Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 28576 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 28576 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4295/2025 R.G. proposto da :
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO TORINO n. 66/2025 depositata il 27/01/2025.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/10/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Torino, con sentenza n. 66/2025, depositata il 27.1.2025, in accoglimento del reclamo proposto da RAGIONE_SOCIALE, ha revocato la apertura della liquidazione controllata di NOME COGNOME, disposta dal Tribunale di Cuneo con sentenza n. 44/2024.
Il giudice di merito ha osservato che, già prima dell’entrata in vigore del cd. correttivo ter (d.lgs. n. 136/2024), la legge prevedeva che al ricorso fosse allegata una relazione redatta dall’OCC, contenente una valutazione sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda, illustrativa della situazione economica, patrimoniale e finanziaria del debitore.
Orbene, il COGNOME né nel ricorso né nella relazione aveva fatto cenno al fatto di essersi spogliato con l’atto di compravendita del 5 luglio 2019 di tutti i propri immobili (otto, tra cui due appartamenti, due autorimesse e un negozio) per l’esigua somma di € 1.000,00.
Né rileva che tali beni non erano più esistenti nel patrimonio del COGNOME già al momento del deposito del ricorso, dal momento che, avendo la circostanza sopra indicata influito sulla sua attuale situazione economico-patrimoniale, la stessa non poteva essere in alcun modo sottaciuta.
Non era ultroneo osservare che il ricorso era stato depositato pochi giorni dopo la maturazione del termine quinquennale di prescrizione dell’azione revocatoria che i creditori avrebbero potuto intentare ex art. 2901 c.c. per far dichiarare l’inefficacia della compravendita, ma quando non era ancora spirato il termine decennale per poter proporre un’azione di simulazione dell’atto
dispositivo, che aveva come protagonisti effettivi, oltre al reclamato (quale parte venditrice ed amministratore della società), il figlio, titolare del 99% delle quote della società RAGIONE_SOCIALE (la quale figurava nell’atto quale parte acquirente ). Né aveva rilievo la circostanza che i beni compravenduti fossero gravati da ipoteche e che le ipoteche fossero state iscritte anche a garanzia dei crediti della banca alla quale si era surrogato RAGIONE_SOCIALE, non esonerando il COGNOME dalla necessità di fornire un quadro completo e attendibile della sua situazione economica, patrimoniale e finanziaria, tanto più che non risultava dalla documentazione prodotta il saldo debitorio dei rapporti a garanzia dei quali erano state iscritte le ipoteche, saldo che poteva essere inferiore agli importi originariamente garantiti.
Il Tribunale di Torino ha, altresì, osservato che, da un lato, il COGNOME aveva proposto di soddisfare i creditori mediante il pagamento della somma complessiva di 24.200 euro in tre anni, sul rilievo che dal 12 marzo 2024 percepiva uno stipendio netto mensile di € 1.500 e non aveva percepito redditi negli anni 2020, 2021 e 2022, mentre, dall’altro, il COGNOME aveva taciuto che dal 29 dicembre 2014 al 24 febbraio 2024 aveva ricoperto il ruolo di amministratore Unico di RAGIONE_SOCIALE e gestito un ristorante stellato, operandovi come chef dal 2013. Pertanto, la documentazione allegata dal COGNOME al ricorso era gravemente e volutamente lacunosa.
Infine, il giudice di merito ha stigmatizzato l’affermazione della difesa secondo cui, ai fini della valutazione della opportunità e convenienza della procedura, era sufficiente la relazione accompagnatoria dell’OCC che aveva accertato l’attendibilità e completezza della documentazione allegata al ricorso, evidenziando che l’accertamento dell’OCC, richiesto dall’art. 269 CCII, deve essere esaminato e vagliato dal giudice, ai fini dell’apertura della procedura, sotto il profilo sostanziale e non meramente formale.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, affidandolo a quattro motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito in giudizio con controricorso.
Il ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 269 CCII.
Espone il ricorrente che la norma sopra indicata non subordina l’ammissione alla liquidazione controllata al requisito della meritevolezza né alla verifica che il debitore non abbia determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode, verifica che è richiesta solo per la pronuncia di esdebitazione, dopo il provvedimento di chiusura della procedura.
Rileva di aver presentato l’istanza per la nomina del gestore della crisi all’RAGIONE_SOCIALE Cuneo prima della scadenza del termine quinquennale per l’esercizio dell’azione di revocatoria ex art. 2901 c.c. in ordine alla compravendita immobiliare e, in ogni caso, RAGIONE_SOCIALE era pienamente consapevole del suo patrimonio immobiliare e avrebbe quindi potuto attivare tempestivamente il rimedio ex art. 2901 c.c. prima della scadenza del termine.
Il ricorrente si duole del provvedimento impugnato, per avere il giudice d’appello subordinato l’ammissione alla liquidazione al rispetto, da parte del debitore, di rigorosi obblighi di disclosure non previsti dalla legge nonché al superamento di un severo giudizio di meritevolezza che, pur apparentemente affermato come non necessario, è stato di fatto preteso allorquando ha connotato di volontarietà le carenze documentali riscontrate.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 2729 c.c., 111 Cost., 360 comma 1° nn. 3 e 5 c.p.c.
Lamenta il ricorrente che la sentenza impugnata è il frutto di una lettura erronea e parziale del materiale probatorio in atti, avendo sposato acriticamente la tesi suggestiva di RAGIONE_SOCIALE violando gli artt. 116 c.p.c., 2729 c.c. e 111 Cost. che impongono al giudicante di formare il proprio convincimento sulla base di tutte le prove offerte dalle parti.
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 270 e 51 CCII sul rilievo che tali norme non consentono alla Corte di Appello di esaminare nel merito la relazione dell’OCC, atteso che il legislatore, ove ha inteso sottoporre il piano e/o la relazione dell’OCC al controllo del giudice, lo ha previsto espressamente, come nelle fattispecie di cui agli artt. 47 e 70 CCII (rispettivamente concordato preventivo e ristrutturazione dei debiti del consumatore).
Il primo e il terzo motivo, da esaminarsi unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, presentano concomitanti profili di infondatezza ed inammissibilità. La Corte d’Appello di Torino ha revocato la declaratoria di apertura della procedura di liquidazione controllata, evidenziando che il debitore aveva volontariamente presentato, a corredo del deposito della domanda, una documentazione gravemente lacunosa, sottacendo alcune circostanze (la vendita dei suoi immobili al risibile prezzo complessivo di € 1.000,00 qualche anno prima della presentazione della domanda; l’ aver ricoperto per un decennio il ruolo di amministratore Unico di RAGIONE_SOCIALE e gestito un ristorante stellato) idonee ad influire sulla sua situazione economica, patrimoniale e finanziaria e, conseguentemente, sulla completezza e attendibilità della documentazione presentata a corredo della domanda, oggetto di valutazione nella relazione redatta dall’OCC.
Il ricorrente ha contestato la statuizione della Corte d’Appello sostenendo che il potere di controllo demandato al giudice, ai fini
dell’apertura della procedura di liquidazione controllata, sarebbe circoscritto alla verifica, di natura solo formale, dell’esistenza di una relazione accompagnatoria dell’OCC sulla attendibilità e completezza della documentazione allegata al ricorso, senza possibilità di un controllo sostanziale, e ciò sul rilievo che gli artt. 270 e 51 CCII non consentirebbero al giudice di esaminare nel merito la relazione dell’OCC: ove, infatti, il legislatore ha inteso sottoporre il piano e/o la relazione dell’OCC al controllo del giudice, lo ha previsto espressamente, come nelle fattispecie di cui agli artt. 47 e 70 CCII (rispettivamente concordato preventivo e ristrutturazione dei debiti del consumatore).
Il Collegio non condivide tale impostazione e ritiene, invece, corretta la soluzione adottata dal giudice d’appello.
Va premesso che l’art. 270 comma 1° CCII dispone che il Tribunale dichiara con sentenza l’apertura della liquidazione controllata ‘verificati i presupposti di cui agli artt. 268 e 269’ e l’art. 269 comma 2° prevede che ‘ al ricorso deve essere allegata una relazione, redatta dall’OCC, che esponga una valutazione sulla completezza e l’attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda e che illustri la situazione economica, patrimoniale e finanziaria del debitore.
La relazione dell’OCC, con le caratteristiche di completezza ed attendibilità della documentazione depositata, richieste dall’art. 269 CCII, costituisce quindi un presupposto di ammissibilità della procedura di liquidazione controllata, il cui accertamento è stato dal legislatore demandato al giudice. Trattasi di un controllo che non ha soltanto natura formale, di verifica della mera esistenza della predetta relazione, a prescindere dal suo contenuto; il giudice ha invece il compito di controllare la corretta predisposizione della relazione sotto il profilo della completezza e attendibilità dei dati in essa indicati, elementi che sono essenziali ai fini dell’accertamento dei requisiti soggettivi di cui all’art. 2 comma 1 lett . e) e del
requisito oggettivo di cui all’art. 268 comma 2 CCII per l’assoggettamento del debitore alla procedura, oltre che per fornire ai creditori informazioni utili sulla consistenza del patrimonio del debitore e sulle effettive prospettive di riparto dello stesso e quindi di soddisfacimento dei creditori.
Tali informazioni sono funzionali non solo alla redazione del programma di liquidazione ex art. 272 CCII, ma anche alle azioni, previste dall’art. 274, volte a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio. In conclusione, il controllo demandato al giudice ha natura sostanziale, non essendo finalizzato ad una verifica solo formale di regolarità dell’andamento della procedura, ma funzionale alla concreta realizzazione dei suoi scopi secondo quando sopra illustrato.
In termini non dissimili, questa Corte si è già espressa quando è stata chiamata a pronunciarsi sulla natura del controllo che è demandato al giudice sulla relazione dell’attestatore nella procedura di concordato preventivo. Sul punto, è stato enunciato il principio secondo cui ‘è compito precipuo del giudice garantire il rispetto della legalità nello svolgimento della procedura concorsuale, e in questa prospettiva spetta a lui esercitare sulla relazione del professionista attestatore un controllo specifico, concernente la congruità e la logicità della motivazione e il profilo del collegamento effettivo fra i dati riscontrati e il conseguente giudizio ‘ (cfr Cass. n. 5825/2018; conf. Cass. S.U. n. 1521/2013, Cass. n. 13083/13, Cass. n. 11423/14). Anche recentemente, questa Corte (cfr. Cass. 3640/2025) ha ribadito che ‘ in tema di concordato preventivo, nel valutare l’ammissibilità della domanda, il tribunale (al pari, evidentemente, della corte d’appello in sede di reclamo), se non può controllare direttamente la regolarità e l’attendibilità delle scritture contabili del proponente, deve nondimeno svolgere, in sede di ammissione, di revoca ovvero di omologazione, un sindacato sulla corretta predisposizione
dell’attestazione del professionista designato ai sensi dell’art. 161, comma 2°, l.fall., in termini di completezza dei dati aziendali e di comprensibilità dei criteri di giudizio adottati, rientrando tale attività nella verifica della regolarità della procedura indispensabile per garantire corretta formazione del consenso dei creditori (Cass. n. 5653 del 2019)’.
E’ pur vero che nella procedura di liquidazione controllata la verifica che il giudice svolge sulla completezza e attendibilità della relazione dell’OCC non è finalizzata in senso stretto, come nel concordato preventivo, all’espressione di un consenso informato dei creditori sulla proposta, e nella prospettiva dell’esercizio del diritto di voto, ma risponde, comunque, ad un’ istituzionale esigenza di trasparenza informativa, allo scopo non solo di assicurare ai creditori la puntuale conoscenza della effettiva consistenza dell’attivo destinato al soddisfacimento dei crediti, ma di consentire anche al liquidatore di poter utilmente esercitare quelle azioni finalizzate all’incremento del patrimonio su cui i creditori possono soddisfarsi.
Nel caso di specie, come evidenziato, la Corte d’Appello di Torino, non a caso, ha stigmatizzato la circostanza taciuta dal debitore, e di cui non vi era traccia nella relazione dell’OCC influente sulla sua attuale situazione economico-patrimoniale, ovvero che il COGNOME aveva venduto, al prezzo di € 1 .000 alla società partecipata da suo figlio per il 99% delle quote, tutto il suo complesso immobiliare (tra cui rientravano due appartamenti, due autorimesse ed un negozio), e ciò in quanto, al momento del deposito del ricorso per l’apertura della liquidazione controllata, non era ancora spirato il termine decennale per poter proporre un’eventuale azione di simulazione del predetto atto di compravendita e ottenere quindi la reintegrazione del patrimonio del debitore. Proprio dalla situazione concreta che ricorre nel caso di specie, emerge con evidenza che il controllo del giudice, nella verifica del presupposto di cui all’art.
269 CCII, non può essere solo formale, ma deve essere effettivo e penetrante nell’interesse dei creditori.
Il ricorrente si duole che il giudice d’appello, nel subordinare l’ammissione alla liquidazione controllata al rispetto da parte del debitore di rigorosi obblighi di disclosure non previsti dalla legge, avrebbe finito per reintrodurre un giudizio di meritevolezza del debitore che, pur apparentemente affermato come non necessario, è stato di fatto preteso allorquando lo stesso giudice ha connotato di volontarietà le carenze documentali riscontrate.
Il Collegio non condivide tale impostazione.
Come sopra evidenziato, la completezza e attendibilità della relazione dell’OCC sulla documentazione depositata a corredo della domanda del debitore e sulla situazione economico-patrimoniale e finanziaria dello stesso rappresenta (come l’attestazione di cui all’art. 268 comma 3 quarto periodo) un presupposto di ammissibilità alla predetta procedura.
La Corte d’Appello non ha nemmeno revocato l’apertura della procedura di liquidazione controllato per sanzionare una condotta fraudolenta del debitore, ma per aver accertato, a seguito del reclamo di un creditore, che difettava, a monte, un presupposto di ammissibilità per la stessa apertura della procedura.
Deve pertanto essere enunciato il seguente principio di diritto:
‘La completezza e attendibilità della relazione dell’OCC sulla documentazione depositata a corredo della domanda del debitore e sulla situazione economico-patrimoniale e finanziaria dello stesso rappresenta un presupposto per l’ammissione alla procedura di liquidazione controllata, il cui accertamento, ai sensi dell’art.270 c.c.i.i., è riservato al giudice di merito e non è limitato al mero controllo formale in ordine all’esistenza della predetta relazione, ai sensi dell’art.269 c.c.i.i.’.
5. Il secondo motivo è inammissibile.
Il ricorrente, con l’apparente deduzione della violazione di legge (artt. 115 e 116 c.p.c., 2729 c.c.), non ha fatto altro che svolgere censure di merito in quanto finalizzate a sollecitare una ricostruzione dei fatti e una lettura del materiale probatorio diverse e alternative rispetto a quella operata dalla Corte d’Appello.
Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 12 DM n. 55/2014, per avere il giudice d’appello applicato i valori medi di liquidazione riferiti allo scaglione di valore indeterminato di media complessità, calcolando tutte e quattro le fasi (studio, memoria introduttiva, istruttoria e decisoria), mentre il giudizio si è svolto in un’unica udienza e con mero scambio di una memoria oltre a quella introduttiva. In particolare, la Corte d’Appello non avrebbe dovuto liquidare il compenso previsto per la fase decisionale.
7. Il motivo è inammissibile.
L’art. 12 DM 55/2014 prevede per la fase decisionale come punto d) le difese orali o scritte, le repliche, l’assistenza alla discussione delle altre parti processuali sia in camera di consiglio che in udienza pubblica.
Nel caso di specie, come ha dato atto lo stesso ricorrente, le parti non si sono limitate a scambiarsi gli atti introduttivi, ma anche un’altra memoria scritta per replicare alle reciproche difese. Dunque, corretta è stata la statuizione del giudice anche sul punto delle spese.
Le spese di lite di questo grado seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in € 8.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte
del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 14.10.2025
Il Presidente NOME COGNOME