Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 28484 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 28484 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/10/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 27171/2024 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO DOM. DIG., presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che l a rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME LIQUIDAZIONE CONTROLLATA
-intimata- avverso il DECRETO del TRIBUNALE di BERGAMO depositato il 02/10/2024.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/10/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Udite le conclusioni del AVV_NOTAIO – che ha chiesto l’accoglimento del ricorso e, in subordine, che venga sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 268, comma 4, CCII nella parte in cui non prevede che ‘non sono compresi nella liquidazione controllata i beni e i diritti di natura strettamente personale’ -e della parte ricorrente AVV_NOTAIO per delega
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Bergamo, con decreto emesso in data 02.10.2024, ha rigettato il reclamo proposto ex art. 124 CCII dalla Sig.ra NOME COGNOME avverso il provvedimento del 05.08.2024 con cui il Tribunale di Bergamo, in composizione monocratica, aveva, a propria volta, rigettato l’istanza formulata dalla reclamante ai fini di ottenere l’esclusione dalla procedura di liquidazione controllata del patrimonio della medesima (aperta con sentenza n. 86/2023 del 05/05/2023) dell’importo di euro 62.940,00, percepito in data 05/07/2024, a titolo di risarcimento di danno biologico, in una vicenda di malpractice medica, «non rientrando in alcuna delle ipotesi di esclusione».
Il giudice di merito ha ritenuto l’inapplicabilità in via analogica al procedimento di liquidazione controllata dell’art. 146 CCII (già art. 46 L.F.) e dei principi affermati dalla giurisprudenza in ordine alla portata dello stesso, in ragione della precisa scelta effettuata dal legislatore nel prevedere, all’interno dell’art. 268, co. 4, CCII una categoria molto più ristretta di crediti esclusi (quelli non pignorabili, anziché quelli strettamente personali, categorie non interamente sovrapponibili), e in considerazione della tassatività delle eccezioni alla regola generale in materia di responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c. -come l’art. 545 c.p.c. in tema di crediti impignorabili -come tali non suscettibili di interpretazione
analogica, che trovano fondamento nell’esigenza di tutela di valori costituzionali preminenti. In proposito, il credito da risarcimento del danno, sebbene di natura non patrimoniale, non rientra ne crediti aventi natura alimentare, non soddisfa esigenze vitali, né è legato a particolari situazioni di bisogno dell’avente diritto.
Il Tribunale ha dunque così giustificato la differente disciplina prevista per la liquidazione giudiziale in relazione alla diversità delle procedure in esame e alla natura essenzialmente volontaria della procedura di liquidazione controllata, applicabile esclusivamente a soggetti non fallibili.
Avverso tale decreto NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a tre motivi.
La procedura intimata non ha svolto difese.
Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto NOME COGNOME, ha depositato la requisitoria scritta, chiedendo l’accoglimento del ricorso o, in subordine, che questo Collegio sollevi la questione di legittimità costituzionale dell’art. 268, comma 4° CCII nella parte in cui non prevede che ‘non sono compresi nella liquidazione controllata i beni e i diritti di natura strettamente personale’ , illustrando la richiesta anche all’udienza pubblica.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 146 CCII, per avere il Tribunale, ancorché abbia pacificamente accertato la natura di risarcimento del danno biologico delle somme percepite da COGNOME, integranti un diritto personalissimo a tutela di interessi costituzionalmente garantiti, illegittimamente escluso l’applicazione analogica della norma in oggetto alla liquidazione controllata, con susseguente acquisizione della somma alla procedura; dall’esatto inquadramento del ristoro quale risarcimento del danno biologico e da una corretta esegesi
del disposto normativo in esame sarebbe dovuta, invece, derivare l’esclusione dell’importo dalla liquidazione controllata.
Ad avviso della ricorrente, l’art. 146 CCII -che prevede l’esclusione dalla procedura di liquidazione giudiziale dei beni e dei diritti di natura strettamente personale, tra cui rientrano quei beni e diritti attinenti alla sfera della persona, tanto sotto il profilo dell’integrità fisica, quanto nell’ottica della tutela dei valori umani essenziali -pur dettato in materia di liquidazione giudiziale, sarebbe certamente applicabile anche alla liquidazione controllata, in quanto finalizzata alla tutela del debitore nella sua sfera personale.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 268 CCII, per avere il giudice di merito ritenuto che le somme percepite dal sovraindebitato a titolo di danno biologico vadano acquisite alla procedura.
La ricorrente censura l’interpretazione strettamente letterale fornita dal Tribunale nel sostenere che il legislatore avrebbe operato una precisa scelta nell’escludere dall’art. 268 CCII il credito da risarcimento del danno non patrimoniale. Una tale interpretazione contrasta con la natura stessa del danno risarcitorio, oltre che con l’interpretazione fornita dalla dottrina più attenta, la quale aderendo ad una interpretazione logico-sistematica del disposto normativo -ha ritenuto che non solo i diritti potestativi, ma anche gli status familiari, le azioni relative alla separazione coniugale e allo scioglimento del matrimonio, la tutela del nome, non possono essere ragionevolmente devoluti alla finalità di una procedura concorsuale, come è la liquidazione controllata.
Con il terzo e ultimo motivo viene lamentata la violazione o falsa applicazione degli artt. 146 e 268 CCII in combinato disposto con l’art. 3 Cost.
La ricorrente censura il provvedimento impugnato nella parte in cui ha statuito che « oltre all’inesistenza di alcuna lacuna in ragione
della precisa scelta di escludere solo i crediti impignorabili, contrasterebbe con l’applicazione analogica altresì la diversità delle procedure, considerata la natura volontaria della procedura di liquidazione e l’applicabilità della medesima esclusivamente a soggetti non fallibili». Sul punto, rileva, al contrario, che sia la liquidazione controllata sia la liquidazione giudiziale possono essere attivate tanto su istanza del debitore quanto su istanza dei creditori (ex art. 268, co. 2-3, CCII).
È stata quindi questa Corte invitata a sollevare questione di legittimità costituzionale, per violazione del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Cost., dell’art. 268 CCII nella parte in cui esclude dal novero delle somme non acquisibili alla procedura quelle percepite a titolo di risarcimento del danno biologico.
Ad avviso della ricorrente, tale violazione viene integrata nel momento in cui il CCII prevede -nel disciplinare le esclusioni dalla procedura nell’art. 146 e nell’art.268 CCII -due trattamenti differenziati tra l’imprenditore soggetto alla liquidazione giudiziale e il sovraindebitato soggetto all’altra liquidazione in casi del tutto equiparabili.
Tutti i motivi, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, sono infondati nei termini che seguono.
Come anticipato in narrativa, il decreto impugnato ha fondato la decisione di rigetto dell’istanza di esclusione dalla liquidazione controllata della somma percepita da COGNOME a titolo di risarcimento del danno biologico sul rilievo dell’impossibilità di applicare in via analogica alla liquidazione controllata l’art. 146 CCII, che ha riprodotto nella sua integralità il testo dell’art. 46 L.F., il quale è stato più volte interpretato da questa Corte nel senso di inserire le somme liquidate a tale titolo -e spettanti a persona successivamente fallita -tra i beni di natura strettamente personale, con conseguente esclusione dal fallimento (così Cass. n.
25618 del 2018; Cass. n. 2719 del 2007, Cass. n. 392 del 2006, Cass. n. 8022 del 2000, Cass. n. 5539 del 1997).
Ad avviso del giudice di merito, le ragioni dell’inapplicabilità in via analogica dell’art. 146 CCII alla liquidazione controllata risiedono:
nella precisa scelta effettuata dal legislatore di prevedere all’interno dell’art. 268, co. 4, CCII una categoria molto più ristretta di crediti esclusi (quelli non pignorabili, anziché quelli strettamente personali);
nella tassatività delle eccezioni alla regola generale in materia di responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c., con conseguente insussistenza di alcuna lacuna nell’ambito del sovraindebitamento idonea a giustificare l’applicazione di norme dettate per casi simili o materie analoghe;
nella diversità delle procedure in esame, specie considerata la natura essenzialmente volontaria della procedura di liquidazione controllata e l’applicabilità della medesima esclusivamente a soggetti non fallibili.
Questo Collegio condivide l’impostazione del Tribunale di Bergamo, avuto riguardo alla ritenuta inapplicabilità alla procedura di liquidazione controllata, in via analogica o per altro tramite interpretativo, dell’art. 146 CCII.
Va premesso che le Sezioni Unite di questa Corte, nella sentenza n. 38596/2021 (recentemente, conf. Cass. n. 6850/2025), hanno chiarito che il ricorso all’analogia non può mai giustificarsi in funzione ‘creativa’ da parte del giudice, ma solo quando ricorrano determinati precisi presupposti, esplicitati nei termini che seguono:
‘…..L’interpretazione, o applicazione, analogica o per analogia è costituita dunque dal procedimento mediante il quale chi interpreta ed applica il diritto può sopperire alle eventuali deficienze di previsione legislativa (c.d. lacuna dell’ordinamento giuridico) facendo ricorso alla disciplina normativa prevista per un caso “simile”, ovvero per “materie analoghe”: ciò, in forza dei principi
fondamentali del nostro ordinamento, secondo cui il giudice deve decidere ogni caso che venga sottoposto al suo esame (“obbligo di non denegare giustizia”) e deve assumere la relativa decisione applicando una norma dell’ordinamento positivo (“obbligo di fedeltà del giudice alla legge” ex art. 101, comma 2, Cost.) (Cass. 8 agosto 2005, n. 16634).
Segnatamente, quindi, per poter ricorrere al procedimento per analogia, è necessario che: i) manchi una norma di legge atta a regolare direttamente un caso su cui il giudice sia chiamato a decidere; li) sia possibile ritrovare una o più norme positive (c.d. analogia legis) o uno o più principi giuridici (c.d. analogia iuris), il cui valore qualificatorio sia tale che le rispettive conseguenze normative possano essere applicate alla situazione originariamente carente di una specifica regolamentazione, sulla base dell’accertamento di un rapporto di somiglianza tra alcuni elementi (giuridici o di fatto) della vicenda regolata ed alcuni elementi di quella non regolata: costituendo il fondamento dell’analogia la ricerca del quid comune mediante il quale l’ordinamento procede alla propria “autointegrazione” (così ancora la menzionata decisione). Onde l’analogia postula, anzitutto, che sia correttamente individuata una “lacuna”, tanto che al giudice sia impossibile decidere, secondo l’incipit del precetto («se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione …»); l’art. 12, comma 2, preleggi si spiega storicamente soltanto nel senso di evitare, in ragione del principio di completezza dell’ordinamento giuridico, che il giudice possa pronunciare un non liquet, a causa la mancanza di norme che disciplinino la fattispecie. La regola, secondo cui l’applicazione analogica presuppone la carenza di una norma nella indispensabile disciplina di una materia o di un caso (cfr. art. 14 preleggi), discende dal rilievo per cui, altrimenti, la scelta di riempire un preteso vuoto normativo sarebbe rimessa all’esclusivo arbitrio giurisdizionale, con conseguente
compromissione delle prerogative riservate al potere legislativo e del principio di divisione dei poteri dello Stato. Onde non semplicemente perché una disposizione normativa non preveda una certa disciplina, in altre invece contemplata, costituisce ex se una lacuna normativa, da colmare facendo ricorso all’analogia ai sensi dell’art. 12 preleggi. Ciò tanto più quando si tratti di estendere l’applicazione di una disposizione specifica oltre l’ambito di applicazione delineato dal legislatore, ovvero di applicarla “analogicamente” a vicenda concreta da questi non contemplata ed in presenza di diversi presupposti integrativi della fattispecie……’ .
Dunque, anche la fattispecie in esame va raffrontata all’appena visto limite per cui il ricorso all’analogia postula che sia correttamente individuata una “lacuna”, tanto che al giudice sia impossibile decidere altrimenti (art. 12 preleggi: «se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione …») e ciò al fine di evitare, in ragione del principio di completezza dell’ordinamento giuridico, che il giudice possa pronunciare un non liquet , a causa della mancanza di norme che disciplinino la fattispecie.
In realtà, non è in alcun modo il caso di specie, per il quale è ben presente la norma di legge deputata a regolare direttamente la vicenda su cui il giudice è stato chiamato a decidere.
Come l’art. 146 CCII con riferimento ai beni non compresi nella liquidazione giudiziale, altrettanto l’art. 268 comma 4° CCII enuncia e disciplina i beni non compresi nella liquidazione controllata secondo un elenco che, ad eccezione ‘dei beni e diritti di natura strettamente personale’, ricalca quasi pedissequamente l’elencazione contenuta nell’art. 146. Esiste quindi anche nella liquidazione controllata una norma che regola le ‘esclusioni’ dalla procedura e se nell’art. 268 comma 4° non sono presenti i ‘beni e diritti di natura strettamente personale’ ciò non è dovuto ad una ‘lacuna’ normativa, ma ad una scelta consapevole del legislatore
riconducibile al noto brocardo latino ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit .
Invero, il legislatore non ha fatto altro che riprodurre esattamente la formula già utilizzata nell’art. 14 ter comma 6° L. n. 3/2012 per disciplinare le ‘esclusioni’ dalla procedura di ‘liquidazione dei beni’, di cui la procedura di liquidazione controllata costituisce evoluzione (con significative novità più avanti evidenziate). E va parimenti considerata la contestualità storica, da un punto di vista normativo, con cui le due disposizioni -gli artt. 146 e 268 -hanno esordito nel medesimo corpus legislativo, così rafforzando un rispettivo indice di reciproca autonomia e, per ciascuna, esaustività.
Pertanto, avuto riguardo alla chiara formula dell’art. 268 comma 4 ° CCII, il giudice nemmeno può arrestarsi ad un non liquet, essendovi una specifica norma che disciplina compiutamente, ed in senso all’apparenza restrittivo rispetto all’art.146 L.F., la materia delle ‘esclusioni’ dell’attivo del debitore dalla procedura di liquidazione controllata.
6. Va peraltro osservato che se pur, da un lato, non è condivisibile la perentoria affermazione del Tribunale di Bergamo in ordine alla ‘diversità’, e quindi non assimilabilità di per sé, delle due procedure di liquidazione, giudiziale e controllata -per via del richiamo alla liquidazione giudiziale che emerge chiaramente dalla relazione illustrativa del d.lgs. n. 14/2019 (‘ la liquidazione controllata è procedimento equivalente alla liquidazione giudiziale’ ), della collocazione ‘topografica’ anche della seconda nel titolo V del CCII (con rubrica, dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 136/2024, divenuta ‘liquidazione giudiziale e liquidazione controllata’) , dell’espresso rinvio ad alcune norme della procedura maggiore e, soprattutto, delle conclusioni cui la Corte Costituzionale è pervenuta nella sentenza n. 121/2024, che ha evidenziato, al par. 8.1., che ‘l’attuazione del principio di
uguaglianza impone eguale trattamento delle situazioni omogenee, e le due procedure concorsuali poste a confronto dal rimettente sono connotate dalla stessa struttura e hanno la medesima funzione di comporre i rapporti tra creditori e debitore, liquidando il patrimonio di quest’ultimo in attuazione della par condicio creditorum’ -tuttavia, in ogni caso, non sussistono, nel caso di specie e in radice, i presupposti per sollevare una questione di legittimità costituzionale dell’art. 268 comma 4 CCII (al di là dei parametri invocati), difettando un ‘diritto vivente’, conforme alla premessa interpretativa posta alla base del dubbio di legittimità costituzionale, ovvero che le somme liquidate a titolo di danno biologico rientrino pacificamente tra i beni di natura strettamente personale.
In particolare, secondo la giurisprudenza costituzionale, la configurabilità di un ‘diritto vivente’ appare condizionata dalla reiterazione e conseguente stabilità dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità: solo il consolidamento della ricostruzione offerta da quest’ultima permette, infatti, di ritenere certo che la norma desunta da una determinata disposizione, per l’uso ripetuto nel tempo e il grado di consenso raccolto, sia qualificabile ormai come tale (Corte Cost. n. 54 del 2023).
Orbene, in tema, se è pur vero, come sopra evidenziato (al punto 4) che, nell’interpretazione dell’art 46 L.F., questa Corte ha più volte affermato che le somme liquidate all’ex fallito a titolo di danno biologico o non patrimoniale rientrano tra ‘i beni strettamente personali’, dall’altra parte, ancora questa Corte (cfr. Cass. n. 22601/2013, conf. Cass. n. 4300/2019 e Cass. 27892/2023), nell’affrontare la problematica dei crediti cedibili, a norma dell’art. 1260 c.c., in vicende giudiziarie aventi ad oggetto incidenti stradali, è arrivata all’opposta conclusione, negando ogni volta che il diritto di credito al risarcimento del danno non patrimoniale avesse natura strettamente personale e ricadesse,
conseguentemente, nel divieto posto all’art. 1260 c.c. In particolare, è stato chiarito nelle indicate pronunce che strettamente personali sono i diritti volti al soddisfacimento di un interesse immediato della persona, di un interesse fisico o morale del creditore, in relazione ai quali l’incedibilità può essere eccezionalmente prevista anche al fine di tutelare l’interesse del debitore a non essere tenuto a soddisfare pretese di un soggetto diverso da quello accettato come creditore e così è stato precisato che tipico diritto strettamente personale è il credito alimentare, che oltre ad essere per espressa previsione normativa (art. 447 c.c.) incedibile (incedibilità eccezionalmente prevista anche a tutela dell’interesse dello stesso creditore, salvo che trattisi di prestazioni arretrate), risulta insuscettibile di compensazione da parte dell’obbligato nonché di rinunzie e transazioni, impignorabile (art. 545 c.p.c.), insuscettibile di esercizio in via surrogatoria (art. 2900 c.c.), intrasmissibile mortis causa (ex art.448 c.c.) e cessa con la morte dell’obbligato.
È stato inoltre evidenziato che da tempo, con indirizzo della dottrina condiviso, si ritiene che la natura (patrimoniale o non patrimoniale) del diritto vada tenuta distinta dalla natura (patrimoniale o non patrimoniale) del danno, sicché altro è la natura strettamente personale dell’interesse leso (salute) e altro è il diritto (o anche la mera ragione) di credito al relativo ristoro.
Va, infine, osservato che questo orientamento si è posto già nella prima sentenza sopra citata (Cass. 22601/2013) in consapevole contrasto con alcune pronunce (cfr. Cass., 7/2/2007, n. 2719; Cass., 11/1/2006) appartenenti al diverso orientamento che si era, invece, consolidato soprattutto nell’interpretazione dell’art. 46 L.F.
L’evidente pluralità di indirizzi non convergenti attorno alla natura di ‘diritti strettamente personali’, per come determinatasi nella giurisprudenza di legittimità, impedisce di assumerne la piena rilevanza alla stregua di un diritto vivente; dandosi atto che
quest’ultimo non sussiste, in relazione ai limiti della fattispecie, il Collegio deve limitarsi a prendere atto, assumendo l’art. 146 CCII (per come ha riprodotto il testo dell’art. 46 L.F.) quale mero tertium comparationis , del preliminare difetto di un requisito imprescindibile per sollevare una questione di legittimità costituzionale della disposizione dubitata, posta la impossibilità -per come detto e sul punto correttamente argomentato dal giudice di merito di un’applicazione diretta dello stesso art.146 L.F. rispetto a una fattispecie non prevista all’art.268 CCII, la norma pertinente al caso in esame.
Non si liquidano le spese di lite, non avendo la curatela svolto difese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
A i sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 14.10.2025
Il Consigliere est. Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME