Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20079 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20079 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19396/2022 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che l a rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di MILANO n. 3210/2022 depositata il 12/04/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/04/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Giudice di pace di Milano, con la sentenza numero 3688/2020 ha accertato l’inadempimento contrattuale di RAGIONE_SOCIALE al contratto di somministrazione di servizi di telefonia stipulato con l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE rigettando la domanda risarcitoria per difetto di prova del danno subito dalla parte attrice.
Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 3210 del 12 aprile 2022, ha confermato la sentenza impugnata. Rigettando gli appelli.
Avverso la suindicata pronunzia del giudice dell’appello il sig. NOME COGNOME, già titolare dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, propone ora ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi illustrati da memoria.
3.1. La società RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4.1 Con il primo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.).
Si duole che il Tribunale di Milano, nel respingere la domanda risarcitoria per mancanza di prova dell’esistenza dei lamentati danni e del nesso eziologico, malgrado l’esame del libro fatture 2015, sia incorso nel vizio di ultrapetizione, avendo l’appellante improntato tutta la difesa sull’errore commesso dal primo giudice per non aver visto che tale libro era in atti, per cui il secondo giudice si sarebbe dovuto arrestare a tale evidenza.
4.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 2059, 2697 c.c. e 112 e 155, comma 1, c.p.c., in punto di prova del danno (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
Si duole che il giudice del gravame abbia erroneamente ritenuto carente la domanda risarcitoria, viceversa supportata dai documenti in atti che dimostravano la compressione dei guadagni dell’appellante e, comunque, tale domanda sarebbe suffragata dalla prova testimoniale non ammessa nei due gradi di giudizio.
4.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1223, 2059, 2697 c.c. e 112 e 115, comma 1, c.p.c., questa volta in punto di nesso causale (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
Si duole che il giudice del gravame non abbia ritenuto provata la relazione eziologica tra inadempimento e danno, viceversa documentalmente provata.
Lamenta la carenza di motivazione sulla mancata assunzione delle prove orali.
4.4. Con il quarto motivo denunzia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1226 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Si duole che il giudice del gravame non abbia liquidato, in via equitativa, il danno, ritenendolo erroneamente insussistente, laddove le prove in atti dimostrano il contrario; in ogni caso, la perdita del guadagno da attività commerciale, non è dimostrabile nel suo preciso ammontare, dovendo essere equitativamente valutata ex art. 1226 c.c.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Non è configurabile, infatti, la violazione di cui all’art. 112 c.p.c. perché, secondo orientamento di questa Corte, l’interpretazione e la qualificazione della domanda spetta al solo giudice del merito che non incorre in un vizio procedurale quando, rimanendo nell’ambito del contenuto sostanziale della pretesa azionata, decide sulla base di considerazioni giuridiche diverse da quelle prospettate. E questo perché, va riconosciuto al giudice del gravame ¬ -che esercita funzioni di merito al pari del giudice di
primo grado -il potere di dare, ancora entro i limiti del devolutum , un diverso fondamento al dispositivo contenuto nella sentenza impugnata. In tale contesto, quindi, non può parlarsi di mancato rispetto del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato quando il giudice d’appello conferma la decisione impugnata sulla base di ragioni diverse da quelle adottate dal giudice di primo grado o formulate dalle parti, mettendo in rilievo nella motivazione elementi di fatto risultanti dagli atti, ma non considerati o non espressamente menzionati dallo stesso primo giudice (v. Cass. civ., Sez. II, Ord., 5 gennaio 2024, n. 371; Cass. civ., Sez. III, Ord., 29 dicembre 2023, n. 36375; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 14 novembre 2023, n. 31630; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 11 luglio 2022, n. 21865).
È quel che è accaduto nel caso in esame, avendo il Tribunale di Milano (v. pp. 34 sentenza impugnata n. 3210/2022), all’esito della valutazione del complessivo materiale probatorio in atti, ivi incluso, il libro fatture 2015, respinto -rientrando nei suoi poteri di scrutinio l’accertamento dei fatti, a prescindere dalla decisione di primo grado -la domanda risarcitoria del COGNOME, non ritenendola sufficientemente provata, motivando tale decisione in modo coerente, logico e non contraddittorio, nel pieno rispetto del c.d. minimo costituzionale (cfr. principio sancito da Cass. civ., SS.UU., 7 aprile 2014, n. 8053).
5.1. Il secondo e il terzo motivo di ricorso, inerendo tutti e due il tema della prova, sotto profili sia pure giuridicamente diversi, ma tra loro strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente, ma non conducono alla riforma della sentenza impugnata, in quanto inammissibili per più ragioni.
Innanzitutto, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., avendo il ricorrente denunciato vizi di legge solo indicando nella rubrica le norme asseritamente violate, quando invece, secondo consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità,
avrebbe dovuto esaminarne il contenuto precettivo confrontandolo con le statuizioni contenute nella sentenza impugnata (cfr. ex plurimis Cass. civ., Sez. III, Ord., 5 ottobre 2023, n. 28120; Cass., Sez. II, Ord., 4 agosto 2023, n. 23816; Cass., Sez. II, Ord., 24 luglio 2023, n. 22052; Cass., Sez. III, Ord., 21 luglio 2023, n. 21998).
E poi perché le censure, dietro l’apparente deduzione di vizi di violazione o falsa applicazione di legge, sollecitano in realtà una rivalutazione dei fatti posti a fondamento dell’azione al fine di ottenere un accertamento diverso da quello operato dal giudice del merito, a cui è però riservato, così da non potersi ricondurre la censura nell’alveo di un errore di sussunzione, postulando che detto accertamento rimanga incontroverso (cfr. tra le tante, Cass. civ., Sez. lav., Ord., 12 marzo 2024, n. 6465; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 16 gennaio 2024, n. 1722; Cass. civ., Sez. V, Ord., 3 luglio 2023, n. 18730; Cass. civ., Sez. III, Ord., 10 febbraio 2023, n. 4247).
Nel caso di specie, le doglianze del COGNOME si risolvono in una inammissibile critica all’apprezzamento della quaestio facti effettuata dal Tribunale, come tale qui insindacabile, se non sotto il profilo del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c., non veicolato dal ricorrente.
5.2. Il quarto motivo di ricorso è infondato.
Trova infatti applicazione il principio ribadito da questa Corte, anche di recente, secondo cui in mancanza di prova dell’ an del danno la liquidazione equitativa è preclusa, essendo consentita solo allorquando sia obiettivamente impossibile o particolarmente difficile dimostrare il preciso ammontare del danno, di cui sia però provata con certezza la sussistenza (v. tra le tante, Cass. civ., Sez. I, 7 marzo 2024, n. 6116; Cass. civ., Sez. II, 11 ottobre 2022, n. 29621; Cass. civ., Sez. III, 2 luglio 2021, n. NUMERO_DOCUMENTO).
La ratio è da ricercarsi nel fatto che il potere di liquidare il danno in via equitativa ha natura discrezionale ed è conferito al giudice dall’art. 1226 c.c., il quale ‘dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, che, pertanto, da un lato è subordinato alla condizione che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare, dall’altro non ricomprende anche l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno. Né un tale giudizio di diritto esonera la parte stessa dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre, affinché l’apprezzamento equitativo sia per quanto possibile, ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell’iter della determinazione dell’equivalente pecuniario del danno’ (così, tra le tante, Cass. civ., Sez. III, Ord., 1° marzo 2024, n. 5601; Cass. civ., Sez. III, Ord., 4 dicembre 2023, n. 33863; Cass. civ., Sez. III, Ord., 24 agosto 2023, n. 25230; Cass. civ., Sez. I, Ord., 3 luglio 2023, n. 18722).
Nella fattispecie, come rilevato dal Tribunale, con motivazione adeguata e conforme alla giurisprudenza appena richiamata, la liquidazione equativa del preteso danno non poteva essere disposta, non essendo stata fornita dall’appellante la prova dell’esistenza del lamentato danno.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo a favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 1.600,00, di cui euro 1.400,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza