Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25539 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25539 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 17/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17657 – 2019 proposto da:
NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrente –
contro
avv. COGNOME rappresentato e difeso da sé stesso, ex art. 86 cod. proc. civ., con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– controricorrente e ricorrente incidentale-
avverso l’ordinanza del TRIBUNALE DI POTENZA, resa nel giudizio n. R.G. 1331/2018, pubblicata il 5/4/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/6/2024 dal consigliere NOME COGNOME lette le memorie delle parti.
FATTI DI CAUSA
Con ordinanza del 4 aprile 2019, il Tribunale di Potenza, in parziale accoglimento della opposizione di NOME COGNOME e NOME NOME COGNOME revocò il decreto ingiuntivo ottenuto, nei loro confronti, dall’avvocato NOME COGNOME per l’importo di Euro 51.031,96 oltre accessori e spese, condannandoli però al pagamento, in favore dell’avvocato opposto, di Euro 24 .718,23 a titolo di compensi professionali per l’attività svolta in loro favore in un giudizio civile di petizione ereditaria e divisione.
In particolare, il Tribunale rilevò che l’avvocato COGNOME aveva ricevuto dagli opponenti un mandato alle liti nel solo giudizio iscritto al numero 163/19992 e aveva, quindi, cessato la sua attività con la partecipazione alle udienze del 19 luglio 2013 e del 7 novembre 2013. In ordine al quantum , il Tribunale applicò le tariffe del d.m. n. 142/12 perché l’attività defensionale era stata terminata nell’anno 2013; determinò, quindi, il valore della causa in riferimento non già all’intera massa attiva da dividere, ma soltanto alla quota in contestazione, raddoppiando il compenso in considerazione della natura e della complessità della controversia; applicò altresì un aumento del 100% per la presenza di più parti, secondo l’art. 4 comma quarto.
Avverso questa ordinanza NOME COGNOME e NOME NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, a cui l’avvocato COGNOME ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale sulla base di tre motivi.
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente si ritiene il ricorso comunque ammissibile, pur in mancanza della esatta indicazione numerica di uno dei cinque motivi di impugnazione previsti dall’art. 360, comma 1 cod. proc. civ., perché comunque l’argomentazione delle censure consente di ricondurre inequivocamente i vizi denunciati a una delle ipotesi della tassativa griglia normativa (v. Cass., Sez. U, n. 32415 del 08/11/2021).
Con il primo motivo NOME COGNOME e NOME NOME COGNOME hanno lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art. 2233 cod. civ. e del d.m. n. 55/2014, per avere il Tribunale liquidato i compensi dell’avvocato COGNOME in applicazione dei parametri del d.m. n. 140/2012 e non del d.m. n. 55/2014 , vigente all’epoca della decisione , nel 2016; in particolare, i ricorrenti sostengono che il d.m. n. 55/2014 costituirebbe «un sistema chiuso» che avrebbe implicitamente abrogato i parametri del d.m. n. 140/2012; ne deriverebbe l’ operatività nella fattispecie dell’art. 4 del d.m. n. 55/2014 e la preclusione del l’aumento «fino al doppio» come concesso ex art. 4 del d.m. n. 140/2012.
1.1. Il motivo è infondato. Nella fattispecie si controverte della liquidazione giudiziale del compenso dell’avv. COGNOME per l’attività difensiva svolta in favore dei due clienti, attuali ricorrenti, in un giudizio instaurato nel 1992, successivamente riunito ad altro fascicolo e conclusosi con sentenza nel 2016.
Il Tribunale ha, tuttavia, individuato nell’ottobre 2013 l’ultima attività difensiva -il deposito della comparsa conclusionale – svolta dall’avv. COGNOME in favore di NOME COGNOME e NOME Vito COGNOME: dopo tale data, ha ricostruito, in fatto, essere intervenuta «revoca/rinuncia» al mandato e cessata la rappresentanza, atteso che
successivamente non risulta svolta altra attività difensiva fino alla decisione del giudizio, tre anni più tardi.
Ciò posto in fatto, il Tribunale risulta aver correttamente applicato i parametri del d.m. n. 140/2012 in quanto vigenti alla data di esaurimento del mandato e di conclusione della prestazione e, perciò, unicamente applicabili ratione temporis , a prescindere dalla sopravvenienza di nuovi parametri sia all’epoca della pronuncia della sentenza che ha definito il giudizio, sia, ancor, più, alla data di liquidazione giudiziale del compenso: il principio è costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte, per cui la liquidazione avviene «ora per allora» in riferimento alla data di cessazione del mandato e dell’attività professi onale espletata (cfr. Cass., Sez. U, n. 17405 del 12/10/2012).
Non è conferente rispetto alla censura, quindi, il richiamo al principio stabilito da questa Corte (Cass. Sez. 2, n. 1018 del 17/01/2018 e Cass. Sez. 6 – 2, n. 1068 del 20/01/2020) in ordine alla «prevalenza» del d.m. n. 55/2014 sul d.m. n. 140 del 2012 non per ragioni di mera successione temporale, ma in quanto disciplina «speciale»: il principio, infatti, è riferito alla diversa questione -non posta nella specie -della necessità, per le liquidazioni operate ex d.m. n. 55/2014, del rispetto dei limiti dei parametri tabellarmente previsti, come disposto dall’ art. 4 del d.m. n. 55/2014; la precisazione si è resa necessaria perché l’ art. 1, comma 7 del d.m. 140/2012 disponeva che le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel decreto e nelle tabelle allegate, non fossero «vincolanti per la liquidazione stessa»; il principio sancito nelle pronunce invocate, tuttavia, non implica affatto, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, che i
parametri del d.m. n. 140/2012 debbano intendersi interamente abrogati dal successivo d.m. n. 55/2014.
2. Con il secondo motivo, formulato in via subordinata, i ricorrenti hanno lamentato la violazione o falsa applicazione dell’art. 2233 cod. civ., dell’art. 12 cod. proc. civ. e dell’art. 5 del d.m. n. 140/12 per avere il Tribunale riconosciuto all’avv. COGNOME i compensi della fase decisionale, pur avendo riscontrato la cessazione del mandato alla data della decisione; per altro profilo, i ricorrenti hanno contestato che il valore della causa e, in conseguenza, dello scaglione applicabile, sia stato individuato erroneamente non in riferimento alla domanda di simulazione oggetto dell’attività difensiva, ma in riferiment o alla domanda di divisione.
2.1. Il motivo è infondato.
Quanto al secondo profilo, da esaminarsi per primo per logica espositiva, il Tribunale ha precisato che nell’interesse dei ricorrenti era stata proposta una domanda «di simulazione, ma anche di ricomprensione di determinati beni nell’asse ereditario per la successiva divisione»; ha, perciò, individuato il valore della domanda avuto riguardo alla «quota in contestazione» intesa come complesso dei beni asseritamente compresi nell’asse ereditario; in tal senso il valore dei beni di cui si asseriva «l’intestazi one simulata» (così nel ricorso) è stata ritenuta come corrispondente alla quota contestata.
Così decidendo il Tribunale ha correttamente individuato il valore della controversia in riferimento all’art. 5 del d.m. 140/2012; ogni ulteriore contestazione in riferimento alla ricostruzione del contenuto della domanda come offerta nel provvedimento impugnato involge un diverso apprezzamento di fatto precluso a questo giudice di legittimità
ed esorbitante dal sindacato conseguente alla proposta censura di violazione di legge.
2.2. Gli stessi limiti di sindacato ricorrono rispetto al primo profilo: da un canto, infatti, la fase decisionale ricomprende un’ampia serie di attività, tra cui la precisazione delle conclusioni, l’esame del provvedimento conclusivo del giudizio, le memorie conclusionali e, d’altro canto, il Tribunale ha esplicitamente riportato (pag. 4 dell’ordinanza) come «non contestata» l’attività svolta dal difensore istante; in tal senso, ogni questione sulla valenza della comparsa conclusionale nell’ottobre 2013 , il cui deposito è stato individuato, come detto, come limite temporale dell’attività difensiva svolta , involge nuove valutazioni di fatto precluse in questa sede.
Con il primo motivo di ricorso incidentale, l’avv. COGNOME ha lamentato la erronea applicazione del d.m n. 142/12 in relazione all’art. 2233 cod. civ. per avere il Tribunale del tutto ignorato il parere di congruità dell’ordine professionale, sebbene nella giurisprudenza di legittimità la parcella dell’avvocato sia equiparata a un rendiconto che può essere soltanto contestato in modo specifico, con riferimento alle singole voci esposte.
3.1. Il motivo è infondato.
Per principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, la parcella corredata dal parere espresso dal competente Consiglio dell’Ordine d’appartenenza del professionista ha, per il combinato disposto degli artt. 633, comma 1 n. 2 e 636, comma 1 cod. proc. civ., valore di prova privilegiata e carattere vincolante per il giudice esclusivamente ai fini della pronunzia dell’ingiunzione, ma non nel successivo giudizio in contraddittorio, introdotto dall’ingiunto con l’opposizione ex art. 645 cod. proc. civ.; la parcella vistata, infatti,
costituisce una semplice dichiarazione unilaterale del professionista su cui l’organo associativo si è limitato ad esprimere un parere di congruità, senza effettuare controllo alcuno di effettività e di consistenza quanto alla prestazione.
In conseguenza, in ipotesi di opposizione del cliente assistito, è rimessa al libero apprezzamento del giudice l’effettività e la consistenza delle prestazioni eseguite ovvero l’applicazione della tariffa pertinente e la rispondenza ai parametri stabiliti delle somme richieste, né è necessaria, al fine di tale valutazione sul fondamento della pretesa nel rispetto del principio dispositivo, una specifica contestazione da parte dell’opponente perché l’avvocato creditore opposto assume la veste sostanziale di attore ed è su di lui che incombono i relativi oneri probatori ex art. 2697 cod. civ., (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 230 del 11/01/2016; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 357 del 10/01/2023).
Con il secondo motivo di ricorso incidentale, l’avvocato COGNOME ha lamentato la violazione dell’art 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia sulla richiesta di condanna per lite temeraria.
4.1. Il motivo è infondato. Il Tribunale ha accolto parzialmente l’opposizione, riconoscendo all’avvocato COGNOME un compenso in misura inferiore a quello preteso in ricorso per decreto ingiuntivo: questa Corte, sul punto, ha già statuito che la responsabilità aggravata ex art. 96 cod. proc. civ. integra una forma particolare di responsabilità processuale a carico della parte soccombente che abbia agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave, per modo che non può farsi luogo all’applicazione della norma predetta quando siano riconosciute, sia pure parzialmente, le ragioni fatte valere dalla parte (nella specie: parziale accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo), venendo in tale ipotesi a mancare il presupposto della totale soccombenza, per
altro accompagnata da un particolare stato soggettivo (Cass. Sez. 2, n. 13181 del 14/12/1992; Cass. Sez. 3, n. 15186 del 10/10/2003).
In tal senso, allora, revocando il decreto e compensando le spese, il Tribunale ha implicitamente rigettato la pretesa ex art. 96 cod. proc. civ. perché incompatibile con le statuizioni assunte (cfr. Cass. Sez. 1, n. 3876 del 2000).
Con il terzo motivo di ricorso incidentale l’avvocato COGNOME ha, infine, lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. per avere il Tribunale di Potenza compensato le spese per «la necessità di evitare l’ulteriore inasprimento dei rapporti tra le parti», cioè per una ragione non conferente rispetto alla previsione del secondo comma dell’art. 92 cod. proc. civ.
5.1. Il motivo è fondato.
Sul punto, deve innanzitutto richiamarsi il principio per cui in tema di spese processuali, l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, comma 2, cod. proc. civ..
Ciò precisato, in riferimento alla data di introduzione del giudizio, alla fattispecie è applicabile ratione temporis il secondo comma dell’art. 92, come sostituito dall’art. 13 d.l. 12 settembre 2014, n. 132 e modificato, in sede di conversione, dalla l. 10 novembre 2014, n. 162
e poi integrato dalla pronuncia additiva della Corte Costituzionale n. 77 del 2018.
Così formulata la norma consente la deroga alla regola della soccombenza nelle ipotesi individuate della soccombenza reciproca, del l’assoluta novità della questione trattata e del mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, oltre che, per la pronuncia additiva, per le «gravi ed eccezionali ragioni» verificatesi in diverse e analoghe fattispecie di sopravvenuto mutamento dei termini della controversia che il Giudice è tenuto a individuare ed esplicare. Sul punto, deve rammentarsi, come rimarcato dalla Corte Costituzionale, che già con il legislatore del 2009 i «giusti motivi» erano diventati le «gravi ed eccezionali ragioni» sicché il perimetro della clausola generale si era ridotto, ritenendo il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, che una più estesa applicazione della regola di porre a carico del soccombente totale le spese di lite rafforzasse il principio di responsabilità di chi promuoveva una lite, o resisteva in giudizio, con conseguente effetto deflattivo sul contenzioso civile, perché la giurisdizione non è una risorsa illimitata e le misure di contenimento del contenzioso civile risultano, perciò, necessarie.
In tal senso, la motivazione della statuizione di compensazione per «la necessità di evitare l’ulteriore inasprimento dei rapporti tra le parti» risulta effettivamente del tutto eccentrica rispetto alla previsione normativa e sul punto l’ordinanza impugnata deve essere cassata perché non ha correttamente applicato i principi elaborati sugli artt. 91 e 92 cod. proc. civ.
È, perciò, accolto il solo terzo motivo di ricorso incidentale, rigettato il ricorso principale e i restanti motivi di ricorso incidentale.
L’ordinanza impugnata è cassata in relazione all’unico motivo accolto del ricorso incidentale, con rinvio al Tribunale di Potenza, in diversa composizione, perché provveda ad una nuova regolamentazione delle spese in applicazione dei principi suesposti al punto 5.1. e, decidendo in rinvio, statuisca anche sulle spese di legittimità.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso incidentale, rigettato il ricorso principale e i restanti motivi di ricorso incidentale;
cassa l’ordinanza impugnata in relazione all’unico motivo accolto , con rinvio al Tribunale di Potenza in diversa composizione, anche per le spese di legittimità.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di Cassazione del 12 giugno 2024.
La Presidente NOME COGNOME