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Liquidazione controllata: accesso dopo revoca concordato

Un professionista, a seguito della revoca di un concordato minore, ha richiesto la conversione in liquidazione controllata. Il Tribunale ha respinto l’istanza, ritenendola irregolare. La Corte d’Appello ha riformato la decisione, affermando il diritto del debitore di accedere alla liquidazione controllata come naturale prosecuzione della procedura, in base all’art. 83 CCII, quando la revoca non deriva da frode o inadempimento.

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Liquidazione controllata: la via d’uscita dopo la revoca del concordato minore

Quando un piano di ristrutturazione del debito fallisce, quali sono le opzioni per un professionista sovraindebitato? Una recente sentenza della Corte d’Appello di Ancona chiarisce un punto fondamentale: la liquidazione controllata non è solo un’opzione, ma una naturale prosecuzione del percorso, garantendo al debitore una via d’uscita ordinata dalla crisi. Questo provvedimento sottolinea l’importanza del principio di consecuzione delle procedure, impedendo che meri formalismi neghino l’accesso a strumenti di risoluzione della crisi previsti dalla legge.

I Fatti del Caso

Un professionista era stato ammesso a una procedura di concordato minore, un piano per ristrutturare i suoi debiti continuando la propria attività. Tuttavia, durante l’esecuzione del piano, sono emersi ulteriori debiti non previsti che hanno reso impossibile rispettare gli impegni presi. Di conseguenza, il Tribunale ha revocato l’omologazione del concordato.

Immediatamente dopo la revoca, il professionista ha presentato istanza per l’apertura della liquidazione controllata, come previsto dall’art. 83 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII). Sorprendentemente, il giudice di primo grado ha dichiarato il “non luogo a provvedere”, considerando l’istanza come una domanda nuova e irrituale, di fatto bloccando l’accesso del debitore alla procedura liquidatoria. Contro questa decisione, il professionista ha proposto reclamo in Corte d’Appello.

La Decisione della Corte d’Appello e l’Accesso alla Liquidazione Controllata

La Corte d’Appello ha accolto il reclamo, ribaltando completamente la decisione del Tribunale. I giudici hanno stabilito che l’interpretazione del giudice di prime cure era errata e eccessivamente formalistica. L’istanza di apertura della liquidazione controllata, presentata dopo la revoca del concordato minore, non è una domanda “ex novo”, ma rappresenta la corretta e logica prosecuzione del procedimento di gestione della crisi.

La Corte ha chiarito che l’art. 83 CCII è stato scritto proprio per disciplinare questa transizione, garantendo che il fallimento di un piano di risanamento non lasci il debitore in un limbo giuridico, ma lo indirizzi verso la soluzione liquidatoria. Negare questo passaggio per motivi formali, secondo la Corte, equivarrebbe a violare il diritto fondamentale del debitore a un trattamento della propria crisi secondo canoni di proporzionalità e adeguatezza.

Le Motivazioni: L’Interpretazione dell’Art. 83 CCII

La Corte d’Appello ha fondato la sua decisione su un’analisi puntuale della normativa. L’art. 83, comma 1, CCII stabilisce chiaramente che, in caso di revoca del concordato minore non determinata da frode o inadempimento, il debitore può proporre istanza di apertura della procedura di liquidazione controllata. Questo è esattamente ciò che è accaduto nel caso di specie.

La Corte ha inoltre verificato la sussistenza dei presupposti per l’apertura della procedura:
1. Stato di sovraindebitamento: Il professionista si trovava in una situazione di crisi finanziaria definita dalla legge.
2. Revoca del concordato: Il precedente piano era stato formalmente revocato.
3. Esistenza di un attivo: Anche in assenza di beni immobiliari, i futuri redditi derivanti dall’attività professionale del debitore costituiscono un “attivo acquisibile” da distribuire ai creditori. La legge, infatti, non richiede un patrimonio ingente, ma la semplice esistenza di un attivo, anche minimo, che possa essere destinato, dopo aver coperto le spese di procedura, al soddisfacimento dei creditori.

I giudici hanno specificato che la variabilità dei redditi professionali non è un ostacolo all’apertura della procedura, ma una questione che attiene alla fase esecutiva della liquidazione stessa.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ha importanti implicazioni pratiche per professionisti e piccoli imprenditori in crisi. In primo luogo, rafforza il principio della consecuzione delle procedure, garantendo una transizione fluida e certa dal fallimento di un piano di ristrutturazione a una procedura di liquidazione. In secondo luogo, afferma che l’accesso alla liquidazione controllata non può essere impedito da interpretazioni eccessivamente restrittive o formalistiche. Infine, chiarisce che per avviare la procedura è sufficiente la prospettiva di redditi futuri, senza la necessità di possedere un patrimonio immobiliare o mobiliare significativo. La decisione tutela quindi il diritto del debitore a una “seconda chance” (esdebitazione), che è uno degli obiettivi cardine della normativa sul sovraindebitamento.

Dopo la revoca di un concordato minore è possibile chiedere la liquidazione controllata?
Sì, la sentenza conferma che se la revoca non è causata da atti in frode o da inadempimento del debitore, quest’ultimo ha il diritto di presentare istanza per l’apertura della liquidazione controllata, come previsto dall’art. 83 del Codice della Crisi d’Impresa.

È necessario presentare un’istanza completamente nuova e autonoma per la liquidazione controllata?
No, la Corte d’Appello ha stabilito che l’istanza non deve essere considerata come un procedimento ex novo, ma come la naturale prosecuzione della procedura di gestione della crisi già in atto, in ossequio al principio di consecuzione delle procedure.

Per accedere alla liquidazione controllata è necessario possedere beni immobili o un patrimonio consistente?
No, la sentenza chiarisce che per l’apertura della procedura è sufficiente l’esistenza di un attivo da distribuire ai creditori, che può consistere anche solo nei redditi futuri derivanti dall’attività professionale del debitore, purché siano sufficienti a coprire le spese procedurali e a lasciare un residuo per i creditori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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