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Liquidazione compenso avvocato: i criteri corretti

Un avvocato ha richiesto la liquidazione del proprio compenso per un’attività svolta in un giudizio di equa riparazione. La Corte d’Appello aveva liquidato una somma ridotta, applicando le tabelle per la volontaria giurisdizione e negando le spese di lite a causa della mancata opposizione del cliente. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, stabilendo che per la liquidazione compenso avvocato in questi casi si deve applicare la tariffa per i procedimenti contenziosi e che le spese sono dovute anche in caso di contumacia del convenuto, poiché è quest’ultimo ad aver dato causa al giudizio.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Liquidazione Compenso Avvocato: La Cassazione Fa Chiarezza sui Criteri

La corretta liquidazione compenso avvocato rappresenta un tema centrale nella professione legale. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione, la n. 6002/2025, è intervenuta per ribadire principi fondamentali in materia, specificamente riguardo ai giudizi per equa riparazione e al diritto al rimborso delle spese legali anche quando la controparte non si oppone. La decisione chiarisce che la natura del procedimento e la causa scatenante della lite sono elementi decisivi per determinare sia l’importo del compenso sia la ripartizione dei costi processuali.

I Fatti del Caso: Una Richiesta di Compenso Sottostimata

Un legale si era rivolto alla Corte d’Appello per ottenere la liquidazione del proprio compenso per l’attività professionale svolta a favore di un cliente in un precedente giudizio. Tale giudizio era finalizzato a ottenere un’equa riparazione per l’irragionevole durata di un altro processo. La Corte d’Appello aveva accolto solo parzialmente la richiesta, liquidando una somma esigua. I giudici di merito avevano commesso due errori principali: in primo luogo, avevano applicato le tabelle dei compensi previste per i procedimenti di volontaria giurisdizione, anziché quelle, più onerose, per i procedimenti contenziosi. In secondo luogo, non avevano liquidato le spese di lite a favore dell’avvocato, motivando la decisione con la mancata opposizione del cliente al procedimento.

La Decisione della Corte di Cassazione e la corretta liquidazione compenso avvocato

L’avvocato ha impugnato l’ordinanza dinanzi alla Corte di Cassazione, sollevando due motivi di ricorso, entrambi accolti dalla Suprema Corte. La decisione ha cassato con rinvio il provvedimento, delineando in modo netto i principi da seguire.

Primo Motivo: Procedimento Contenzioso o di Volontaria Giurisdizione?

La Cassazione ha affermato, in linea con la sua giurisprudenza consolidata, che il procedimento per l’equa riparazione del danno da irragionevole durata del processo (ai sensi della Legge n. 89/2001) ha natura contenziosa. Di conseguenza, ai fini della liquidazione compenso avvocato, devono essere applicate le tabelle relative ai procedimenti contenziosi (nello specifico, la tabella 12 allegata al d.m. 55/2014) e non quelle, ridotte, previste per la volontaria giurisdizione. L’errore della Corte d’Appello ha portato a una sottostima ingiustificata del lavoro svolto dal professionista.

Secondo Motivo: La Soccombenza e il Diritto al Rimborso delle Spese

Anche il secondo motivo è stato ritenuto fondato. La Corte Suprema ha chiarito che la mancata opposizione del cliente (desunta dalla sua contumacia) non giustifica la compensazione delle spese processuali. Il criterio essenziale per determinare la soccombenza è l’aver dato causa al giudizio. Nel caso di specie, l’avvocato è stato costretto ad adire le vie legali per ottenere il riconoscimento di un proprio diritto al compenso, che non era stato spontaneamente soddisfatto. La circostanza che il cliente, una volta citato in giudizio, non si sia difeso attivamente, non elimina la sua responsabilità per aver reso necessario l’intervento del giudice.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha basato la sua decisione su principi giuridici consolidati. In primo luogo, ha ribadito che la natura di un procedimento non dipende dal comportamento processuale delle parti, ma dalla sua struttura intrinseca. Un giudizio per equa riparazione, pur svolgendosi in camera di consiglio, è intrinsecamente contenzioso perché mira a risolvere un conflitto di interessi tra due parti. In secondo luogo, ha riaffermato il principio di causalità nella soccombenza: la parte che con il suo comportamento inadempiente costringe l’altra a intraprendere un’azione legale è considerata soccombente e, come tale, è tenuta a rimborsare le spese di lite, anche se rimane contumace o riconosce le ragioni dell’attore solo dopo l’inizio della causa. Negare il rimborso delle spese in questi casi significherebbe penalizzare ingiustamente chi ha dovuto agire in giudizio per tutelare un proprio diritto.

Le Conclusioni

Questa ordinanza della Cassazione è di fondamentale importanza per gli avvocati, poiché rafforza la tutela del diritto al compenso. Stabilisce chiaramente che la liquidazione compenso avvocato per i giudizi di equa riparazione deve seguire i parametri delle cause contenziose, garantendo un giusto riconoscimento economico. Inoltre, conferma che il diritto al rimborso delle spese di lite non può essere negato sulla base della mera passività della controparte. La decisione invita i giudici di merito a valutare chi ha effettivamente dato origine alla controversia, assicurando che l’onere economico del processo gravi sulla parte che lo ha reso necessario con il proprio inadempimento.

Un procedimento per equa riparazione da irragionevole durata del processo è considerato contenzioso ai fini della liquidazione del compenso all’avvocato?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che, ai fini della liquidazione delle spese processuali, il procedimento camerale per l’equa riparazione va considerato di natura contenziosa, con la conseguenza che si applicano le tabelle degli onorari previste per tali giudizi.

Se la parte convenuta non si presenta in giudizio (contumacia), l’attore che vince la causa ha comunque diritto al rimborso delle spese legali?
Sì, la mancata opposizione della parte convenuta, desunta dalla sua contumacia, non giustifica di per sé la compensazione delle spese processuali. L’attore ha diritto al rimborso se è stato costretto a rivolgersi al giudice per ottenere il riconoscimento del suo diritto.

Perché la mancata opposizione del debitore non giustifica la compensazione delle spese processuali?
Perché il criterio essenziale per determinare chi deve pagare le spese (soccombenza) è l’aver dato causa al giudizio. Se un debitore non paga spontaneamente, costringendo il creditore a intentare una causa, è il debitore ad aver causato il processo e deve quindi sopportarne i costi, anche se poi non si difende attivamente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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