Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 23094 Anno 2025
Civile Ord. Sez. U Num. 23094 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/08/2025
Sul ricorso iscritto al n. r.g. 8075/2024 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
ricorrenti
contro
COGNOME NOME COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
contro
ricorrenti nonché contro
MINISTERO DELLA CULTURA , SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA, BELLE ARTI E PAESAGGI PER L’AREA METROPOLITANA DI NAPOLI , COMUNE DI POZZUOLI ;
avverso la sentenza n. 726/2024 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 23/01/2024.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. ─ NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno impugnato l’ordinanza del Comune di Pozzuoli con cui era stata disposta la rimozione di opere eseguite in difformità di una denuncia di inizio attività; hanno rilevato che il detto provvedimento risultava essere illegittimo in quanto la pubblica Amministrazione aveva mancato di disporre la demolizione completa del manufatto, oggetto di una domanda di condono presentata da NOME COGNOME e NOME COGNOME; le dette istanti hanno impugnato, inoltre, con motivi aggiunti, il provvedimento di rilascio del permesso in sanatoria concernente l’immobile e gli atti presupposti.
Il TAR della Campania ha accolto sia il ricorso principale che i motivi aggiunti: per l’effetto ha parzialmente annullato l’ordinanza di demolizione del Comune e il permesso di costruire in sanatoria precisando che l’ente locale avrebbe dovuto adottare un provvedimento di improcedibilità della domanda di condono e in seguito un ordine di demolizione del manufatto.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto appello avverso tale decisione.
Nella resistenza di NOME COGNOME e NOME COGNOME il Consiglio di Stato ha pronunciato, in data 23 gennaio 2024, sentenza con cui ha respinto il proposto appello. Ha ritenuto, in sintesi, che le opere realizzate sull ‘ immobile oggetto di condono non erano riconducibili a quelle di completamento previste dall’art. 35, comma 14,
l. n. 47/1985, per tali dovendosi intendere solo quelle di completamento funzionale, e nemmeno a quelle di manutenzione straordinaria, avendo esse comportato la creazione di un nuovo volume e la congiunzione di due edifici separati. Secondo il Consiglio di Stato non poteva ritenersi che il vietato intervento rimanesse senza sanzione e «tale sanzione, nel silenzio della norma, non che tradursi nella sopravvenuta improcedibilità della domanda di condono».
– Avverso la pronuncia di appello NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno articolato un ricorso per cassazione fondato su due motivi. Resistono con controricorso NOME e NOME COGNOME.
─ La Prima Presidente della Corte ha formulato una proposta di definizione del ricorso ex art. 380bis c.p.c.. I ricorrenti hanno depositato tempestiva istanza di decisione del l’impugnazione.
Le controricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Col primo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione dei limiti esterni della giurisdizione avendo il Consiglio di Stato «esercitato direttamente poteri legislativi in riferimento all’art. 35, comma 14, della l. n. 47/1985». Ad avviso dei ricorrenti, il giudice amministrativo avrebbe creato un novum ius , introducendo una sanzione non prevista dalla norma. Dalla lettura del cit. art. 35, comma 14, si ricaverebbe inconfutabilmente, anche per «ammissione» del Consiglio di Stato, che non è stata prevista alcuna sanzione di improcedibilità della domanda di condono nel caso in cui siano state eseguite opere aggiuntive non qualificabili come di completamento.
Col secondo mezzo si lamenta la nullità della sentenza per violazione dei limiti esterni della giurisdizione, per avere il Consiglio di Stato «esercitato direttamente poteri amministrativi». L’eccesso di potere in cui sarebbe incorso il decidente con la sentenza impugnata è individuato in ciò: l’organo giurisdizionale si sarebbe sostituito alla pubblica Amministrazione nella valutazione della procedibilità della
domanda di condono in presenza di opere aggiuntive.
– E’ stato osservato nella proposta della Prima Presidente che entrambi i motivi sono inammissibili, alla luce del costante orientamento di questa Corte, secondo cui, qualora la pronuncia impugnata si limiti all’inquadramento del fatto e all’interpretazione del provvedimento amministrativo, secondo la sua portata letterale e complessiva, o della legge, essa esprime considerazioni che rientrano nell’ambito della giurisdizione del giudice investito della decisione, esulando, di conseguenza, dalla sfera di controllo dei limiti esterni della giurisdizione (così: Cass. Sez. U. 27 settembre 2022, n. 27904; Cass. Sez. U. 12 settembre 2023, n. 27202); il controllo di giurisdizione non si può dunque estendere al sindacato di sentenze, di cui pur si contesti l’abnormità o l’anomalia , oppure che siano incorse in uno stravolgimento delle norme sostanziali o processuali (Cass. Sez. U. 7 dicembre 2022, n. 36044). Ebbene – si legg e nella proposta -, nel caso in esame, il Consiglio di Stato ha ritenuto che alcune delle opere realizzate dai coniugi COGNOME in pendenza di istanza di condono (vietate, perché non ascrivibili né a quelle di completamento e neanche a quelle di manutenzione straordinaria) avessero determinato l’improcedibilità della domanda di sanatoria e ne ha tratto le conseguenze che il Comune avrebbe dovuto intimare la demolizione del fabbricato interessato dalle opere, senza poter rilasciare il permesso a costruire; il Consiglio di Stato – è osservato nella proposta ha pertanto svolto una valutazione di legittimità, identificando gli effetti delle attività vietate in pendenza di domanda di condono ai fini delle condotte successive dell’amministrazione comunale ed è quindi rimasto nel perimetro della propria giurisdizione.
I rilievi formulati con la proposta meritano piena condivisione.
Vale rammentare che l’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore si configura allorquando il
giudice speciale applichi una norma da lui stesso creata, in tal modo esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete, non già in relazione all’attività di interpretazione – sia pure estensiva o analogica – di una disposizione di legge, posto che eventuali errori ermeneutici, anche se comportanti uno stravolgimento radicale del senso della norma, non investono la sussistenza o i limiti esterni del potere giurisdizionale, ma soltanto la legittimità del suo esercizio (Cass. Sez. U. 26 dicembre 2024, n. 34499; Cass. Sez. U. 9 luglio 2024, n. 18722).
L’eccesso di potere giurisdizionale, in forma di sconfinamento nella sfera del merito, è poi configurabile soltanto quando l’indagine svolta dal giudice amministrativo, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, diviene strumentale ad una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, esprime la volontà dell’organo giudicante di sostituirsi a quella dell’amministrazione, procedendo il giudice ad un sindacato di merito con una pronuncia avente il contenuto sostanziale e l’esecutorietà propria del provvedimento sostituito, senza salvezza degli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa (Cass. Sez. U. 8 luglio 2024, n. 18559; Cass. Sez. U. 24 maggio 2019, n. 14264).
Ciò posto, è agevole prendere atto della distanza che separa la fattispecie oggetto di giudizio dalle ipotesi di reale sconfinamento dell’azione del giudice amministrativo nelle aree riservate, rispettivamente, al legislatore e alla pubblica amministrazione, per come definite dai richiamati approdi raggiunti da queste Sezioni Unite. Come è evidente, infatti, la decisione adottata dal Consiglio di Stato si distingue per la sua natura tipicamente giurisdizionale, avendo la sentenza impugnata: i) in primo luogo escluso, sulla base di una ricognizione delle risultanze di causa (segnatamente: sulla scorta dell’accertamento circa la reale consistenza dell’opera di collegamento
tra il fabbricato principale e il piccolo fabbricato oggetto di condono), che l’intervento posto in atto, che aveva portato a «un vero e proprio ‘prolungamento’ dell’appartamento situato nel fabbricato principale», oltre che «la creazione di un nuovo volume», potesse qualificarsi come opera di completamento, a mente del cit. art. 35, comma 14, l. n. 47 del 1985, o come opera di manutenzione straordinaria; ii) ritenuto che il compimento dell’attività vietata determinasse , in diritto, l’improcedibilità della domanda di condono e la conseguente necessità di intimare la demolizione dell’intero fabbricato oggetto della sanatoria, impedendo l’autorizzazione al compimento di ulteriori interventi sul manufatto in questione. È, questo, un giudizio cui è manifestamente estranea sia l’attività di produzione normativa, sia la volontà dell’organo giudicante di sostituirsi a quella dell’amministrazione o comunque di esprimere una valutazione circa la convenienza dell’atto amministrativo. Trova pertanto conferma la conclusione, espressa nella proposta, secondo cui nell’occasione il Consiglio di Stato non ha affatto travalicato i limiti della propria giurisdizione: conclusione che, del resto, i ricorrenti non hanno in alcun modo confutato, avendo bensì richiesto la decisione dell’impugnazione ex art. 380 -bis , comma 2, c.p.c., ma senza prendere posizione sui rilievi espressi dalla Prima Presidente nella proposta stessa.
– Il ricorso è dichiarato inammissibile.
– Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
Deve farsi luogo alle statuizioni previste dall’art. 96, comma 3 e comma 4, c.p.c., giusta l’art. 380 -bis , comma 3, c.p.c..
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni Unite, dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati
in euro 200,00, ed agli accessori di legge; condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, della somma di euro 3.000,00, sempre in favore della controricorrente, a norma dell’art. 96, comma 3, c.p.c. ; condanna la parte ricorrente al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende , a norma dell’art. 96, comma 4, c.p.c.; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite