Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 829 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 829 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 13/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 29077-2020 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso da sé stesso (CODICE_FISCALE.
-ricorrente-
contro
FALLIMENTO JONICAGRUMI RAGIONE_SOCIALE
– intimato –
avverso il decreto n. 412/2020 emesso da TRIBUNALE LOCRI;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/12/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con il provvedimento impugnato il Tribunale di Locri, decidendo sul ricorso ex art. 26 l. fall. presentato dall’Avv. COGNOME nei confronti del RAGIONE_SOCIALE ed avverso il decreto di liquidazione del suo compenso professionale adottato dal g.d. in data 2.3.2020, ha accolto parzialmente il reclamo nei termini qui di seguito precisati.
Il Tribunale ha osservato e rilevato che: (i) in tema di liquidazione dei compensi del difensore l’art. 6 d.m. 2004 stabilisce che devono essere usati i criteri indicati dal codice di procedura civile, tranne che ciò non sia possibile, e che l’art. 10 d. att. c.p.c. indica come parametro di rife rimento la domanda giudiziale; (ii) su punto il reclamante aveva affermato che il valore della controversia sarebbe stato desumibile dal differenziale tra il valore del complesso aziendale e l’esiguo prezzo di vendita corrisposto dall’acquirente all’incanto; (iii) ‘nel caso di specie, trattandosi di domanda di natura risarcitoria, collegata al verificarsi di un fatto illecito che richiede accertamenti di diversa natura e, come tale, non suscettibile, in una forbice così ampia di valutazione, di una quantificazione, aprioristicamente, del valore approssimativo della domanda’ e considerato che in tutti i giudizi oggetto di richiesta del compenso vi era stata pronuncia di compensazione delle spese di lite, occorreva prendere atto che, sul punto, il reclamante aveva affermato che il valore della controversia sarebbe stato desumibile dal ‘differenziale tra il valore del complesso aziendale e l’esiguo prezzo di vendita corrisposto dall’acquirente all’incanto’ ; (iv) occorreva ritenere congruo riconoscere ‘per i temi affrontati e l’importanza dei diritti reclamati, la complessità alta della controversia’; (v) le ulteriori doglianz e sollevate dalla odierna parte ricorrente dovevano invece essere considerate infondate, in quanto, da un lato, la semplice partecipazione alla udienza collegiale davanti alla Corte d’appello e al Tar non poteva determinare il riconoscimento dello svolgimento dell’attività di istruzione e trattazione, in assenza della prova del compimento di un ulteriore esplicazione delle difese già svolte negli atti difensivi depositati e, dall’altro, l’identità della domanda risarcitoria, avanzata nei confronti di più parti aventi la medesima posizione, non avrebbe potuto determinare l’aumento del 20% del compenso, come stabilito dall’art. 4 del d.m. 55/2014;
(vi) stante il disposto del predetto art. 4, occorreva tener conto ‘dei risultati conseguiti’ e (vii) che il giudizio, protrattosi per diversi anni, si era poi concluso con il rigetto della domanda per difetto di prova dei presupposti della fattispecie risarcitoria, circostanza che, unitamente alla serialità delle difese nei diversi giudizi, giustificava l’applicazione dei minimi tariffari; (viii) occorreva pertanto concludere per la determinazione dei seguenti onorari: (a) per il procedimento innanzi al Tribunale di Locri euro 2.142 per diritti ed euro 1890 per onorari; (b) per il procedimento Tar Calabria, euro 4.925; (c) per il procedimento innanzi alla Corte di appello di Reggio Calabria, euro 4.750, oltre accessori di legge.
Il provvedimento, pubblicato il 4.9.2020, è stato impugnato da COGNOME con ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Il RAGIONE_SOCIALE intimato, non ha svolto difese.
È stata formulata proposta di definizione accelerata del ricorso, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., essendo stati ravvisati profili di inammissibilità di tutti i motivi del ricorso.
Il ricorrente ha proposto istanza di decisione, con memoria depositata ai sensi del medesimo art. 380 bis c.p.c.
È stata, quindi, disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..
La parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., ‘nullità della sentenza per insussistenza di uno dei requisiti posti dall’art. 132 c.p.c. e dall’art. 118 disp. att. c.p.c. Motivazione apparente ovvero obiettivamente illogica ed incomprensibile’ .
Con il secondo mezzo si deduce ‘Violazione e falsa applicazione del limite di cui all’art. 2233, comma 2, cc Violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 14 cpc -Violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 2, del DM 55/2014 e dell’art. 6, comma 2, DM 55/2014 e alle allegat e tabelle dei parametri forensi nn. 12 e 21 -Violazione e falsa applicazione delle tabelle A(II) e B(I) allegate al DM 127/2004; Violazione e falsa applicazione dell’art.
24 della L. 794/1942 e dell’art. 4 del DM 127/2004, in relazione alla liquidazione dei compensi afferenti al procedimento avanti il Tribunale di Locri, sez. Siderno. In relazione all’art. 360 n. 3 cpc’.
I motivi sopra esposti sono inammissibili, esattamente per le ragioni già evidenziate nella proposta di decisione accelerata di cui all’art. 380 bis c.p.c., che la Corte ritiene del tutto condivisibili e che fa proprie. Quanto al primo motivo, non sussiste la prospettata nullità del provvedimento impugnato per supposta apparenza, illogicità ed incomprensibilità della sua motivazione, la quale non risulta inferiore al ‘minimo costituzionale’ (Cass. Sez. U, 8053/2014; conf. Cass. 17586/2023, 7090/2022, 22598/2018, 23940/2017).
Il Tribunale infatti, nel riliquidare in aumento i compensi in favore del reclamante, ha chiaramente: i) indicato i tre giudizi patrocinati dal legale incaricato dalla curatela fallimentare (due gradi di giudizio dinanzi al giudice ordinario sulla domanda di risarcimento danni, conclusosi con declaratoria di difetto di giurisdizione in favore del giudice amministrativo; giudizio dinanzi al TAR conclusosi con il rigetto della domanda, di cui il giudice delegato non ha autorizzato l’appello, nonostante il par ere favorevole del difensore); ii) descritto le specifiche voci di liquidazione dei compensi da parte del giudice delegato, sulla base dei corrispondenti parametri normativi (d.m. 127/04 e d.m. 55/14) applicati su ‘valore indeterminabile’; iii) indicato i riferimenti normativi in rilievo (art. 10 c.p.c., art. 6 d.m. cit.) e gli orientamenti giurisprudenziali in materia; iv) valutato la complessità dei giudizi (nei quali all’esito negativo si è accompagnata la compensazione delle spese) , ma anche l’inadeguat ezza di una quantificazione aprioristica del valore della domanda di risarcimento danni (lire 5.430.900.000 pari alla differenza tra il valore di stima dei beni, lire 5.490.900.000 e il prezzo di aggiudicazione esattoriale da parte del Comune, lire 60.000. 000); v) tenuto conto, ai sensi dell’art. 4 d.m. 55/14, dei ‘risultati conseguiti’ (‘rigetto della domanda per difetto di prova dei presupposti della fattispecie risarcitoria’) e della ‘serialità delle difese nei diversi giudizi’); vi) disatteso ulteriori specifiche doglianze (su attività svolte e difesa di più parti).
Anche le violazioni di legge lamentate con il secondo mezzo non sussistono, poiché la motivazione si pone in linea con l’orientamento consolidato di questa Corte che, in tema liquidazione degli onorari di avvocato a carico del cliente, attribuisce al giudice un generale potere discrezionale di adeguare la misura dell’onorario all’effettiva importanza della prestazione resa, qualora ravvisi una manifesta sproporzione tra il “petitum” e l’effettivo valore della controversia (Cass. 19520/2015).
In particolare, in base a una lettura coordinata dell’art. 6, comma 2, d.m. n. 127/04 e del successivo comma 4 -ove, nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, per la determinazione del valore effettivo della controversia deve aversi riguardo al valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti -si è affermato il principio, di generale applicazione (Cass. 14691/2015, 1805/2012, 13229/2010), per cui, anche nei rapporti tra avvocato e cliente (e non solo nei confronti della parte soccombente, per la quale il comma 1 ammette espressamente, nelle cause di risarcimento di danni, la determinazione del valore della lite secondo il criterio del decisum), sussiste la possibilità di concreto adeguamento degli onorari al valore effettivo e sostanziale della controversia, ove sia ravvisabile una manifesta sproporzione con quello derivante dall’applicazione delle norme del codice di rito.
Tale interpretazione risponde a quel “principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato nell’opera professionale effettivamente prestata” che le Sezioni Unite hanno ritenuto desumibile dall’interpretazione sistematica delle disposizioni in questione (Cass. Sez. U, 19014/07).
Deve pertanto ritenersi che, sebbene il richiamo della norma tariffaria al “valore presunto a norma del codice di procedura civile” si riferisca a tutte le regole dettate dal codice di rito per la determinazione del valore della controversia, ivi compresa quella ex artt. 10 e 14 c.p.c. (quantum della domanda nelle cause relative a somme di danaro), resta tuttavia ferma la facoltà discrezionale del giudice di adeguare la misura dell’onorario all’effettiva importanza della prestazione, in relazione alla concreta valenza economica della controversia, ove ne ravvisi la manifesta sproporzione o inadeguatezza rispetto al petitum, desumibile dagli implicati interessi
sostanziali (Cass. 18942/2020, 18507/2018, 14691/2015, 7807/2013, 23809/2012).
Nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, quindi, il giudice di merito deve di volta in volta verificare l’attività difensiva che il legale ha dovuto apprestare, tenuto conto delle peculiarità del caso specifico, in modo da stabilire se l’importo oggetto della domanda possa costituire un parametro di riferimento idoneo ovvero se lo stesso si riveli del tutto inadeguato rispetto all’effettivo valore della controversia, tenuto conto anche della sproporzione tra la pretesa azionata e quanto poi attribuito alla parte assistita, perché, a prescindere dai profili di responsabilità ascrivibili al professionista, il compenso preteso alla stregua della relativa tariffa può manifestare una obbiettiva inadeguatezza e quindi non rappresentare effettivamente il corrispettivo della prestazione espletata (Cass. 18507/2018, che ha ritenuto legittimo parametrare il valore della controversia non alla domanda, ma a quanto effettivamente attribuito a titolo di risarcimento dei danni).
Il principio è stato di recente ribadito anche con riguardo alle corrispondenti disposizioni dell’art. 5 del d.m. 55/14, art. 5, sul rilievo che ‘il giudice, ove ravvisi una manifesta sproporzione tra formale “petitum” e l’effettivo valore della controversia, quale è desumibile dai sostanziali interessi in contrasto, gode di una generale facoltà discrezionale di adeguare la misura dell’onorario all’effettiva importanza della prestazione, in relazione alla concreta valenza economica della controversia’ (Cass . 28885/2023).
Quanto poi all’individuazione, in concreto, del diverso e più appropriato valore di riferimento, nell’impossibilità di ricorrere alle somme in concreto riconosciute a titolo risarcitorio (nel caso di specie pari a zero), appare del tutto plausibile il ricorso in via suppletiva al criterio della causa di valore indeterminabile (cfr., sia pure ad altri fini, Cass. 23406/2023 e 14691/2015).
Il ricorso è dunque dichiarato inammissibile.
Per le spese del giudizio di cassazione nessuna statuizione è dovuta, stante la mancata difesa della parte intimata.
Sussistono, inoltre, i presupposti per la condanna del ricorrente, nella presente sede, sia ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c. (disposizione immediatamente applicabile anche ai giudizi in corso alla
data del 1° gennaio 2023 per i quali a tale data non era stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio, come nella specie: cfr. Cass., Sez. U, Ordinanza n. 27195 del 22/09/2023; Sez. U, Ordinanza n. 27433 del 27/09/2023).
La Corte stima eq uo fissare in € 2.500 la sanzione ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c. anche atteso il carattere consolidato dei principi giurisprudenziali applicati e la manifesta inammissibilità del ricorso, per i motivi ampiamente esposti.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Per questi motivi
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
-condanna il ricorrente a pagare l’importo di € 2.500 in favore della cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c..
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile della Corte di