Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 6712 Anno 2025
Civile Ord. Sez. U Num. 6712 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/03/2025
Sul ricorso iscritto al n. r.g. 2557-2024 proposto da:
LEGATO NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 329/2023 della CORTE DEI CONTI – III SEZIONE GIURISDIZIONALE RAGIONE_SOCIALE – ROMA, depositata il 18/07/2023.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale chiede che la Corte dichiari inammissibile e, in subordine, rigetti il ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 329 del 18 luglio 2023 la Corte dei Conti -Sezione Terza Giurisdizionale Centrale d’Appello -ha rigettato l’appello di NOME COGNOME avverso la pronuncia della Sezione giurisdizionale per la regione Lombardia, n. 41 del 17 febbraio 2021, che aveva respinto tutte le domande proposte nei confronti dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale.
La ricorrente, ex docente di conversazione di lingua francese presso l’I.I.S. Giulio COGNOME di Cinisello Balsamo, era stata collocata in quiescenza con decorrenza dal 1° settembre 2018 in quanto, ad avviso dell’Amministrazione, aveva raggiunto l’età ord inamentale ed aveva maturato il diritto alla pensione di vecchiaia a seguito del provvedimento con il quale l’Inps, d’ufficio, aveva provveduto alla totalizzazione dei contributi maturati in Francia negli anni 1964, 1965 e 1967.
La COGNOME aveva contestato il provvedimento di totalizzazione ed il conseguente collocamento a riposo e aveva adito il Tribunale di Milano chiedendo: a) la dichiarazione di nullità dell’atto adottato dall’Inps; b) l’accertamento della effettiva anzianità contributiva maturata alla data del 1° settembre 2018; c) la condanna dell’Inps al pagamento delle retribuzioni non percepite e della contribuzione non versata per il periodo in cui l’attività lavorativa non era stata resa; d) il riconoscimento a fini giuridici del servizio non prestato dalla data di collocamento a riposo fino alla ricostituzione del rapporto di impiego; e) la condanna dell’Inps al risarcimento del danno.
Il Tribunale aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario quanto alle domande fondate sulla asserita illegittimità del provvedimento di totalizzazione e, pertanto, il giudizio era stato riassunto dinanzi alla Sezione
giurisdizionale della Corte dei conti per la Lombardia che, ritenuta legittima la totalizzazione, aveva accertato la maturazione da parte della ricorrente di un’anzianità contributiva pari, alla data del 1° settembre 2018, a 22 anni e 15 giorni e, quindi, tale da rendere obbligatorio a quella data il collocamento in quiescenza.
Il giudice d’appello, dopo aver premesso che le censure dell’appellante erano tutte incentrate sulla asserita illegittimità del provvedimento di collocamento in quiescenza, in quanto disposto sulla base di una totalizzazione anch’essa illegittima, ha condiviso le conclusioni alle quali la Sezione regionale era pervenuta e ha evidenziato che l’Inps correttamente aveva emesso l’atto impugnato, valorizzando, come prescritto dall’art. 5 del regolamento CE n. 987/2009, la certificazione formata dall’ente prev idenziale francese, attestante il versamento di tre anni interi di contributi.
Ha poi escluso che la totalizzazione dovesse essere necessariamente richiesta dall’interessata e ha ritenuto che la tesi sostenuta dall’appellante contrastasse con il chiaro tenore letterale dell’art. 6 del regolamento Ce n. 883/2004, nella parte in cui im pone all’istituzione competente dello Stato membro di tener conto, nella misura necessaria, dei periodi di assicurazione maturati presso altro Stato. Infine il giudice d’appello ha evidenziato che il diritto alla pensione di vecchiaia sorge al concorrere del requisito anagrafico, sussistente nel caso di specie perché la COGNOME aveva compiuto 67 anni di età alla data del 1° giugno 2017, e dell’anzianità contributiva minima, parimenti sussistente in quanto la appellante al momento del collocamento in quiescenza aveva maturato anni 22 e giorni 15 di contribuzione.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso, ex artt. 360 e 362 cod. proc. civ., NOME COGNOME sulla base di un unico motivo al quale ha opposto difese, con tempestivo controricorso, l’Inps.
L’Ufficio della Procura Generale ha depositato conclusioni scritte ed ha chiesto, in via principale, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, in subordine il rigetto dell’impugnazione.
La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso denuncia, con un unico motivo, «violazione e falsa applicazione artt. 13 e 62 del r.d. n. 1214 del 1934, art. 3 comma 2 d.lgs. 39/93 e s.m.i. -art. 111 Cost., comma 8, art. 360 c.p.c., c.1, n.1 e art. 362 c.p.c. » e rileva la contraddittorietà della sentenza impugnata perché, a detta della ricorrente, «il giudice a quo se da una parte afferma la propria giurisdizione, dall’altra dichiara di non potersi pronunciare sugli effetti demolitori dei provvedimenti delle pubbliche amministrazioni». La Legato addebita alla Corte di essere incorsa in un’omessa decisione su un punto decisivo della controversia, negando alla parte la invocata tutela giurisdizionale. Ribadisce che il provvedimento di totalizzazione doveva essere dichiarato nullo o inesistente perché sottoscritto dal funzionario NOME COGNOME che non era «il responsabile indicato nella copia notificata all’appellante, NOME COGNOME la cui firma autografa era sostituita con l’indicazione a mezzo stampa del suo nome» .
Il ricorso è inammissibile, innanzitutto perché svolge considerazioni che si riferiscono alla sentenza di primo grado e non a quella d’appello, impugnata in questa sede, che ha respinto il ricorso sul rilievo della piena legittimità degli atti adottati dall’istituto previdenziale, dai quali era derivata l’obbligatoria risoluzione del rapporto di impiego, avendo la Legato maturato i requisiti necessari per la pensione di vecchiaia.
Nessuna contraddittorietà si coglie, quanto alla giurisdizione ed ai poteri del giudice adito, nella pronuncia resa dalla Sezione d’appello, che non ha affrontato in alcun modo il tema inerente ai limiti del giudizio pensionistico, avendo ritenuto assorben te rispetto ad ogni altra questione l’accertata legittimità del provvedimento di totalizzazione.
La Corte dei Conti, ai sensi dell’art. 13 del r.d. n. 1214 del 1934, « giudica sui ricorsi in materia di pensione in tutto o in parte a carico dello Stato o di altri enti designati dalla legge» e nell’interpretare la disposizione in parola queste Sezioni Unite hanno reiteratamente affermato che la delimitazione dell’ambito della giurisdizione esclusiva è affidata al criterio di collegamento costituito dalla materia, onde in essa sono comprese tutte le controversie in cui il rapporto
pensionistico costituisca elemento identificativo del petitum sostanziale (Cass. S.U. n. 26252/2018 e Cass. S.U. n. 31024/2019), ossia le controversie funzionali alla pensione, quali sono, oltre a quelle aventi ad oggetto il sorgere ed il modificarsi del diritto, anche quelle inerenti a problemi connessi, fra i quali possono annoverarsi il riscatto dei periodi di servizio, la ricongiunzione di periodi assicurativi, la quantificazione di assegni accessori, la domanda di interessi e rivalutazione, il recupero di somme indebitamente erogate (in tal senso fra le tante Cass. S.U. 6 giugno 2024 n. 15848 con ampi richiami a precedenti).
3.1. Il sindacato della Suprema Corte sulle decisioni della Corte dei conti è circoscritto all’osservanza dei limiti esterni della giurisdizione e non si estende, neppure a seguito dell’inserimento della garanzia del giusto processo di cui all’art. 111 Cost., ad asserite violazioni di legge sostanziale o processuale, concernenti il modo di esercizio della giurisdizione speciale. Ciò perché l ‘assetto pluralistico delle giurisdizioni, scelto dal Costituente e reso evidente dalla diversa formulazione del settimo e d ell’ottavo comma dell’art. 111 Cost., assegna alla Corte di Cassazione il ruolo di organo regolatore della giurisdizione, non quello di garante ultimo della nomofilachia, ovvero della legittimità comunitaria, convenzionale e costituzionale delle norme, di rito e di merito, applicate dal giudice amministrativo o contabile.
Al riguardo è stato precisato che la categoria, di fonte giurisprudenziale, dell’eccesso di potere giurisdizionale si colloca sul crinale fra il settimo e l’ottavo comma del citato art. 111 Cost. (cfr. Cass. S.U. 9 luglio 2024 n. 18722) ed è ravvisabile nelle sole ipotesi di difetto assoluto o relativo di giurisdizione: il primo si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa (cosiddetta invasione o sconfinamento), o, al contrario, la neghi su ll’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); il secondo è riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici.
Esula, invece, dall’ambito dell’eccesso di potere, così delineato, l’errata interpretazione delle norme sostanziali e processuali, perché il vizio non è configurabile in relazione ad errores in procedendo o in iudicando , i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo (cfr. fra le tante Cass. S.U. 22 settembre 2023 n. 27160; Cass. S.U. 30 giugno 2023 n. 18539; Cass. S.U. 10 febbraio 2023 n. 4284).
3.2. Quanto, poi, all ‘arretramento della giurisdizione (che in questa sede la ricorrente sembra denunciare nel lamentare «un’omessa decisione su un punto decisivo della controversia che si traduce in una mancata tutela»), si è detto che lo stesso è ravvisabile solo in presenza di un rifiuto a pronunciare sulla domanda, inclusa invece nella giurisdizione del giudice contabile o amministrativo, determinato dall’affermata estraneità della domanda stessa alle attribuzioni giurisdizionali di quel giudice (Cass. 20 giugno 2024 n. 17048; Cass. S.U. 15 aprile 2020 n. 7839 ed ivi ulteriori precedenti).
Il rifiuto che rileva è, dunque, quello ‘astratto’, che deriva dall’affermazione da parte del giudice speciale che quella situazione soggettiva è priva di tutela per difetto di giurisdizione, in contrasto con la regula iuris che invece gli attribuisce il potere di ius dícere sulla domanda; non quello “in concreto”, che si ha quando la negazione della tutela alla situazione soggettiva azionata è la conseguenza dell’ipotizzata inesatta interpretazione delle norme o della non corretta ricognizione e valutazione degli elementi in fatto (Cass. S.U. 10 febbraio 2023 n. 4284; Cass. S.U. 28 maggio 2020 n. 10087; Cass. S.U. 26 marzo 2021 n. 8572; Cass. 23 settembre 2022 n. 27904).
Calando nella fattispecie i richiamati orientamenti, qui ribaditi, si perviene alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
La pronuncia del Tribunale di Milano n. 866/2020, che ha declinato la giurisdizione in favore della Corte dei Conti, non è stata oggetto di impugnazione ed il giudizio è stato riassunto dalla Legato dinanzi alla Sezione giurisdizionale per la Lombardia, che non ha ritenuto di sollevare conflitto ex art. 17, comma 3, del d.lgs. n. 174 del 2016. Inammissibilmente, pertanto, la ricorrente nelle conclusioni del ricorso ( ove si legge: … rinviando il processo al giudice ritenuto
avere giurisdizione tra la Corte dei Conti sezione giurisdizionale centrale d’appello e il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia… ) pone in discussione la giurisdizione del giudice contabile, sulla quale si è ormai formato giudicato interno ( cfr. Cass. S.U. 27 ottobre 2020 n. 23599).
D’altro canto il vizio denunciato esorbita dai limiti del l’eccesso di potere giurisdizionale, perché lo stesso, al di là della qualificazione formale, nell’insistere sulla nullità o inesistenza del provvedimento di totalizzazione, ritenuto, al contrario legittimo dal giudice contabile, prospetta una censura che attiene ai limiti interni, non esterni, della giurisdizione e nella sostanza addebita al giudice contabile di non avere pronunciato su tutte le questioni devolute con l’atto di gravame ed in particolare su quella inerente all’assenza dei requisiti di forma propri del provvedimento in discussione.
Si tratta di censure che non pongono in discussione il potere di ius dicere sulla materia controversa, e attengono, invece, al modo di esercizio di quel potere ed alle ragioni di rigetto della domanda, che sarebbe stata respinta senza una specifica motivazione su tutti gli argomenti spesi per sostenere l’illegittimità della totalizzazione.
Il ricorso sollecita una pronuncia di queste Sezioni Unite sulla correttezza della sentenza impugnata e, quindi, un sindacato non consentito nei confronti delle pronunce del giudice speciale.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, per il principio della soccombenza, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese, liquidate nella misura indicata in dispositivo.
6. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi ed euro
3.500,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto Roma, così deciso nella camera di consiglio del 14 gennaio 2025