Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 30487 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 30487 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11448/2022 proposto da:
NOME REALE, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIOti NOME (EMAIL) e NOME COGNOME ( EMAIL);
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME e NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO
(EMAIL);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 437/2022 della CORTE D’APPELLO DI CATANIA, depositata il 3/3/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/10/2024 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME;
ritenuto che,
con sentenza resa in data 3/3/2022, la Corte d’appello di Catania, tra le restanti statuizioni, per quel che ancora rileva in questa sede, ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha condannato NOME COGNOME al risarcimento, in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME, dei danni subiti questi ultimi in conseguenza della commissione, da parte del COGNOME, nella qualità di dirigente dell’Ufficio tecnico e del Dipartimento RAGIONE_SOCIALE urbanistica del Comune di Siracusa, di taluni reati nel corso di un procedimento amministrativo vòlto al conseguimento, da parte degli attori, di provvedimenti amministrativi concernenti l’attività di edificazione su un proprio terreno;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui, ferma l’avvenuta pronuncia, da parte del giudice penale, della condanna generica del COGNOME al risarcimento dei danni in favore degli odierni controricorrenti, aveva identificato la natura e l’entità di tali danni specificandone l’importo nella complessiva somma di euro 50.000,00, oltre accessori;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi d’impugnazione;
NOME COGNOME e NOME COGNOME resistono con controricorso;
entrambe le parti hanno depositato memoria;
considerato che,
con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2059, 2697
c.c. e 185 c.p. (in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente riconosciuto il diritto delle controparti al risarcimento dei danni non patrimoniali, non avendo le stesse fornito alcuna prova dell’effettivo ricorso di conseguenze dannose concretamente sofferte per effetto del fatto illecito dagli stessi deAVV_NOTAIOo in giudizio;
in via subordinata, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, per avere corte territoriale erroneamente quantificato l’entità del risarcimento riconosciuto in favore delle controparti, sulla base di una valutazione illegittima e arbitraria e determinandone nell’importo in assenza di alcuna ragione giustificativa;
il motivo è parzialmente fondato, nei limiti di cui appresso;
dev’essere in primo luogo disattesa la censura avanzata dal ricorrente con riguardo alla deAVV_NOTAIOa (pretesa) mancata dimostrazione, da parte degli attori, dei danni non patrimoniali subiti per effetto del fatto illecito in esame, avendo la corte territoriale avuto cura di specificare la natura e l’entità delle conseguenze pregiudizievoli d’indole morale subite dagli attori, ragionevolmente desumibili, sul piano presuntivo, dal valore significativo delle circostanze di fatto costituite dall” estrema gravità dei reati commessi dal COGNOME ‘ eseguiti attraverso la frapposizione di ‘ ogni tipo di ostacolo (infine falsamente attestando lo smarrimento delle pratiche) per impedire l’accoglimento delle istanze dei COGNOME ‘, i quali, ‘ a loro volta, hanno visto disattese -a cagione del comportamento del dipendente comunale -le proprie legittime aspettative, ben potendosi ritenere maturato un senso di impotenza e di frustrazione crescente, man mano che trascorreva il tempo, che effettuavano inutili accessi agli uffici pubblici e vane richieste di giustificazioni per la mancata adozione dei provvedimenti,
che si sforzavano di ricercare vie d’uscita, pur dovendo prendere atto dell’impossibilità di trovarne. Ciò, nella consapevolezza che tale situazione avrebbe avuto conseguenze sul contratto preliminare, ed avrebbero potuto rendere impossibile (come poi è avvenuto) la stipulazione del contratto definitivo ‘ (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata);
si tratta di un ragionamento probatorio pienamente congruo e corretto sul piano logico-giuridico, avendo la corte territoriale opportunamente valorizzato la significativa incidenza di circostanze di fatto di per sé sufficientemente idonee a dar conto, in chiave dimostrativa, dell’effettiva sussistenza delle complessive conseguenze dannose d’indole morale concretamente subite dagli attori;
dev’essere, viceversa, accolta la doglianza avanzata dal ricorrente con riguardo al punto concernente la quantificazione del danno morale; sul punto, la corte territoriale si è limitata a rilevare come, con riguardo alla ‘ quantificazione del danno morale, deve tenersi conto dell’esito del procedimento civile instaurato (che, in prima battuta, non essendo ancora passata in giudicato la sentenza penale che accertava la commissione dei reati da parte del COGNOME, vedeva i COGNOME condannati alla restituzione della caparra, di ammontare assai rilevante) e nel conseguente pignoramento delle quote della RAGIONE_SOCIALE, fonte di sofferenza, ancorché transeunte. Quanto al profilo sub d), pur se gli effetti dannosi della conAVV_NOTAIOa illecita del COGNOME si sono evidenziati (per come si legge nella sentenza della sezione penale della Corte di appello di Catania) dal settembre 1995, allorquando il COGNOME assunse la direzione del dipartimento di RAGIONE_SOCIALE urbanistica, occupandosi personalmente della pratica a dispetto del conflitto di interesse che ad essa lo legava, osserva comunque la Corte che il danno liquidato nel suo complesso è corretto, avuto riguardo al
pregiudizio subito dagli attori, siccome sopra specificato, ed alla estrema gravità degli illeciti commessi dal COGNOME, soggetto che, per la qualifica che rivestiva, avrebbe dovuto garantire imparzialità e correttezza, piuttosto che abusare della propria posizione ‘ (cfr. pag. 6 la sentenza impugnata);
osserva il riguardo il Collegio, come l’articolazione argomentativa in tal guisa elaborata dalla corte territoriale non sia idonea a dar conto in termini esaustivi del procedimento logico seguito dal giudice di merito per l ‘ esatta determinazione monetaria dell’importo equitativamente liquidato a titolo risarcitorio;
in particolare, varrà sottolineare come, ai sensi dell’art. 1226 c.c., l’impossibilità di comprovare un danno nel suo preciso ammontare (come intuitivamente accade in relazione a un pregiudizio di natura non patrimoniale) autorizza il giudice a liquidarlo con valutazione equitativa;
la liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c. (richiamato, per la responsabilità extracontrattuale, dall’art. 2056 c.c.) presuppone che, a fronte dell’avvenuta dimostrazione dell’esistenza e dell’entità materiale del danno, per la parte interessata risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo esatto ammontare, ferma restando la necessità di riferirsi all’integralità dei pregiudizi accertati (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 31546 del 06/12/2018, Rv. 667795 – 02);
tale liquidazione equitativa, anche nella sua forma c.d. ‘pura’, consiste in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto, sicché, pur nell’esercizio di un potere di carattere discrezionale, il giudice è chiamato a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito ad ognuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito
nella propria determinazione e consentire il sindacato sul rispetto dei principi del danno effettivo e dell’integralità del risarcimento;
ne consegue che, allorché non siano indicate le ragioni dell’operato apprezzamento e non siano richiamati gli specifici criteri utilizzati nella liquidazione, la sentenza incorre sia nel vizio di nullità per difetto di motivazione (indebitamente riAVV_NOTAIOa al disotto del ‘minimo costituzionale’ richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost.) sia nel vizio di violazione dell’art. 1226 c.c. (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18795 del 02/07/2021, Rv. 661913 -01; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22272 del 13/09/2018, Rv. 650596 – 01);
l ‘esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa diviene dunque insuscettibile di sindacato in sede di legittimità quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, attraverso la specifica indicazione del processo logico e valutativo seguito (cfr. anche Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24070 del 13/10/2017, Rv. 645831 – 01);
al fine di rendere più concreto il senso delle indicazioni sin qui fornite sulla base della consolidata giurisprudenza di questa Corte, ritiene il Collegio opportuno sottolineare come, al fine di rendere ‘realmente’ controllabile il processo logico e valutativo seguito dal giudice della liquidazione equitativa (nel caso in esame, nella liquidazione equitativa di un danno non patrimoniale), occorra necessariamente muovere dalla fissazione di un parametro di natura quantitativa da rendere in termini strettamente monetari, sostanziandosi propriamente, la ‘liquidazione’ di un danno, nell’articolazione di un linguaggio monetario quale ‘minimo comune’ destinato a ‘rimodulare’ (sottoforma di moneta) qualsivoglia argomentazione originariamente elaborata su un piano logico o in termini di puro valore giuridico o etico-sociale;
peraltro, la scelta di tale iniziale parametro quantitativo dovrà necessariamente esibire un profilo di diretto o indiretto collegamento con la natura degli interessi incisi dal fatto dannoso, sì da presentarsi in una relazione di ragionevole (e oggettivamente controllabile) congruità tra natura del danno e parametro monetario di riferimento;
una volta fissato, con l’indicazione delle ragioni della sua scelta, un tale parametro di natura monetaria, spetterà al giudice adeguarne l’entità, al fine di giungere all’importo ritenuto appropriato quale risarcimento del danno, aumentandone o diminuendone la cifra (attraverso operazioni aritmetiche di moltiplicazione o di divisione) in funzione dell’incidenza modulare di altri fattori di riferimento concretamente apprezzabili in considerazione dello specifico danno così come materialmente accertato; fattori a loro volta caratterizzati (necessariamente) da: 1) oggettività; 2) controllabilità e 3) non manifesta incongruità (né per eccesso, né per difetto);
con riguardo al caso di specie, la corte territoriale, mentre ha avuto cura di evidenziare adeguatamente il concreto ricorso di una serie di fattori di per sé pienamente dotati di oggettività, controllabilità e non manifesta incongruità (segnatamente con riguardo alle specifiche circostanze connesse alle modalità di commissione del reato, alla gravità del comportamento lesivo del danneggiante, ai riflessi sulla vita emotiva e patrimoniale delle vittime, etc.), ha del tutto omesso di fornire alcuna spiegazione circa il relativo funzionamento in chiave di ‘adeguamento’, trascurando di individuare un punto di riferimento oggettivo di natura monetaria (direttamente o indirettamente connesso alla natura degli interessi lesi dal fatto illecito) sul quale agire attraverso l’azione combinata dei ridetti fattori, così sottraendosi al dovere di spiegare (e dunque di dar conto in termini oggettivi e controllabili del) l’ iter attraverso il quale la stessa corte è giunta alla
determinazione della specifica entità monetaria (euro 50.000,00) liquidata quale danno riconoscibile in favore degli originari attori;
nel restituire gli atti al giudice del rinvio al fine di procedere a tale liquidazione, varrà pertanto ribadire il principio ai sensi del quale, ai fini della liquidazione equitativa di un danno non patrimoniale, è necessario che il giudice di merito proceda, dapprima, all’individuazione di un parametro di natura quantitativa, in termini monetari, direttamente o indirettamente collegato alla natura degli interessi incisi dal fatto dannoso e, di seguito, all’adeguamento quantitativo di detto parametro monetario attraverso il riferimento a uno o più fattori oggettivi, controllabili e non manifestamente incongrui (né per eccesso, né per difetto), idonei a consentire a posteriori il controllo dell’intero percorso di specificazione dell’importo liquidato (Sez. 3, Sentenza n. 28429 del 11/10/2023, Rv. 668947 – 01; conf. Sez. 1, Ordinanza n. 20871 del 26/07/2024, Rv. 672085 – 01);
con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.), nonché per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.), per avere la corte territoriale omesso di tener conto, ai fini della decisione, delle circostanze di fatto analiticamente richiamate in ricorso (rimaste incontestate tra le parti), la cui considerazione avrebbe determinato una diversa decisione, con l’esclusione della responsabilità civile del COGNOME;
con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 115 c.p.c. (in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.), per avere la corte territoriale illegittimamente respinto l’istanza di ammissione della prova testimoniale richiamata in ricorso;
entrambi i motivi -congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione -sono inammissibili;
osserva in primo luogo il Collegio come, avendo la corte territoriale confermato la sentenza di primo grado sulla base delle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, indicate a fondamento della decisione impugnata, l’evocazione, in sede di legittimità, del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. deve ritenersi inammissibile, trovando applicazione al riguardo il divieto di cui all’art. 348ter c.p.c. ai sensi del quale, in presenza di una doppia decisione conforme in fatto, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) del primo comma dell’art. 360 cit.;
sotto altro profilo -ferma la considerazione dell’assorbente circostanza secondo cui, in ogni caso, l’affermazione della responsabilità civile del COGNOME deve ritenersi superata dall’avvenuta pronuncia, passata in giudicato, della condanna generica dello stesso al risarcimento del danno – varrà rilevare come la censura illustrata dal ricorrente non contenga alcuna denuncia del paradigma di cui all’art. 115 c.p.c., limitandosi a denunciare unicamente una pretesa erronea valutazione di risultanze probatorie;
sul punto, è appena il caso di rimarcare il principio fatto proprio dalle Sezioni Unite di questa Corte di legittimità, ai sensi del quale, per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c., è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove deAVV_NOTAIOe dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve aver giudicato, o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma (cioè dichiarando di non doverla osservare), o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introAVV_NOTAIOe dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori
dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla ‘valutazione delle prove’ (cfr. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018, Rv. 650892 – 01);
quanto alla deAVV_NOTAIOa violazione dell’art. 116 c.p.c., converrà sottolineare come l ‘ ammissibilità della doglianza relativa alla violazione di tale norma sia consentita solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo ‘prudente apprezzamento’, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 02);
nella specie, il ricorrente, lungi dal denunciare il mancato rispetto, da parte del giudice a quo , del principio del libero apprezzamento delle prove (ovvero del vincolo di apprezzamento imposto da una fonte di
prova legale), si è limitato a denunciare un (pretesa) cattivo esercizio, da parte della corte territoriale, del potere di apprezzamento del fatto sulla base delle prove selezionate, spingendosi a prospettare una diversa lettura nel merito dei fatti di causa, in coerenza ai tratti di un’operazione critica del tutto inammissibile in questa sede di legittimità;
con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 91 c.p.c. (in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 3, c.p.c.), dovendo ritenersi che, laddove la corte d’appello avesse applicato i principi richiamati nei precedenti motivi di ricorso, la stessa avrebbe condannato la controparte al rimborso, in proprio favore, delle spese di tutti i gradi e le fasi del giudizio;
il motivo è inammissibile;
al riguardo – fermo il rilievo concernente l’assoluto difetto di profili di argomentazione critica avanzati, attraverso la proposizione della censura in esame, nei confronti della decisione impugnata – varrà rilevare l’assorbimento di qualsivoglia rilievo della doglianza, in considerazione dell’avvenuto parziale accoglimento del primo motivo del ricorso, nella specie tale da imporre la rimessione, al giudice del rinvio, dell’impegno alla nuova liquidazione delle spese di lite;
sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza del primo motivo nei limiti di cui motivazione e l’inammissibilità del secondo e del terzo motivo (assorbito il quarto), dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata in relazione alla censura accolta, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo nei limiti di cui motivazione; dichiara inammissibili il secondo e il terzo motivo; dichiara assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione