Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 991 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 991 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 6458-2022 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, e MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO , che li rappresenta e difende
– ricorrenti –
contro
NOME COGNOME rappresento e difeso in proprio e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– controricorrente –
avverso l ‘ordinanz a cron. n. 9369/2021 del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 07/09/2021;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con decreto del 20.5.2020 il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche liquidava in favore di COGNOME Giuseppe la somma di € 300 per l’assistenza professionale dallo stesso svolta in favore di NOME COGNOME ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, nell’ambito di un giudizio amministrativo.
Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Ancona accoglieva l’opposizione interposta dal COGNOME avverso la predetta liquidazione, riconoscendogli la maggior somma di € 837,55 determinata in base ai valori medi della tariffa professionale previsti per le cause di valore compreso tra € 5.200,01 ed € 26.000, al netto delle decurtazioni previste, rispettivamente, dall’art. 4, comma 4, del D. M. n. 55 del 2014, per l’assenza di specifiche questioni di fatto e diritto, e dall’art. 130 del D.P.R. n. 115 del 2002.
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione il Ministero dell’Economia e Finanze ed il Ministero della Giustizia, affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso COGNOME Giuseppe.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 100 e 112 c.p.c. e del principio del contraddittorio, nonché la nullità della decisione e del procedimento, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché il Tribunale avrebbe erroneamente dichiarato la contumacia del Ministero
della Giustizia, senza considerare che il Ministero dell’Economia e Finanze si era costituito ed aveva svolto specifiche difese.
La censura è inammissibile, per difetto di specificità, per la parte in cui la parte ricorrente lamenta la mancata disamina delle difese concernenti la fondatezza della pretesa del COGNOME, che il Ministero dell’Economia e Finanze avrebbe formulato nel giudizio di opposizione, poiché la censura non indica, neppure sommariamente, quale sarebbe il contenuto di dette difese. Inoltre, ed in ogni caso, poiché l’ordinanza impugnata affronta in dettaglio la questione relativa alla spettanza del compenso al COGNOME, alla sua quantificazione in relazione al valore ed alle caratteristiche della controversia, all’individuazione dello scaglione di tariffa applicabile e dei relativi valori, ed infine alle decurtazioni previste dalla legge, non si configura alcun omesso esame delle difese incidenti sulla fondatezza della pretesa dell’odierno controricorrente, le quali sono state evidentemente disattese implicitamente dal giudice di merito.
La doglianza, inoltre, è inammissibile anche per la parte in cui contesta il mancato esame dell’eccezione di carenza di legittimazione passiva, sollevata dal Ministero della Giustizia, poiché essa non è sostenuta da adeguato interesse all’impugnazione, posto che l’evocazione in giudizio di un’amministrazione dello Stato in luogo di altra non implica alcuna conseguenza sulla validità dell’instaurazione del rapporto processuale, ma comporta, al massimo, la rinnovazione della notificazione dell’atto nei confronti dell’organo titolare della legittimazione passiva; il che, nella fattispecie, non era necessario, poiché, come la stessa parte ricorrente riconosce, ambedue le amministrazioni (ovverosia Ministero della Giustizia e Ministero dell’Economia e Finanze) si erano ritualmente costituiti nel giudizio di opposizione.
Il motivo, poi, è infondato per la parte in cui contesta l’erronea indicazione, nell’ordinanza impugnata, della contumacia del Ministero della Giustizia, come pure l’omessa indicazione, nella stessa, della presenza nel giudizio di merito del Ministero dell’Economia e Finanze, poiché ambedue le sviste non implicano alcuna nullità del procedimento o della decisione, ma rappresentano semplici irregolarità, non incidenti sulla validità dell’instaurazione del contraddittorio né sullo svolgimento del processo e sulla relativa decisione finale.
Con il secondo motivo, la parte ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 185 del D.P .R. n. 112 ( recte , 115) del 2002, 100 e 112 c.p.c., nonché la nullità della decisione e del procedimento, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché la legittimazione passiva in relazione ai giudizi di opposizione aventi ad oggetto liquidazioni del compenso dovuto al difensore di una parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato nell’ambito di un giudizio amministrativo appartiene al Ministero dell’Economia e Finanze, e non al Ministero della Giustizia.
La censura è inammissibile per gli stessi motivi enunciati in relazione alla prima doglianza, posto che comunque nel caso di specie è la stessa parte ricorrente a dare atto che il Ministero dell’Economia e Finanze (cui spettava la legittimazione passiva) si era costituito e difeso. Anche in questo caso, dunque, la censura non è sorretta da interesse concreto, dovendosi ribadire il principio secondo cui ‘L’interesse ad agire richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per l’attore senza che siano ammissibili questioni di interpretazioni di norme, se non in
via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla domanda principale di tutela del diritto ed alla prospettazione del risultato utile e concreto che la parte in tal modo intende perseguire’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28405 del 28/11/2008; Rv. 605612; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 15355 del 28/06/2010, Rv. 613874; Cass. Sez. 6-L, Ordinanza n. 2051 del 27/01/2011, Rv. 616029; Cass. Sez. L, Sentenza n. 6749 del 04/05/2012, Rv. 622515). Infatti ‘… il processo non può essere utilizzato solo in previsione della soluzione in via di massima o accademica di una questione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche’ (Cass. Sez. L, Sentenza n. 27151 del 23/12/2009, Rv. 611498).
Con il terzo motivo, la parte ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione degli artt. 82 e 130 del D.P.R. n. 112 ( recte , 115) del 2002 e 5, comma quinto, del D.M. n. 55 del 2014, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente liquidato le somme spettanti al Lufrano, senza rispettare il divieto generale di riconoscere al difensore della parte ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato un compenso superiore al valore medio della tariffa professionale applicabile.
La censura è inammissibile, in primo luogo per difetto di interesse, in quanto la parte ricorrente assume che la controversia presupposta fosse di bassa complessità, con conseguente applicazione dello scaglione di tariffa previsto per le cause di valore non superiore ad € 26.000, ma non si avvede che tale scaglione è esattamente quello applicato, nel caso concreto, dall’ordinanza impugnata. In secondo luogo, la doglianza è anche carente di specificità, perché la contestazione della somma liquidata in concreto dal giudice di merito, con applicazione dello scaglione previsto per le cause di valore non superiore ad € 26.000, con le decurtazioni di cui all’art. 4, comma 4,
del D. M. n. 55 del 2014, per l’assenza di specifiche questioni di fatto e diritto, e dall’art. 130 del D.P .R. n. 115 del 2002, non viene accompagnata dalla indicazione, a cura del ricorrente, di quali sarebbero stati gli importi che il Tribunale avrebbe dovuto liquidare. Sotto questo profilo, va data continuità al principio secondo cui è onere della parte che contesti, in sede di legittimità, la liquidazione delle spese operata dal giudice di merito, indicare quale sarebbe, in concreto, il pregiudizio economico conseguente al vizio denunciato. Pertanto, qualora il ricorrente lamenti la scorretta applicazione di una determinata tariffa, o di uno scaglione della stessa, in luogo di quelli cui il giudice di merito avrebbe dovuto fare riferimento, ha l’onere di specificare, nel motivo di censura dedotto in Cassazione, le voci e gli importi considerati in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 30716 del 21/12/2017, Rv. 647175; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 18086 del 07/08/2009, Rv. 609456; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 27020 del 15/11/2017, Rv. 64617), di indicare il valore della controversia (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 2532 del 10/02/2015, Rv. 634324) e di dimostrare quali siano state, in concreto, le violazioni dei limiti tariffari (Cass. Sez. 63, Ordinanza n. 7654 del 27/03/2013, Rv. 625598), perché solo in questo modo il collegio viene posto in grado di apprezzare quale sarebbe stato, in concreto, il pregiudizio economico che la parte avrebbe subito per effetto del vizio denunciato.
Alla luce delle esposte argomentazioni, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a
titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 1.000 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200 ed agli accessori di legge, inclusi iva e cassa avvocati.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda