Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1216 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1216 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 15185/2020 r.g. proposto da:
NOME Geom. COGNOME, rappresentato e difeso, congiuntamente e disgiuntamente, dall’Avv. NOME COGNOME dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv . NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso, il quale dichiara di voler ricevere
le comunicazioni e le notificazioni all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
– controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna n. 1284/2020 depositata in data 18/5/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9/1/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
La Città Metropolitana di Bologna, quale stazione appaltante, affidava nel 2008 all’ATI, di cui era società mandataria la RAGIONE_SOCIALE, i lavori relativi al liceo INDIRIZZO di Bologna.
La società RAGIONE_SOCIALE con contratto del 16/3/2009 affidava in subappalto alla impresa RAGIONE_SOCIALE i lavori per la realizzazione del pavimento in battuto alla veneziana, comprese levigatura e lucidatura, per l’importo complessivo di euro 44.922,00.
Il contratto di subappalto veniva autorizzato dalla stazione committente con atto del 4/5/2009.
I lavori di subappalto dovevano essere ultimati entro il 15/6/2009, mentre la lucidatura e la levigatura dovevano essere terminate entro il 30/9/2009, con successive proroghe.
L’impresa COGNOME realizzava e consegnava la pavimentazione fin dal 2009, pur non procedendo ai lavori di levigatura e lucidatura.
L’impresa emetteva fattura n. 56 del 12/8/2009.
RAGIONE_SOCIALE procedeva al parziale pagamento con assegno bancario del 13/4/2010 per la somma di euro 31.362,65, residuando la somma di euro 13.560,00.
L’impresa COGNOME chiedeva emettersi decreto ingiuntivo per la somma di euro 13.560,00. Il tribunale di Modena provvedeva con decreto ingiuntivo del 4/6/2015.
Avverso il decreto ingiuntivo proponeva opposizione la società RAGIONE_SOCIALE chiedendo in via riconvenzionale: la somma di euro 3560,10, per i corrispettivi necessari per il sollevamento del materiale; la restituzione della somma di euro 8144,65 per lavori mai eseguiti e la somma di euro 22.847,00 come da penale applicata dalla stazione appaltante.
Nelle more, subentrava quale società mandataria dell’RAGIONE_SOCIALE la RAGIONE_SOCIALE che stipulava altro contratto per la realizzazione di un pavimento in cotto, in data 1/7/2011.
Inoltre, si prevedeva anche il trattamento di lucidatura manuale ad olio per la pavimentazione.
Il tribunale revocava il decreto ingiuntivo opposto e rigettava le domande riconvenzionali, condannando la società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione al pagamento delle spese di lite.
Avverso tale sentenza proponeva impugnazione la RAGIONE_SOCIALE limitatamente al rigetto delle domande riconvenzionali, chiedendone l’accoglimento sul presupposto che il contratto dell’1/7/2011, stipulato tra l’impresa RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE non era stato sottoscritto dalla RAGIONE_SOCIALE. Nell’ambito di tale contratto, infatti, nella premessa «si dichiarava che RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE si davano reciprocamente atto di non avere più nulla a pretendere in relazione al contratto da loro concluso».
La Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 1284/2020, depositata il 18/5/2020, accoglieva parzialmente l’appello presentato da RAGIONE_SOCIALE
La Corte di merito rilevava che l’appellante RAGIONE_SOCIALE non aveva sottoscritto il contratto dell’1/7/2011, in quanto il contratto del
16/3/2009, tra RAGIONE_SOCIALE e impresa RAGIONE_SOCIALE era stato citato solo nella premessa.
In realtà, effettivamente nella premessa del contratto del 1/7/2011 si dava atto che tale negozio giuridico annullava e sostituiva il precedente contratto del 16/3/2009, sicché RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE dichiaravano di non avere alcuna altra pretesa.
Tuttavia, non era «corretto affermare che RAGIONE_SOCIALE sia intervenuta nell’accordo del 1 luglio 2011», non avendo RAGIONE_SOCIALE sottoscritto tale contratto.
La Corte d’appello evidenziava che nel contratto del luglio 2011 si scriveva che «RAGIONE_SOCIALE ha già dato parziale esecuzione al contratto del 16/3/2009 intercorso con RAGIONE_SOCIALE e senza contestazione tra le parti avendo eseguito tutta la pavimentazione in battuto alla veneziana con la sola esclusione della lucidatura in seguito alle difficoltà manifestate da RAGIONE_SOCIALE decideva di interrompere le opere in corso non eseguendo la lucidatura finale del pavimento realizzato».
Pertanto, ad avviso della Corte d’appello, era evidente l’errore in cui era incorso il tribunale, il quale aveva ritenuto che nel contratto dell’1/7/2011 vi fosse una «clausola tombale», tale da risolvere ogni controversa tra le parti.
In realtà, tale contratto, concluso tra parti diverse, non risolveva i rapporti economici tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE «richiamando una situazione attinente loro rapporti pregressi non sottoscritta».
La Corte di merito rigettava le domande riconvenzionali per il conseguimento delle somme di euro 3560,10 – avendo Interedil già percepito tale somma – e di euro 8144,65, a titolo di restituzione di somme per lavori mai eseguiti, in quanto era «certo che l’impresa COGNOME non ha completato quanto previsto dal contratto del 16 marzo 2009 (levigatura e lucidatura dei pavimenti)». Alla COGNOME
non spettava dunque la somma erogata di euro 8144,65, ma la società RAGIONE_SOCIALE con riferimento al costo totale del primo contratto non aveva versato euro 10.000,00.
Per quel che ancora qui rileva, però, in ordine al risarcimento «corrispondente alle penalità applicate a RAGIONE_SOCIALE e per il ritardo nell’esecuzione dei lavori, non v’è dubbio, che, al di là delle motivazioni richiamate dalla ditta COGNOME, il ritardo deve essere addebitato anche alla subappaltatrice per aver omesso i lavori di levigatura e lucidatura del pavimento in battuto veneziano, integrando così le condizioni per l’applicazione dell’art. 7 del contratto del marzo 2009».
Con riguardo alla quantificazione di quanto dovuto all’appellante, la Corte di merito reputava che «anche considerando che dopo che l’impresa COGNOME abbandonò i lavori RAGIONE_SOCIALE fu messa in liquidazione per le difficoltà in cui si era venuta a trovare, il risarcimento può essere liquidato equitativamente (peraltro come chiesto anche in via subordinata dalla stessa appellante) nella misura di euro 10.000,00».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’impresa RAGIONE_SOCIALE NOME.
Ha resistito con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione l’impresa ricorrente deduce la «violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.».
Ad avviso della ricorrente l’affermazione della Corte d’appello per cui «non vi è dubbio» che «il ritardo deve essere addebitato anche alla subappaltatrice» darebbe per assodate tre circostanze mai dimostrate: l’avvenuta applicazione, da parte della stazione
appaltante ai danni di RAGIONE_SOCIALE, di ‘penalità’ per presunto ritardo nell’esecuzione dei lavori; l’effettivo ritardo nell’esecuzione dei lavori da parte dell’impresa COGNOME; il nesso causale tra l’eventuale applicazione di penali da parte della stazione appaltante ai danni di Interedil ed il presunto (non dimostrato) ritardo nell’esecuzione delle opere da parte della impresa COGNOME.
Per la ricorrente non sarebbe stato fornito «alcun elemento probatorio idoneo a comprovare di aver dovuto corrispondere somme alla stazione appaltante a titolo di penale».
Aggiungeva la ricorrente che il pavimento in battuto alla veneziana era stato coperto e protetto per evitare potenziali danni derivanti dei lavori ancora in corso, mentre la nuova capogruppo RAGIONE_SOCIALE nel 2011, d’intesa con l’ente pubblico committente, aveva incaricato l’impresa COGNOME «un altro contratto di subappalto, di realizzare anche un pavimento in cotto».
Nel contratto con RAGIONE_SOCIALE dell’1/7/2011 era stato incluso «anche una trattamento di lucidatura manuale ad olio».
Inoltre, la circostanza che la società RAGIONE_SOCIALE avesse concluso in ritardo un contratto d’appalto commissionatole dalla stazione appaltante, non faceva di per sé sorgere una responsabilità anche in capo alla subappaltatrice impresa COGNOME «laddove lo specifico incarico assegnato a quest’ultima sia stato espletato nei termini contrattuali pattuiti».
Non vi era, però, prova del ritardo dell’impresa COGNOME.
Le scarne parole pronunciate dalla Corte d’appello non costituivano una reale motivazione della sentenza.
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «violazione, falsa applicazione dell’art. 1226 c.c. ed art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
Per la ricorrente la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione dell’art. 1226 c.c., anche con riferimento all’art. 2697 c.c. in tema di onere della prova.
In realtà, la liquidazione equitativa del danno ha natura sussidiaria, perché presuppone l’esistenza di un danno oggettivamente accertato. Non ha natura sostitutiva, perché ad essa non può farsi ricorso per sopperire alle carenze o decadenze istruttorie in cui le parti siano incorse.
Con riguardo alla domanda riconvenzionale presentata da Interedil, l’onere della prova in ordine alla dimostrazione dei fatti posti a fondamento delle richieste, nonché circa la quantificazione delle pretese creditorie, gravava sulla stessa Interedil.
Quest’ultima ha omesso di provare l’esistenza del danno di cui ha chiesto il risarcimento, non essendovi prova del fatto che controparte abbia effettivamente corrisposto somme a titolo di penali; ha omesso di comprovare il nesso di causalità tra il comportamento tenuto dalla impresa COGNOME e il presunto danno patito; ha omesso di fornire prova concreta in ordine all’ammontare del danno patito.
Del resto – aggiunge la ricorrente – «laddove effettivamente una penale fosse stata pretesa dalla stazione appaltante ad Interedil a causa di un inadempimento della ditta COGNOME, la quantificazione del relativo danno sarebbe stata agevolmente determinabile sulla scorta del relativo importo corrisposto a causa del predetto inadempimento».
La Corte d’appello, dunque, ha liquidato equitativamente un danno non accertato nella sua esistenza. Inoltre, non ha fornito alcun criterio quantitativo idoneo a permettere alle parti di verificare la congruità della quantificazione «di fatto operata in maniera del tutto
casuale». In tal modo ha illegittimamente sopperito alle carenze o decadenze istruttorie in cui era incorsa Interedil.
Del resto, né in primo grado né in grado di appello sono state svolte attività istruttorie volte a comprovare la domanda riconvenzionale.
3. Il primo motivo è inammissibile.
Invero, l’assenza di motivazione è censurata non sulla base dell’intrinseco contenuto della sentenza ma mediante il raffronto con le risultanze processuali (è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – SU 8053/2014).
3.1. Deve aggiungersi che la motivazione della sentenza della Corte d’appello è esistente, non solo nel suo aspetto grafico, ma anche nella precisa indicazione, seppur in modo succinto, delle argomentazioni logiche e giuridiche sottese alla decisione adottata.
In particolare, si evidenzia che la Corte d’appello si è espressa in ordine alla mancata completa realizzazione dei lavori da parte dell’impresa COGNOME, quale subappaltatrice di RAGIONE_SOCIALE, dovendo l’impresa non solo realizzare il pavimento in battuto alla veneziana, ma anche le successive operazioni di levigatura e lucidatura, invece non eseguite.
Chiarisce la Corte d’appello a pagina 7 della motivazione che «quanto alle restanti richieste, è certo che l’impresa COGNOME non ha completato quanto previsto dal contratto del 16 marzo 2009 (levigatura e lucidatura dei pavimenti); di conseguenza nulla gli è dovuto per tali opere che l’appellante indica in euro 8144,65 che richiede».
Pertanto, la motivazione della sentenza della Corte territoriale sul punto non è limitata all’affermazione successiva per cui «quanto al risarcimento corrispondente alle penalità applicate a RAGIONE_SOCIALE e per il ritardo nell’esecuzione dei lavori, non vi è dubbio, che, al di là delle motivazioni richiamate dalla ditta COGNOME, il ritardo deve essere addebitato anche alla subappaltatrice per aver omesso i lavori di levigatura e lucidatura del pavimento in battuto veneziano, integrando così le condizioni per l’applicazione dell’art. 7 del contratto del marzo 2009».
Peraltro, anche in precedenza, nella motivazione, pur in modo non propriamente perspicuo, la Corte d’appello ha indicato che nel successivo contratto di subappalto stipulato dalla nuova capogruppo dell’RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, del 1/7/2011, era stata inserita anche la lavorazione relativa al trattamento di lucidatura manuale ad olio.
Pur non essendo stato sottoscritto tale contratto dalla società RAGIONE_SOCIALE, precedente mandataria dell’ATI, tuttavia si evidenziava, nell’art. 1, che «in seguito alla firma del presente contratto RAGIONE_SOCIALE si impegna a concludere tutte le opere a perfetta regola d’arte».
Pertanto, la motivazione della Corte d’appello sul punto, seppure stringata e particolarmente impegnativa per la sua comprensione effettiva, giustifica il ritardo nell’esecuzione dei lavori da parte dell’impresa COGNOME
È fondato, invece, il secondo motivo.
In effetti, la Corte territoriale, in assenza assoluta di motivazione, ha liquidato equitativa mente il danno spettante alla società RAGIONE_SOCIALE, per il ritardo nell’esecuzione dei lavori da parte dell’impresa COGNOME, in euro 10.000,00, senza indicare in alcun modo i parametri attraverso i quali è giunta a tale valutazione.
Infatti, non si fa riferimento né all’importo effettivamente pagato per la penale stipulata nel contratto tra la Città Metropolitana di Bologna (stazione appaltante) e la società appaltatrice RAGIONE_SOCIALE, né all’importo pattuito in sede di contratto tra la Città Metropolitana e la RAGIONE_SOCIALE, né ai giorni effettivi di ritardo nel rapporto principale tra la Città Metropolitana e la RAGIONE_SOCIALE, né ai giorni effettivi di ritardo a seguito del contratto del 16/3/2009, art. 7, né alle eventuali proroghe per l’ultimazione dei lavori contenute nei due rispettivi contratti.
Trova applicazione, dunque, l’orientamento di questa Corte per cui il potere di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., costituisce espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c. ed il suo esercizio rientra nella discrezionalità del giudice di merito, senza necessità della richiesta di parte, dando luogo ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, con l’unico limite di non potere surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza, dovendosi, peraltro, intendere l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del danno in senso relativo e ritenendosi sufficiente anche una difficoltà solo di un certo rilievo (Cass., sez. 3, 29/4/2022, n. 13515).
Ed infatti, la liquidazione equitativa presuppone che, a fronte dell’avvenuta dimostrazione dell’esistenza e dell’entità materiale del danno, per la parte interessata risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo esatto ammontare, ferma restando la necessità di riferirsi all’integralità dei pregiudizi accertati (Cass., sez. 3, 6/12/2018, n. 31546; Cass., sez. 3, 12/4/2023, n. 9744).
Con la precisazione per cui la liquidazione equitativa, anche nella sua forma cd. “pura”, consiste in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto, sicché, pur nell’esercizio di un potere di carattere discrezionale, il giudice è chiamato a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito ad ognuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell’integralità del risarcimento. Ne consegue che, allorché non siano indicate le ragioni dell’operato apprezzamento e non siano richiamati gli specifici criteri utilizzati nella liquidazione, la sentenza incorre sia nel vizio di nullità per difetto di motivazione (indebitamente ridotta al disotto del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost.) sia nel vizio di violazione dell’art. 1226 c.c. (Cass., sez. 63, 2/7/2021, n. 18795; Cass., sez. 3, 13/9/2018, n. 22272).
5. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo; rigetta il primo motivo; cassa la sentenza impugnata, in ordine al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 gennaio 2025