debiti può evitare la dichiarazione di liquidazione giudiziale?
No. Secondo questa decisione, un tale impegno non assume rilevanza finché la situazione di dissesto patrimoniale (insolvenza) perdura. La dichiarazione di liquidazione può essere evitata solo utilizzando gli strumenti alternativi di soluzione della crisi previsti dalla legge, non con promesse di futuri apporti finanziari.

Quali sono i presupposti che hanno portato alla dichiarazione di liquidazione giudiziale in questo caso?
I presupposti principali sono stati due: 1) l’accertamento di uno stato di insolvenza, manifestato da un grave squilibrio patrimoniale di oltre 1,4 milioni di euro, che rendeva l’attivo insufficiente a soddisfare i debiti; 2) il superamento della soglia di legge di 30.000 euro per debiti scaduti e non pagati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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