Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19799 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19799 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26677/2021 R.G. proposto da:
COGNOME, NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
COGNOME RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con elezione di domicilio digitale presso gli indirizzi pec dei difensori;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 720/2021 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, pubblicata in data 22/03/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La RAGIONE_SOCIALE in liquidazione evocava in giudizio innanzi al Tribunale di Verona COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME e NOME, esponendo che: a) COGNOME NOME e NOME NOME (e, dopo la morte di quest’ultimo, gli eredi COGNOME NOME, NOME e NOME), nel 2003 avevano promosso un precedente giudizio nei confronti della RAGIONE_SOCIALE al fine di sentir accertare l’acquisto da parte loro, per intervenuta usucapione, della proprietà di una striscia di terreno di mq. 12 ubicata nel mappale n. 772 in Comune di Bovolone, appartenente alla società convenuta, che essi attori avevano occupato sin dal 1969 con una struttura metallica utilizzata come ricovero per le automobili; b) la RAGIONE_SOCIALE aveva resistito a tale pretesa, spiegando domanda riconvenzionale subordinata di accertamento della sussistenza di una servitù di passaggio pedonale e carrabile sulla striscia di terreno in contestazione, sul presupposto di aver materialmente esercitato il passaggio su di e ssa, quantomeno sino agli inizi degli anni ’90, per accedere all’altro proprio mappale, censito al n. 774, nell’ambito di una servitù costituita dalle parti per collegare i rispettivi fondi alla pubblica INDIRIZZO; c) il giudizio in questione era stato definito dalla sentenza n. 455/2015 della Corte d’Appello di Venezia, oramai passata in giudicato, la quale aveva rigettato la
domanda principale di usucapione, con assorbimento della riconvenzionale subordinata di accertamento della servitù.
Sulla scorta di tali deduzioni, con l’atto introduttivo del presente giudizio, la RAGIONE_SOCIALE proponeva actio confessoria servitutis , volta all’accertamento della sussistenza del diritto di passaggio a favore del proprio mappale n. 774 e a carico dei mappali nn. 771, 772, 773, 775 e 776 (ora 2568 e 2569), con conseguente condanna dei convenuti alla cessazione delle turbative e degli impedimenti all’esercizio del passaggio, mediante la rimozione della struttura metallica collocata sulla porzione di strada ricadente nella particella 772, abusivamente occupata, nonché al risarcimento del danno.
Si costituivano in giudizio i convenuti, i quali eccepivano l’intervenuta prescrizione per non uso ventennale della servitù di passaggio, impedita sin dal 1969 con la costruzione della struttura metallica, nonché l’improcedibilità, e comunque l’infondatezz a, della domanda di risarcimento del danno.
Il Tribunale di Verona, con sentenza n. 1929/2019, rigettava la domanda attorea, ritenendo la servitù prescritta per non uso ai sensi dell’art. 1073 c.c., poiché dalla data degli ultimi passaggi esercitati sulla strada dai dipendenti della RAGIONE_SOCIALE (che la Corte d’Appello di Venezia, con la sentenza n. 455/2015 passata in giudicato, aveva accertato essere avvenuti sino agli inizi degli anni ’90), alla data del ricorso introduttivo del presente giudizio (20.12.2017) era decorso un termine superiore al ventennio.
Sul gravame interposto dalla RAGIONE_SOCIALE la Corte d’Appello di Venezia, con sentenza n. 720/2021, pubblicata in data 22/03/2021, in riforma della pronuncia di prime cure, accoglieva
l’ actio confessoria servitutis e condannava gli appellati alla rimozione della struttura impeditiva del passaggio, alla cessazione delle turbative, nonché al risarcimento del danno in favore dell’appellante.
A fondamento della propria decisione, la Corte distrettuale osservava che: a) la sentenza n. 455/2015 già resa tra le parti aveva valorizzato le testimonianze relative all’esercizio del passaggio da parte dei dipendenti della RAGIONE_SOCIALE al solo fine di escludere l’elemento soggettivo della pretesa usucapione, che costituiva oggetto di quel giudizio, ‘ ma nulla ha statuito in relazione al mancato esercizio della servitù convenzionale di cui è causa, costituita nel 1956 e successivamente ostacolata dagli attuali appellati con la costruzione del 1969 ‘ (cfr. pag. 5 della sentenza); b) dalla sentenza n. 455/2015 risultava che i dipendenti della società appellante avevano esercitato il passaggio fino agli inizi degli anni ’90; c) pertanto, la servitù non poteva ritenersi prescritta per non uso, in quanto la domanda riconvenzionale subordinata proposta nel 2003 dalla RAGIONE_SOCIALE, volta appunto all’accertamento della servitù, aveva interrotto il termine ventennale, che non era ancora decorso quando, nel 2017, veniva introdotto il presente giudizio; d) era meritevole di accoglimento anche la domanda di risarcimento del danno che l’originaria attrice aveva patito a causa della prolungata occupazione della sua proprietà, da liquidarsi equitativamente in euro 6.000,00; e) gli originari convenuti andavano inoltre condannati alla cessazione delle turbative e al ripristino dei luoghi, mediante la rimozione della struttura metallica, onde consentire alla RAGIONE_SOCIALE l’esercizio della servitù di passaggio.
Contro tale sentenza COGNOME NOME, COGNOME NOME NOME e NOME hanno proposto ricorso sulla base di cinque motivi, contrastati con controricorso dalla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
In prossimità dell’adunanza le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo è così rubricato: ‘ Violazione e falsa applicazione degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. ‘. I ricorrenti sostengono che la Corte distrettuale avrebbe recepito un giudicato esterno in realtà del tutto insussistente, per aver ritenuto definitivamente accertato, in forza della sentenza n. 455/2015, che i dipendenti della RAGIONE_SOCIALE avevano esercitato il passaggio fino all’inizio degli anni ‘ 90. Deducono che il precedente giudizio intercorso tra le parti si era concluso con il rigetto della domanda di usucapione, allora proposta dagli odierni ricorrenti, per difetto di prova dei relativi presupposti: nessuna statuizione con autorità di giudicato, invece, era stata resa con riferimento all’esercizio del passaggio da parte della convenuta, la cui domanda riconvenzionale subordinata, in conseguenza del rigetto della principale, era rimasta assorbita.
Con il secondo motivo, nel denunziare, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 1073 c.c. e la falsa applicazione degli artt. 2943 e 2945 c.c., i ricorrenti deducono che l’errore della Corte d’Appello, come denunciat o con la precedente censura, avrebbe comportato l’erronea individuazione del dies a quo del termine di prescrizione della servitù, fatto decorrere dall’inizio degli anni ’90 anziché dal 1969,
anno in cui era stata realizzata la struttura impeditiva del passaggio.
Il terzo motivo è così rubricato: ‘ Omessa valutazione del fatto, decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, che la struttura edificata nel 1969 impediva fisicamente l’esercizio della servitù di passaggio, in relazione all’art. 360 c.1 n. 5 c.p.c. ‘. I ricorrenti deducono che il giudice di merito avrebbe omesso l’esame degli elementi istruttori raccolti nel precedente giudizio (elementi che avrebbe invece dovuto valutare alla stregua di prove atipiche), da cui sarebbe emerso, a loro dire, che la struttura metallica aveva precluso il passaggio sin dal 1969, che da allora non era stato più esercitato.
Le censure, suscettibili di esame congiunto in ragione della reciproca connessione, sono infondate.
Diversamente da quanto sostenuto dalla parte ricorrente, la Corte distrettuale non ha ritenuto sussistente alcun giudicato esterno, derivante dalla sentenza n. 455/15 della Corte d’Appello di Venezia, in ordine all’accertamento dell’esercizio del passaggio da parte della RAGIONE_SOCIALE: ciò risulta inequivocabilmente dall’osservazione del giudice di seconde cure, secondo cui ‘ La sopra citata sentenza di questa Corte n. 455/15 … ha valorizzato le testimonianze relative al passaggio di dipendenti della società appellante al solo fine di negare l’esistenza del profilo soggettivo della pretesa usucapione degli attuali appellati, ma nulla ha statuito in relazione al mancato utilizzo della servitù convenzionale di cui è causa … ‘ (cfr. pag. 5 della sentenza).
A fronte dell’espressa affermazione della Corte distrettuale che la sentenza già intercorsa tra le parti non conteneva nessuna
statuizione in punto di esercizio della servitù, non è possibile sostenere che il giudice di merito abbia recepito ‘ un giudicato esterno, che in realtà è del tutto insussistente ‘ (così a pag. 6 del ricorso).
Piuttosto, il giudice di seconde cure ha utilizzato il materiale probatorio raccolto nel precedente giudizio, come compendiato nella sentenza n. 455/15, alla stregua di una prova atipica, in relazione alla quale ha ritenuto dimostrato l’esercizio del passaggio da parte dei dipendenti della società attrice fino all’inizio degli anni ’90, il che rendeva evidentemente superflua la nuova escussione dei testi su questa circostanza.
D’altra parte, secondo l’insegnamento di questa Corte, dal quale non vi è ragione di discostarsi, il giudizio circa l’utilità e la pertinenza di un mezzo di prova rientra nei poteri di valutazione del giudice di merito, il quale può anche utilizzare per la formazione del proprio convincimento prove raccolte in un altro giudizio tra le stesse parti, se ritenute idonee ad offrire elementi di giudizio sufficienti (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 9040 del 08/04/2008, Rv. 602752). Si è ancora affermato che, mancando nel vigente ordinamento processuale una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, il giudice civile, in assenza di divieti di legge, può formare il proprio convincimento anche in base a prove atipiche come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, delle quali la sentenza ivi pronunciata costituisce documentazione (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza 20/01/2015, n. 840, Rv. 633913; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 25067 del 10/10/2018, Rv. 650766; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 840 del 20/01/2015, Rv.
633913; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 9507 del 06/04/2023, Rv. 667489).
I ricorrenti, peraltro, con il terzo motivo di ricorso invocano loro stessi l’utilizzo delle prove assunte nel precedente giudizio, sostenendo tuttavia che da esse la Corte territoriale avrebbe dovuto trarre l’opposto convincimento che a seguito dell’installazione della struttura metallica sui luoghi di causa, cioè dal 1969, il passaggio non sarebbe stato più esercitato dalla RAGIONE_SOCIALE con conseguente estinzione della servitù per non uso.
In parte qua, la censura presenta evidenti profili di inammissibilità, in quanto, sotto le sembianze della deduzione del vizio di omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., si risolve in un’istanza di rivalutazione delle prove, tramite la prospettazione di una lettura alternativa a quella che ne ha fatto il giudice di seconda istanza, senza peraltro sollevare alcuna censura che attinga la motivazione del provvedimento impugnato, nei limiti in cui ne è consentito il sindacato di legittimità, in punto di accertamento dell’esercizio del passaggio. Sul punto, va ribadito che spetta soltanto al giudice del merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concluden za, nonché scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee alla dimostrazione dei fatti (cfr. Cass., Sez. Un., Sentenza n. 5802 dell’11/06/1998, Rv. 516348). Non ricorre, comunque, il vizio di omesso esame denunciato dai ricorrenti, in quanto l’affermazione che il passaggio era stato materialmente esercitato almeno fino all’inizio degli anni ’90, a fronte della presenza già dal 1969 della
struttura metallica, della quale la Corte distrettuale ha tenuto conto (cfr. pag. 5 della sentenza), implica l’accertamento che l’opera fosse sì di ostacolo, ma non di impedimento assoluto all’esercizio del passaggio. Del resto, ‘ In tema di giudizio di cassazione, il motivo di ricorso di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., deve riguardare un fatto storico considerato nella sua oggettiva esistenza, senza che possano considerarsi tali né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio ‘ (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 10525 del 31/03/2022, Rv. 664330).
Orbene, una volta accertato, con apprezzamento in fatto non sindacabile in questa sede, che il passaggio era stato esercitato fino agli inizi degli anni ’90, risulta immune da censure la statuizione della Corte lagunare, secondo cui il termine ventennale di estinzione per non uso della servitù di passaggio era stato interrotto dalla proposizione, nel 2003, della confessoria servitutis rimasta assorbita nel precedente giudizio, e non era ancora maturato, nel 2017, al momento dell’introduzione del presente procedimento con il deposito del ricorso ex art. 702 -bis c.p.c.
Per tali ragioni, i motivi in esame devono essere respinti.
Con il quarto motivo, i ricorrenti, nel denunciare, in relazione all’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c., nonché dell’art. 3 del D.L. n. 132 del 2014, convertito in legge n. 162 del 2014, deducono che la Corte distrettuale avrebbe omesso di pronunciarsi sull’eccezione preliminare di improcedibilità
della domanda di risarcimento del danno, siccome non preceduta dall’esperimento obbligatorio della procedura di negoziazione assistita.
6. La censura è manifestamente infondata, in quanto la Corte lagunare, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, si è espressamente pronunciata sull’eccezione di improcedibilità della domanda di risarcimento del danno per mancato esperimento della procedura di negoziazione assistita, osservando che ‘ la questione era stata già proposta in sede di media conciliazione, come accessoria alla domanda principale ‘ (cfr. punto 5, pag. 5 della sentenza impugnata). Peraltro, proprio in considerazione del fatto che la pretesa risarcitoria della RAGIONE_SOCIALE era puramente accessoria rispetto alle domande di accertamento della servitù e di condanna dei convenuti alla rimozione della struttura metallica dalla proprietà attorea, le quali, avendo ad oggetto ‘diritti reali’, ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 erano soggette alla condizione di procedibilità del preventivo esperimento della procedura di mediazione, e tenuto conto, altresì, che, secondo quanto accertato dal giudice di merito (e non contestato dagli odierni ricorrenti), l’attrice ha assolto la condizione di procedibilità delle actiones in rem , introducendo in sede di mediazione anche la questione relativa al risarcimento del danno patito per l’occupazione del mappale n. 772, la statuizione impugnata risulta rispettosa di quanto previsto dall’art. 3, primo comma, del d.lgs. n. 132 del 2014, secondo cui chi intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro deve sì procedere ad in vitare l’altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita, ma solamente
fuori dei casi previsti ‘ dall’articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 ‘.
7. Il quinto motivo è così rubricato: ‘ Difetto assoluto di motivazione sulla statuizione in ordine al ‘concreto pregiudizio’ che ‘la prolungata occupazione esercitata dalle parti appellate sulla proprietà di parte appellante’ avrebbe determinato e sulla conseguente liquidazione del risarcimento del danno. Violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 4 c.p.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c. e dell’art. 2056 c.c., in relazione all’art. 360, com ma 1, n. 3 c.p.c. Violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. Omessa valutazione di circostanze decisive per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. ‘. I ricorrenti denunziano la mera apparenza della motivazione resa dalla Corte d’Appello circa il risarcimento del danno accordato alla RAGIONE_SOCIALE per l’occupazione della particella n. 772 con la struttura metallica realizzata nel 1969, sostenendo che il giudice di merito non avrebbe indicato alcun concreto pregiudizio patito dall’originaria attrice, né avrebbe indicato, per altro verso, i criteri utilizzati per addivenire alla relativa quantificazione nella misura di euro 6.000,00.
8. La censura è fondata.
Sussiste in effetti il vizio di mera apparenza della motivazione denunciato dalla parte ricorrente, in quanto il giudice di merito si è limitato ad affermare la congruità dell’importo liquidato -pari ad euro 6.000,00a titolo di risarcimento del danno per la ‘ prolungata occupazione esercitata dalle parti appellate sulla proprietà di parte appellante ‘ (cfr. pag. 5 della sentenza, ultimo periodo), ‘ in
considerazione del lungo tempo di occupazione ‘ (cfr. pag. 6 della sentenza), così rassegnando una motivazione puramente tautologica, che finisce per far coincidere la descrizione del pregiudizio sotto il profilo dell’ an (‘ prolungata occupazione ‘) con il parametro di determinazione del quantum (‘ lungo tempo di occupazione ‘). Il che si traduce nell’omessa indicazione del criterio di liquidazione effettivamente adottato, mancando qualsivoglia specificazione dei parametri che hanno orientato il giudizio della C orte distrettuale, ad eccezione del richiamo, anch’esso tautologico, ad una valutazione equitativa delle circostanze ex art. 1226 c.c., in aperta violazione del principio di diritto costantemente affermato da questa Corte, cui il Collegio intende assicurare continuità, secondo cui ‘ Il giudizio equitativo non può ridursi ad un asserto arbitrario e, pertanto, non solleva il giudice dal dovere di rendere una compiuta motivazione in relazione ai parametri utilizzati, i quali realizzano la necessaria intelaiatura di legittimità e sono costituiti da criteri valutativi collegati ad emergenze verificabili, o comunque logicamente apprezzabili, ragionevoli e pertinenti al tema della decisione ‘ (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 28075 del 14/10/2021, Rv. 662555; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 5669 del 04/03/2025, Rv. 673963). Si è affermato, in particolare, che, in tema di liquidazione equitativa del danno, al fine di evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo, come tale censurabile in sede di legittimità sia per violazione dell’art. 1226 c.c., sia sotto il profilo della mera apparenza della motivazione, è necessario che il giudice di merito indichi, almeno sommariamente e nell’ambito dell’ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti per
determinare l’entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al quantum , anche alla luce delle peculiarità del caso concreto (cfr. ex plurimis Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 2327 del 31/01/2018, Rv. 647590; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 16908 del 27/06/2018, Rv. 649510; Cass. Sez. L, Ordinanza n. 16595 del 20/06/2019, Rv. 654240). Di tutto ciò non vi è traccia nella motivazione della sentenza impugnata, la quale va pertanto cassata in relazione a tale profilo.
All’accoglimento del quinto motivo di ricorso, consegue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio della causa per un nuovo esame del merito, oltre che per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, che si atterrà ai principi di diritto sopra menzionati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso; rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa per un nuovo esame del merito, oltre che per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione