Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11266 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11266 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso 2576-2023 proposto da:
NOME COGNOME in proprio e quale difensore di NOME COGNOME per procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall ‘ AVV_NOTAIO per procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso il DECRETO N. 24995/2022 DEL TIBUNALE DI ROMA, depositato in data 30/11/2022;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME nell ‘adunanza in camera di consiglio del 27/2/2024;
FATTI DI CAUSA
1.1. NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno chiesto di essere ammessi al passivo del RAGIONE_SOCIALE per l ‘ importo di €. 215.992,00 ciascuno a titolo di compenso maturato per le prestazioni professionali che gli stessi in qualità di avvocati avevano compiuto per la società poi fallita.
1.2. Il giudice delegato ha ammesso gli istanti al passivo del fallimento per l ‘ importo complessivo di €. 202.044,81.
1.3. NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto opposizione allo stato passivo chiedendo l ‘ ammissione anche per l ‘ importo escluso.
1.4. Il tribunale, con il decreto in epigrafe, ha rigettato l ‘ opposizione.
1.5. Il tribunale, in particolare, ha ritenuto che: -‘ l ‘ importo già ammesso in sede di verifica dal G.D. è da ritenersi correttamente quantificato sia in relazione al valore della causa che all ‘ attività professionale effettivamente svolta ‘ ed ‘ in conformità alla tariffa professionale applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame (ossia, il D.M. 127/2004) ‘ ; -il compenso spettante al professionista, infatti, può essere quantificato dal giudice secondo il suo discrezionale e prudente apprezzamento, non potendosi riconoscere portata vincolante ai parametri indicati nelle tariffe forensi, con l ‘ unica limitazione rappresentata dal rispetto dei c.d. ‘ minimi e massimi tariffari ‘ e con la precisazione che le valutazioni dell ‘ organo giurisdizionale, se contenute entro tali limiti, non richiedono neppure una motivazione specifica; – è, dunque, evidente, ha concluso il tribunale, che, nel caso in esame, il giudice delegato ha provveduto alla corretta determinazione dell ‘ importo del credito ammesso al passivo, nell ‘ esercizio del suo potere discrezionale e nel rispetto dell ‘ unico vincolo a tale discrezionalità, rappresentato dall ” inderogabilità dei parametri minimi ‘.
1.6. Il tribunale, quindi, ha rigettato l ‘ opposizione.
1.7. NOME COGNOME e NOME COGNOME, con ricorso notificato 16/1/2023, hanno chiesto, per un motivo, la cassazione del decreto.
1.8. Il RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso e depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Con l ‘ unico motivo articolato, i ricorrenti, lamentando la violazione e/o falsa applicazione del d.m. n. 127/2004, in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c., hanno censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha rigettato l ‘ opposizione proposta sul rilievo che l ‘ importo del credito ammesso al passivo era stato correttamente determinato dal giudice delegato nell ‘ esercizio del suo potere discrezionale, senza, tuttavia, considerare che, in base al d.m. n. 127 cit., la liquidazione dei compensi dev ‘ essere operata secondo il criterio fondamentale costituito dal ‘ valore della causa ‘, rispetto al quale sono parametrati i minimi e massimi del relativo scaglione, come, del resto, gli opponenti avevano espressamente domandato, quando, con l’atto d’opposizione, aveva chiesto al tribunale di determinare il compenso maturato avendo riguardo al valore dei singoli giudizi così come indicato nel ‘ documento riepilogativo ‘ depositato dagli opponenti nel corso del giudizio.
2.2. Il motivo è inammissibile. L ‘ inosservanza da parte del giudice dei parametri previsti dalla tariffa forense nella liquidazione degli onorari spettanti al difensore in ragione dell ‘ erronea determinazione del valore della domanda richiede, infatti, ai fini della specificità del motivo, che, a differenza di quanto accaduto nel caso in esame, il ricorso per cassazione specifichi, con la dovuta chiarezza, tutti gli elementi necessari per la corretta individuazione del predetto valore e delle voci della tariffa professionale che in conseguenza sarebbero state violate.
2.3. In effetti, il superamento, da parte del giudice, dei limiti minimi e massimi della tariffa forense nella liquidazione
delle spese giudiziali configura un vizio in iudicando e, pertanto, ai fini dell ‘ ammissibilità della censura, è necessario che nel ricorso per cassazione siano specificati i singoli conteggi contestati e le corrispondenti voci della tariffa professionale violate, al fine di consentire alla Corte il controllo di legittimità, senza dover espletare un ‘ ammissibile indagine sugli atti di causa (Cass. n. 22983 del 2014).
2.4. In sede di ricorso per cassazione, invero, la determinazione, del giudice di merito, relativa alla liquidazione delle spese processuali può essere censurata solo attraverso la specificazione delle voci in ordine alle quali lo stesso giudice sarebbe incorso in errore, sicché è generico il mero riferimento a prestazioni, che sarebbero state riconosciute in violazione della tariffa massima, senza la puntuale esposizione delle voci in concreto liquidate dal giudice, con derivante inammissibilità dell ‘ inerente motivo (Cass. n. 10409 del 2016).
2.5. Nel caso in esame, il ricorso per cassazione, al di là della riproduzione del prospetto riepilogativo già depositato in giudizio (p. 5 e p. 11), non ha illustrato, con la dovuta chiarezza, gli elementi necessari per individuare con certezza, anche alla luce del relativo thema decidendum , l’effettivo valore dei singoli giudizi ed è, per l’effetto, inammissibile.
2.6. L’art. 6, comma 2, prima parte, del d.m. n. 127/2004, applicabile ratione temporis , prevede, infatti, che, nella liquidazione dei compensi ‘a carico del cliente ‘, si ha riguardo ‘ al valore effettivo della controversia quando esso risulti manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile’, avendo riguardo, come chiarisce il comma 4, ‘ al valore dei diversi interessi perseguiti dalle parti ‘.
2.7. Il giudice, pertanto, al fine di determinare il valore della controversia, deve preliminarmente verificare se la somma
che è oggetto della domanda (quale emerge dal prospetto riprodotto in ricorso) sia o no manifestamente diversa rispetto al ‘valore effettivo della controversia ‘, così come determinato anche in ragione dell’entità economica dell’interesse sostanziale perseguito dal cliente.
2.8. Nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 18507 del 2018; Cass. n. 1805 del 2012; Cass. n. 13229 del 2010), del resto, si è affermato e consolidato il principio secondo il quale, nei rapporti tra avvocato e cliente, il giudice, ove ravvisi una manifesta sproporzione tra il formale petitum e l’effettivo valore della controversia, qual è desumibile dai sostanziali interessi in contrasto, gode di una generale facoltà discrezionale di adeguare la misura dell’onorario all’effettiva importanza della prestazione, in relazione alla concreta valenza economica della controversia.
2.9. Nel caso della liquidazione degli onorari a carico del cliente, quindi , l’indagine, che di volta in volta il giudice di merito deve compiere, è quella di verificare l’attività difensiva che il legale ha dovuto apprestare, tenuto conto delle peculiarità del caso specifico, in modo da stabilire se l’importo oggetto della domanda possa costituire un parametro di riferimento idoneo ovvero se lo stesso si riveli del tutto inadeguato rispetto all’effettivo valore della controversia ( Cass. n. 1805 del 2012; Cass. n. 18507 del 2018).
Il ricorso , per l’inammissibilità del motivo addotto, è, a sua volta, inammissibile : e come tale dev’essere dichiarato .
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
La Corte dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento in favore del RAGIONE_SOCIALE controricorrente delle spese di giudizio , che liquida in €. 8.200,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, nella Camera di consiglio della Prima