Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 2166 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 2166 Anno 2024
Presidente: COGNOME PASQUALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/01/2024
Ricorso contro decisioni di Giudici speciali sul ricorso 1675/2023 proposto da:
Comune di RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME;
-ricorrente – contro
A.n.e.v. –RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME –RAGIONE_SOCIALE, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME e COGNOME NOME;
-controricorrenti-
avverso la sentenza n. 9759/2022 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 07/11/2022.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/10/2023 dal consigliere COGNOME NOME;
lette le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO Procuratore Generale AVV_NOTAIO NOME COGNOME, il quale conclude per il dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
FATTI di CAUSA
RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, proposero ricorso avverso la delibera, n. 2 del 29 aprile 2021, del Consiglio Comunale del Comune di RAGIONE_SOCIALE recante ‘ Regolamento Comunale per la disciplina del canone unico patrimoniale del suolo pubblico e di esposizione pubblicitaria’ nella parte relativa al canone per l’occupazione del sottosuolo e contro tutti gli atti connessi (delibera di Giunta Municipale, n.56 del 29 aprile 2021, con la quale erano state approvate le tariffe del canone unico patrimoniale, avvisi di pagamento rela tivi al CUP per l’anno di imposta 2001).
Il Tribunale Amministrativo per la Regione Puglia, con sentenza n. 259 del 17 febbraio 2022, accolse il ricorso annullando il
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Regolamento Comunale e la delibera della Giunta Comunale e dichiarò la giurisdizione del giudice ordinario sull’impugnazione degli avvisi di pagamento relativi al canone unico patrimoniale per l’anno di imposta 2021.
La decisione venne appellata dal Comune RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco pro tempore, innanzi al Consiglio di Stato il quale, con sentenza n. 9759/2022, pubblicata il 07.11.2022, ha dichiarato improcedibile, ai sensi di cui in motivazione, il ricorso proposto in primo grado e ha dichiarato improcedibile l’appello del Comune RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, compensato le spese e ordinato l’esecuzione da parte dell’Autorità amministrativa della sentenza.
Con detta decisione, il Consiglio di Stato ha ritenuto che ‘ gli impianti sotterranei che trasportano l’energia prodotta dagli impianti degli operatori delle energie rinnovabili verso la rete di trasmissione ( e quelle di distribuzione) al pari degli impianti che veicolano l’energia al sistema elettrico nazionale, n on possono che risultare ‘direttamente funzionali all’erogazione del servizio a rete’ secondo la definizione utilizzata dal d. l. n. 146/2021 ricadendo, così, nel campo di applicazione del canone agevolato di 800 euro.
All’attività svolta dalle aziende di produzione, trasmissione e dispacciamento devono, dunque, essere riconosciute le caratteristiche della strumentalità rispetto a quelle della distribuzione dell’energia e, invero, come affermato nella circolare n. 1/DF del 20 gennaio 2009, che richiama la risoluzione n. 7/DPF del 14 maggio 2002, in materia di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP) e il relativo canone (COSAP), sono aziende esercenti attività strumentali all’erogazione di servizi pubblici ‘ quelle aziende che hanno infrastrutture che permettono ad altri soggetti di fornire il servizio ma che, al contrario di questi ultimi non hanno alcun rapporto diretto con
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l’utente’. L’attività d’impresa svolta dalle società di produzione d’energia costituisce, così, ‘una fase immediatamente antecedente e necessaria rispetto alle altre citate fasi della filiera del mercato elettrico (trasmissione, dispacciamento e distribuzione), fasi connesse da connaturali vincoli inscindibili, tali per cui in assenza dell’una non possono trovare compimento le altre (c.d. vincolo di complementarietà);
-tutte le menzionate attività sono poste in essere esclusivamente nell’interesse delle altre (c.d. vincolo di esclusività);
-l’attività svolta dalle aziende di produzione, quindi, deve essere riconosciuta quale attività strumentale alla fornitura di servizi di pubblica utilità, come la distribuzione di energia elettrica’.
In base alle suddette caratteristiche si deve, perciò, concludere che fra le attività strumentali disciplinate dal comma 831 dell’art. 1 della legge 160 del 2019 e che beneficiano del pagamento del canone patrimoniale nella misura minima di 800 euro deve essere ricompresa anche l’attività di produzione di energia elettrica, sulla scorta delle caratteristiche di complementarietà ed esclusività della stessa nell’ambito della filiera del sistema elettrico nazionale’.
Sempre secondo tale decisione ‘ l’applicabilità della richiamata sopravvenienza normativa non può, poi, essere inficiata dalle deduzione dell’appellante, che tenta, da un lato, di circoscrivere la portata interpretativa del DL n. 146/2021 contestando la riferibilità del canone agevolato anche ai soggetti titolari di concessioni per l’occupazione del sottosuolo e agli operatori del settore della produzione di energia da fonti rinnovabili, e dall’altro, di addurre ostacoli processuali e fattuali alla declaratoria di improcedibilità del ricorso di primo grado, come la permanenza dell’efficacia della sentenza di primo grado o l’ostatività del successivo diniego di
operatività del beneficio. Alla luce del contenuto della norma sopravvenuta che, avendo natura interpretativa, è direttamente applicabile alla fattispecie de qua, tali elementi, pur suggestivi, non risultano in grado di incidere sulla soluzione della questioni al centro della controversia, dovendosi riconoscere, come detto, che le infrastrutture che trasportano l’energia prodotta dagli impianti rinnovabili verso la rete di trasmissione non possono che essere, comunque, ‘ direttamente funzionali al servizio a rete’ e che la soddisfazione dell’interesse la cui lesione era all’origine del ricorso di primo grado non può che determinare l’improcedibilità dell’originaria impugnazione, senza che effetti preclusivi possano derivare da successivi atti di diniego da p arte dell’amministrazione ‘.
Avverso la sentenza il Comune di RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso, articolando tre motivi.
Resistono con controricorso ARAGIONE_SOCIALE e le altre Società indicate in epigrafe.
Il ricorso è stato avviato, ai sensi dell’art.380 bis.1 cod. proc. civ. alla trattazione in camera di consiglio, in prossimità della quale il P.G. ha depositato memoria chiedendo dichiararsi il ricorso inammissibile.
La ricorrente e le controricorrenti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo – rubricato: difetto di giurisdizione per violazione del c.d. giudicato interno e del principio della domanda; mancata concreta valutazione di eccezioni dirimenti -il Comune di RAGIONE_SOCIALE denuncia la sentenza impugnata di palese esorbitanza rispetto all’ambito dei poteri giurisdizionali esercitabili nel caso concreto in ragione delle domande ritualmente poste dalle parti .
In particolare, secondo la prospettazione difensiva, il Consiglio di Stato -nel dichiarare improcedibili il ricorso originario e,
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conseguentemente, l’appello sulla base del rilevato ius superveniens, dato dalla disciplina introdotta dall’art.5, comma 14, d.l. 21.10.2021, convertito nella legge 17.12.2021 n.215, ritenuta norma interpretativa e intervenuta allorquando era già in corso il giudizio di primo grado avrebbe deciso in carenza di giurisdizione, per mancata rituale attivazione della relativa domanda (di cessazione della materia del contendere) da parte delle appellate (le quali solo con le memorie difensive ex art. 173 c.p.a . avevano eccepito l’improcedibilità dell’originario ricorso).
Con il secondo motivo – rubricato: Violazione dell’art. 133, comma 1 lett. b) del d.lgs. n.104 del 2.07.2010. Difetto di giurisdizione del giudice amministrativo per violazione del limite esterno il ricorrente deduce che il Consiglio di Stato, per dichiarare il sopravvenuto difetto di interesse del ricorso innanzi al T.A.R. e dell’appello, avrebbe invaso la giurisdizione del giudice ordinario perché una volta assunta l’esistenza di un canone normat ivo, ovvero fissato direttamente dalla legge, avrebbe dovuto declinare la giurisdizione in favore del G.O.
Con il terzo motivo di ricorso -rubricato: violazione dell’art.133, comma 1, lett. b) del d.lgs. n.104 del 2.7.2010 -Difetto di attribuzione con invasione del potere attribuito alla P.A.il Comune di RAGIONE_SOCIALE deduce che il Consiglio di Stato avrebbe invaso il campo riservato al Comune di RAGIONE_SOCIALE essendosi a esso sostituito nella concreta determinazione del canone.
Il ricorso è inammissibile.
4 .1 Appare d’uopo rammentare che secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il ricorso per cassazione contro la decisione del Consiglio di Stato è consentito soltanto per motivi inerenti alla giurisdizione, sicch é́ il controllo delle Sezioni Unite è circoscritto
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all’osservanza dei limiti esterni della giurisdizione, non estendendosi ad asserite violazioni di legge sostanziale o processuale concernenti il modo di esercizio della giurisdizione speciale. Ne consegue che, anche a seguito dell’inserimento della garanzia del giusto processo nella nuova formulazione dell’art. 111 Cost., l’accertamento in ordine a errores in procedendo o a errores in iudicando rientra nell’ambito dei limiti interni della giurisdizione, trattandosi di violazioni endoprocessuali rilevabili in ogni tipo di giudizio e non inerenti all’essenza della giurisdizione o allo sconfinamento dai limiti esterni di essa, ma solo al modo in cui è stata esercitata (Cass., Sez. Un., 26 agosto 2019, n. 21692; Cass., Sez. Un., 19 marzo 2020, n. 7457; Cass., Sez. Un., 14 settembre 2020, n. 19085) .
Si è , infatti, chiarito (Cass., Sez. Un., 14 novembre 2018, n. 29285) che non ogni pretesa deviazione dal corretto esercizio della giurisdizione, sotto il profilo interpretativo ed applicativo del diritto sostanziale o di quello processuale, si risolve in un difetto di giurisdizione sindacabile ad opera della Corte di cassazione. E’ naturale che qualsiasi erronea interpretazione o applicazione di norme in cui il giudice possa incorrere nell’esercizio della funzione giurisdizionale, ove incida sull’esito della decisione, pu ò̀ essere letta in chiave di lesione della pienezza della tutela giurisdizionale cui ciascuna parte legittimamente aspira, perch é́ la tutela si realizza compiutamente se il giudice interpreta ed applica in modo corretto le norme destinate a regolare il caso sottoposto al suo esame. Non per questo, per ò , ogni errore di giudizio o di attivit à̀ processuale imputabile al giudice è qualificabile come eccesso di potere giurisdizionale assoggettabile al sindacato della Corte di cassazione, quale risulta delineato dall’art. 111, ottavo comma, Cost. e dagli artt. 362 cod. proc. civ. e 207 del codice di giustizia contabile, approvato con il d.lgs. 26 agosto 2016, n.
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174. Ne risulterebbe altrimenti del tutto obliterata la distinzione tra limiti interni ed esterni della giurisdizione e il sindacato di questa Corte sulle sentenze del giudice speciale verrebbe di fatto ad avere una latitudine non dissimile da quella che ha sui provvedimenti del giudice ordinario: ci ò che la norma costituzionale e le disposizioni processuali dianzi richiamate non sembrano invece consentire (così, Cass., Sez. U. n. 19085 del 2020 cit.) . Va, inoltre, ribadito che, anche, la violazione, da parte del giudice speciale di norme del diritto dell’Unione europea o della CEDU che si risolva in un error in iudicando (sia pure de iure procedendi ) non è sindacabile ad opera delle Sezioni Unite della Corte di cassazione in sede di controllo di giurisdizione, in quanto il controllo in questione è circoscritto all’osservanza dei meri limiti esterni della giurisdizione, senza estendersi ad asserite violazioni di legge sostanziale o processuale -l’accertamento delle quali rientra nell’ambito dei limiti interni della giurisdizione – concernenti il modo d’esercizio della giurisdizione speciale (cfr. Cass., sez. un., 6 marzo 2020, n. 6460; Cass. Sez. Un., 14 dicembre 2021, n.39784).
Infine, di recente, queste Sezioni Unite hanno avuto modo di ribadire il principio per cui <> (v. Cass. Sez. U. n. 26497 del 20/11/2020).
4.2. Alla luce degli esposti principi il primo mezzo di impugnazione, con il quale si deducono, nella sostanza, errores in procedendo nei quali sarebbe incorso il Giudice amministrativo, è inammissibile. Con il mezzo, infatti, il Comune ricorrente, sotto l’egida
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del difetto di giurisdizione per violazione del giudicato interno e del principio della domanda, lamenta che il Consiglio di Stato abbia deciso l’improcedibilità dell’originario ricorso e, conseguentemente, dell’appello, senza tenere conto delle eccezioni sollevate dalla difesa e, soprattutto, in assenza di una idonea e rituale domanda e/o di una tempestiva eccezione in appello ad opera delle parti.
In tema, la giurisprudenza di queste Sezioni Unite è ferma nel ritenere che <<l'eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile con il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione – che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull'erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale -, nonché di difetto relativo di giurisdizione, riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull'erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici; conseguentemente, in coerenza con la nozione di eccesso di potere giurisdizionale esplicitata dalla Corte costituzionale (sent. n. 6 del 2018), che non ammette letture estensive neanche se limitate ai casi di sentenze "abnormi", "anomale" ovvero di uno "stravolgimento" radicale delle norme di riferimento, tale vizio non è configurabile per errores in procedendo , i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell'esercizio del potere medesimo (v. Cass. Sez. U. n. 7926 del 20/03/2019, e in termini, tra le altre Cass. Sez. U. 14 settembre 2020 n.19085; id. n. 219 del 05/01/2023).
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4.3. E' inammissibile anche il secondo motivo con cui, come detto, il ricorrente lamenta che il Consiglio di Stato, per dichiarare il sopravvenuto difetto di interesse del ricorso innanzi al T.A.R. e dell'appello, avrebbe invaso la giurisdizione del giudice ordinario perché una volta assunta l'esiste nza di un canone normativo, ovvero fissato direttamente dalla legge, avrebbe dovuto declinare la giurisdizione in favore del G.O. Invero, a norma dell'art. 5 cod. proc. civ. la giurisdizione e la competenza si determinano con riferimento alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo.
Nel caso in esame, lo ius superveniens che avrebbe fissato il canone normativo non determina, pertanto, lo spostamento della giurisdizione, che resta, quindi, individuata in base alla legge vigente al tempo della domanda introduttiva.
4.4 A eguale sanzione di inammissibilità soggiace il terzo motivo di ricorso con il quale, come detto, il Comune di RAGIONE_SOCIALE ha dedotto un difetto di attribuzione con invasione da parte del giudice amministrativo del potere attribuito alla pubblica amministrazione laddove, secondo la prospettazione difensiva, il Consiglio di Stato, con la sentenza impugnata, si era sostituito a esso Comune nella determinazione del canone unico patrimoniale.
Il mezzo è inammissibile perché non attiene alla giurisdizione risolvendosi, in realtà e nella sostanza, in una censura dell'interpretazione fornita dal Giudice amministrativo della norma sopravvenuta e, quindi, dell'esplicazione interna del potere giurisdizionale a tale giudice devoluto.
Il Consiglio di Stato, infatti, ritenuto applicabile al caso sottoposto al suo esame, l'art. 4, comma 14 quinquies del d. l. n. 146 del
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2021(norma avente natura interpretativa), ha rilevato che fosse venuto meno l'interesse a ricorrere delle Società , con conseguente improcedibilità dell'appello . Così statuendo il Giudice amministrativo di appello si è contenuto entro i limiti interni della propria giurisdizione, limitando il proprio sindacato alla sussistenza dei presupposti processuali necessari a giungere a una pronuncia sul ricorso.
In ipotesi similari, queste Sezioni Unite hanno già espresso il principio, cui si ritiene dare continuità, secondo cui <> (v. Cass. Sez. U. 4 ottobre 2019 n. 475; Cass. Sez. U 14 gennaio 2015 n.475; Cass. Sez. U., 8 febbraio 2013, n.3037; id. 16 aprile 2012 n. 5942).
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Seguendo l’insegnamento di Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si d à atto, ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna il Comune di RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco pro tempore, alla rifusione in favore della parte controricorrente delle spese liquidate in complessivi euro 4.000,00, oltre euro 200,00 per
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esborsi, rimborso forfetario delle spese nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del d.P.R. n.115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 24 ottobre