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Liquidazione equitativa danno: la Cassazione decide

In un caso di inadempimento contrattuale protratto nel tempo, la Corte di Cassazione ha stabilito che, una volta accertata l’esistenza di un danno, il giudice non può rigettare la domanda risarcitoria solo perché la vittima non riesce a provarne l’esatto ammontare. In tali circostanze, scatta l’obbligo di procedere a una liquidazione equitativa del danno, basandosi sugli elementi disponibili. La Suprema Corte ha cassato la decisione d’appello che aveva negato il risarcimento a una società casearia per la sistematica adulterazione del latte da parte di un fornitore, rinviando il caso per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Liquidazione Equitativa del Danno: Quando la Prova Precisa è Impossibile

L’ordinanza n. 6753/2024 della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nella responsabilità contrattuale: come risarcire un danno certo nella sua esistenza ma di difficile quantificazione? La Corte ribadisce l’importanza del principio della liquidazione equitativa del danno, impedendo che il responsabile di un illecito possa trarre vantaggio dalla difficoltà probatoria della vittima. Questo principio diventa fondamentale in contesti di inadempimenti continuati, come nel caso di specie, dove un’azienda casearia ha subito per anni l’adulterazione del latte da parte di un suo trasportatore.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine da un decreto ingiuntivo ottenuto da un’impresa di autotrasporti contro una nota società casearia per il mancato pagamento di alcune fatture relative al servizio di raccolta latte. La società casearia si opponeva al pagamento, sollevando un’eccezione di inadempimento e chiedendo, in via riconvenzionale, il risarcimento dei danni.

La ragione era grave: un controllo dei NAS dei Carabinieri aveva svelato che il trasportatore adulterava sistematicamente il latte raccolto, aggiungendo acqua e sale per aumentarne fraudolentemente il peso e, di conseguenza, il proprio compenso. La scoperta di strumenti per l’alterazione presso la sede del trasportatore suggeriva che questa fosse una pratica abituale, protrattasi per anni.

Il Tribunale di primo grado rigettava l’opposizione, ritenendo che la società casearia avrebbe dovuto sospendere i rapporti subito dopo la scoperta dell’illecito. La Corte d’Appello, invece, riformava parzialmente la sentenza: riconosceva il grave inadempimento del trasportatore, revocava il decreto ingiuntivo e dichiarava risolto il contratto. Tuttavia, respingeva la domanda di risarcimento del danno, sostenendo che la società non avesse fornito prove sufficienti a quantificarne con precisione l’ammontare accumulato nel tempo.

Il Ricorso in Cassazione e la Liquidazione Equitativa del Danno

Contro la decisione d’appello, il trasportatore proponeva ricorso in Cassazione. La società casearia resisteva con un controricorso e, a sua volta, proponeva un ricorso incidentale. Il punto centrale del ricorso incidentale era proprio la violazione dell’art. 1226 del codice civile. La società lamentava che la Corte d’Appello, pur avendo accertato l’esistenza di un danno protratto nel tempo, avesse erroneamente negato il risarcimento per la mera difficoltà di calcolarne l’esatto importo, senza avvalersi del potere-dovere di procedere a una liquidazione equitativa del danno.

La società sosteneva che era oggettivamente impossibile, a causa della natura stessa della frode (nascosta e continuativa), fornire prove documentali precise per ogni singola consegna adulterata avvenuta nel corso degli anni. Tuttavia, l’esistenza del danno (an debeatur) era certa e provata; pertanto, il giudice avrebbe dovuto determinarne l’ammontare (quantum) in via equitativa.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso incidentale della società casearia, ritenendolo fondato. Gli Ermellini hanno riaffermato un principio consolidato nella giurisprudenza: l’esercizio del potere di liquidazione equitativa del danno, previsto dagli articoli 1226 e 2056 del codice civile, non è un giudizio di pura equità, ma un giudizio di diritto che presuppone due condizioni fondamentali:

1. La certa esistenza di un danno risarcibile.
2. L’impossibilità o la notevole difficoltà, oggettiva e incolpevole, per la parte danneggiata di provare il danno nel suo preciso ammontare.

La Corte ha chiarito che, quando questi due presupposti sono soddisfatti, il giudice non può emettere una pronuncia di non liquet (cioè non decidere per incertezza probatoria), ma ha il dovere di utilizzare il suo potere discrezionale per quantificare il danno. Rigettare la domanda risarcitoria in questi casi significherebbe negare la tutela a fronte di un illecito già accertato.

Nel caso specifico, la Corte territoriale aveva errato nel ritenere che la società danneggiata non avesse offerto allegazioni sufficienti. Era evidente che la natura clandestina e sistematica della frode rendeva estremamente difficile, se non impossibile, fornire una prova puntuale e documentale per ogni singola alterazione. La Corte di Cassazione ha quindi censurato la sentenza d’appello per non aver applicato il principio di liquidazione equitativa, nonostante ne ricorressero tutti i presupposti.

Le Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso principale del trasportatore e ha accolto quello incidentale della società casearia. Ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte d’Appello, in diversa composizione, affinché proceda a un nuovo esame e alla liquidazione del danno in via equitativa, applicando i principi di diritto enunciati. Questa ordinanza rafforza la tutela del creditore danneggiato da un inadempimento continuato, stabilendo che la difficoltà di provare l’esatto quantum del pregiudizio, quando non imputabile a inerzia della vittima, non può tradursi in un diniego di giustizia, ma impone al giudice di fare uso del suo potere equitativo per garantire un giusto risarcimento.

Cosa succede se l’esistenza di un danno è certa, ma il suo esatto ammontare è impossibile o molto difficile da provare?
In questo caso, il giudice non può rigettare la richiesta di risarcimento. Deve, invece, utilizzare il suo potere discrezionale per determinare l’ammontare del danno in via equitativa, cioè secondo un criterio di giustizia e ragionevolezza basato sugli elementi di prova disponibili.

Può un giudice negare il risarcimento a una vittima solo perché non fornisce prove precise per ogni singolo episodio di un danno continuato nel tempo?
No. Secondo la Cassazione, se la difficoltà di fornire una prova precisa non dipende da una negligenza della vittima ma dalla natura stessa dell’illecito (ad esempio, una frode nascosta e protratta), il giudice ha il dovere di quantificare il danno in via equitativa. Negare il risarcimento sarebbe contrario ai principi di giustizia.

Quali sono le condizioni necessarie per applicare la liquidazione equitativa del danno secondo l’art. 1226 c.c.?
Le condizioni sono due: primo, deve essere provata con certezza l’esistenza del danno (il cosiddetto ‘an debeatur’); secondo, deve risultare un’impossibilità oggettiva o una notevole difficoltà, non imputabile alla parte danneggiata, di quantificare con precisione tale danno (il ‘quantum debeatur’).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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