Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 30605 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 30605 Anno 2024
AVV_NOTAIO: COGNOME PASQUALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso 12728/2022 proposto da:
NOME nella qualità di erede di COGNOME NOME, erede di COGNOME NOME, NOME nella qualità di erede di COGNOME NOME, NOME, NOME COGNOME, COGNOME NOME nella qualità di eredi di COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME ed NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco pro tempore , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo
studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
contro
PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO;
– intimata – avverso la sentenza n. 7500/2021 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 10/11/2021.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, il quale chiede che la Corte di cassazione dichiari inammissibile il ricorso.
FATTI DI CAUSA
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 7500 del 10 novembre 2021, ha rigettato l’appello di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME avverso la sentenza del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa (T.R.G.A.)- Sezione RAGIONE_SOCIALE della Provincia di Bolzano – che aveva respinto il ricorso, proposto nei confronti del Comune di Bressanone e della Provincia RAGIONE_SOCIALE di Bolzano, volto ad ottenere, previo accertamento dell’illegittimità della procedura espropriativa «ed in particolare della decadenza dell’originaria dichiarazione di pubblica utilità» nonché della obiettiva impossibilità della retrocessione degli immobili, la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno da ingiusta lesione del diritto di proprietà, da quantificare in misura pari al differenziale tra il valore liquidato a titolo di indennità di esproprio e quello venale dei beni alla data di proposizione della domanda. In via subordinata i ricorrenti avevano esperito l’azione di ingiustificato
arricchimento ex artt. 2041 e 2042 cod. civ., domandando a detto diverso titolo la condanna al pagamento della medesima somma di euro 5.032.458,56, quantificata sulla base del criterio sopra indicato, o di quella da accertare in corso di causa.
In premessa il Consiglio di Stato ha riassunto le fasi salienti della vicenda, originata da un’espropriazione per pubblica utilità, risalente agli anni 1977/1978 e preceduta dalla deliberazione della Giunta Comunale di Bressanone n.500/1974, con la quale il Comune aveva adottato l’atto di pianificazione urbanistica, che prevedeva la realizzazione di una zona a destinazione pubblica, denominata «zona sportiva Bressanone Nord», con campi da tennis, parcheggi, centro culturale e sale civiche. L’esproprio aveva interessato le proprietà ricadenti nell’area individuata e l’iter procedurale, dopo il primo decreto del 3 ottobre 1977 che dichiarava la pubblica utilità dell’opera, era stato concluso dal decreto del AVV_NOTAIO della Provincia RAGIONE_SOCIALE di Bolzano del 26 gennaio 1978 che, a seguito dell’accettazione delle indennità da parte dei privati, aveva espropriato gli immobili sui quali le opere dovevano essere realizzate.
2.1. Nell’anno 1995 NOME, NOME e NOME COGNOME, che non avevano in precedenza contestato la procedura espropriativa, chiesero alla Provincia di Bolzano di dichiarare che i beni espropriati non servivano più allo scopo di pubblica utilità e presentarono osservazioni alla variante urbanistica adottata dal Comune di Bressanone che modificava la «zona sportiva nord», nella quale era ricompreso l’insieme immobiliare a suo tempo espropriato, variante che, nel riunire in un’unica zona «per attrezzature collettive ed impianti sportivi» la «zona a verde pubblico con impianti sportivi» e la zona «per impianti pubblici», ampliava l’area di destinazione a parcheggio e modificava la destinazione dell’edificio occupato dalla polizia municipale. Sostenevano gli istanti che il Comune non aveva realizzato le opere oggetto della dichiarazione di pubblica utilità e
con la modifica urbanistica aveva imposto un nuovo e diverso vincolo sulla proprietà per evitarne la restituzione.
2.2. Il mancato accoglimento delle osservazioni diede avvio ad una prima iniziativa giudiziaria di impugnazione dell’atto di pianificazione urbanistica ed il ricorso fu dichiarato inammissibile per carenza di interesse con sentenza n.354/1999 del T.R.G.A. di Bolzano, in quanto i ricorrenti avevano perso la proprietà degli immobili interessati dall’atto di pianificazione e l’interesse non poteva derivare dalla richiesta di retrocessione, giacché quest’ultima non incide sul decreto di espropriazione e ha efficacia costitutiva ex nunc , determinando un nuovo trasferimento dell’immobile a titolo originario, che nella specie non si era verificato.
Parimenti inammissibile per difetto di interesse venne dichiarato dal T.R.G.A., con sentenza n. 353/1999, il ricorso proposto avverso il provvedimento del AVV_NOTAIO della Provincia che aveva rigettato l’istanza volta ad ottenere la dichiarazione di inservibilità dei beni espropriati, sicché i ricorrenti impugnarono entrambe le decisioni ed il Consiglio di Stato, previa riunione, con sentenza n. 3342/2008, rigettò gli appelli.
Ritenne, quanto all’impugnazione del nuovo atto di pianificazione, che le iniziative intraprese per ottenere la retrocessione totale o parziale dei beni espropriati, non fossero sufficienti a far sorgere un interesse giuridicamente qualificato all’impugnazione degli atti di pianificazione del territorio, perché le modifiche urbanistiche intervenute nelle aree non coinvolgevano la destinazione pubblica delle medesime, già fissata nel piano precedente, risolvendosi in una diversa zonizzazione delle aree destinate a pubblica utilità (sport, opere, parcheggi) e in una loro diversa distribuzione interna. Conseguentemente il nuovo piano urbanistico non incideva sulla situazione precedente l’esproprio, né poteva condizionare in alcun modo il progetto di retrocessione dei ricorrenti.
Quanto al diniego opposto alla sollecitata dichiarazione di inservibilità degli immobili il Consiglio di Stato, esclusa l’applicabilità degli artt. 19 e 20 della L.P. n. 10/1991, per difetto del requisito della proprietà di beni limitrofi a quelli espropriati, osservò che, anche a voler accedere alla tesi dei ricorrenti (secondo cui le opere erano state solo parzialmente realizzate e sostituite con opere diverse da quelle originariamente previste), la retrocessione sarebbe stata comunque impedita dalla confermata destinazione pubblica delle aree, non oggetto di impugnazione.
2.3. I ricorrenti si rivolsero, allora, al giudice ordinario al quale domandarono, sul presupposto della intervenuta decadenza dell’originaria dichiarazione di pubblica utilità nonché dell’impossibilità della retrocessione, il risarcimento del danno subito, o, in subordine, la condanna dell’amministrazione al pagamento del medesimo importo a titolo di ingiustificato arricchimento.
Il Tribunale di Bolzano dichiarò, con sentenza n. 588/2015, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e la pronuncia fu confermata dalla Corte d’Appello di Trento Sezione distaccata di Bolzano, all’esito della quale i ricorrenti proposero ricorso al T.R.G.A. che, con sentenza n. 175/2018, lo rigettò.
Così riassunti i fatti di causa, il Consiglio di Stato, sempre in premessa, ha osservato che in sostanza i ricorrenti agivano in giudizio ponendo a fondamento della loro pretesa, da un lato, la mancata corrispondenza tra l’originario decreto di esproprio e l’effettiva utilizzazione del bene espropriato, dall’altro, l’impossibilità della retrocessione, ritenendo di avere per ciò titolo al risarcimento del danno, pari al valore venale acquisito dal bene a seguito della modificata destinazione, maggiore rispetto a quello apprezzato al momento della liquidazione dell’indennizzo.
Nel merito ha ritenuto fondate entrambe le eccezioni formulate dal Comune di Bressanone, di violazione del principio del ne bis in idem e di prescrizione delle domande proposte.
Ha rilevato che l’insussistenza del diritto alla retrocessione era già stata accertata con la citata pronuncia n. 3342/2008, passata in giudicato e intervenuta tra le stesse parti, che aveva escluso i dedotti profili di illegittimità degli atti in quella sede impugnati e, pertanto, quel giudicato non poteva non condizionare, in senso negativo per gli appellanti, la pretesa risarcitoria successivamente fatta valere, giacché, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., occorre l’ingiustizia del danno, esclusa dalla riconosciuta legittimità degli atti in rilievo.
Ha aggiunto che, poiché nel giudizio era stato prospettato un danno differenziale derivato dalla mutata destinazione del bene che avrebbe reso lo stesso più redditizio per la parte pubblica, il dies a quo per la prescrizione quinquennale decorreva dal momento in cui detta destinazione era stata modificata, ossia già dagli anni 90. Nell’anno 2013, inoltre, la prescrizione del diritto al risarcimento era maturata anche a voler considerare l’ultimo atto di pianificazione adottato, ossia la deliberazione n. 7 del 25 gennaio 2007, non impugnata, con la quale il Comune di Bressanone aveva confermato il Piano urbanistico e le relative varianti.
Analogamente alla data del 2013 risultava prescritta l’azione di ingiustificato arricchimento, poiché già nel 1995 i ricorrenti avevano avuto piena consapevolezza della mutata destinazione del bene, tanto che avevano avanzato richiesta di inservibilità.
Il Consiglio di Stato, pur a fronte della ritenuta fondatezza delle eccezioni preliminari, ha anche esaminato nel merito i motivi di appello e ha, in sintesi, osservato che:
il Tribunale aveva correttamente qualificato le domande e altrettanto correttamente ritenuto che nella fattispecie, escluso il diritto alla retrocessione, non si potesse neppure configurare una occupazione usurpativa, in quanto la procedura era stata regolarmente svolta ed i proprietari avevano accettato ed incassato le relative indennità senza mai contestare la legittimità del provvedimento ablatorio;
b) la valutazione della conformità dei lavori al fine stabilito nella dichiarazione di pubblica utilità non va limitata alla corrispondenza delle singole opere alla denominazione della zona, ma va effettuata con riguardo alla finalità complessiva della medesima in sede di pianificazione e, pertanto, poiché la dichiarazione di pubblica utilità riguardava lavori di approntamento per la zona sportiva, ivi incluse anche le opere di urbanizzazione necessarie, non si poteva fare leva sulla diversa distribuzione interna e sulla parziale modifica di alcune opere realizzate nella zona, perché ciò non aveva comportato uno stravolgimento dell’assetto del territorio originariamente delineato né aveva modificato la destinazione pubblica della zona medesima ed inoltre le modifiche attuate erano state giustificate da sopravvenute scelte pianificatorie e costituivano esercizio del potere della Pubblica Amministrazione di adeguare la propria condotta, finalizzata alla cura dell’interesse pubblico, ad una realtà mutata nel corso dei decenni;
c) il Tribunale, per giungere a dette conclusioni, condivise dal giudice d’appello, aveva esaminato la documentazione prodotta dalle parti, senza eccedere dai limiti della propria cognizione, e non era tenuto a disporre consulenza tecnica d’ufficio, poiché il giudice gode di ampia discrezionalità nel valutare le prove ed anche in materia urbanistica il ricorso alla consulenza tecnica non può supplire alla carenza delle allegazioni difensive della parte interessata né avere carattere meramente esplorativo;
d) la questione di legittimità costituzionale della normativa statale e provinciale in tema di espropriazione, oltre ad essere irrilevante a fronte della ritenuta fondatezza delle eccezioni preliminari di merito, è, comunque, manifestamente infondata in quanto la disciplina statale e provinciale della retrocessione del bene originariamente espropriato prevede ampie e specifiche forme di tutela sicché non si ravvisa alcuna violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dell’art. 117 Cost.
Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME sulla base di cinque motivi, ai quali ha opposto difese il Comune di Bressanone con tempestivo controricorso. E’ rimasta intimata la Provincia di Bolzano.
L’Ufficio della Procura Generale ha depositato conclusioni scritte ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ. ed ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
I ricorrenti hanno depositato memorie in date 15 maggio 2024 e 26 settembre 2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ. e 324 cod. proc. civ. e censurano il capo della sentenza impugnata che ha ritenuto fondata l’eccezione sollevata dal Comune di Bressanone di violazione del divieto di bis in idem .
I ricorrenti evidenziano che in nessuno dei giudizi, poi riuniti, decisi dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 3342/2008, era stato domandato l’accertamento del diritto alla retrocessione e, pertanto, l’azione successivamente intrapresa non poteva essere ritenuta preclusa dalla affermata insussistenza di quel diritto, perché i limiti del giudicato debbono essere rintracciati nelle domande formulate delle parti.
Aggiungono che entrambe le pronunce del T.R.G.A., confermate dal giudice d’appello, erano di mero rito e che il diritto al risarcimento del danno era sorto solo allorquando la retrocessione era divenuta impossibile a seguito della realizzazione di opere diverse da quelle oggetto della dichiarazione di pubblica utilità. Ciò era avvenuto solo in epoca successiva all’instaurazione dei giudizi definiti dalla sentenza passata in giudicato.
2. La seconda critica addebita alla sentenza impugnata «violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2041, 2042, 2043, 2935 e 2947 c.c. in relazione all’art. 1, prot. addizionale della CEDU, in combinato disposto con l’art. 117, comma 1, Cost; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42 e dell’art. 41 della Costituzione italiana. Violazione ratione temporis dell’art. 63 della legge generale sull’espropriazione per pubblica utilità n. 2359/1865, corrispondente nella Provincia di Bolzano all’art. 22 della L.P. Bolzano n. 10 del 15 aprile 1991, violazione del principio di effettività e del processo; denegata giustizia per avere il Consiglio di Stato ritenuto prescritto il diritto al risarcimento dei ricorrenti». Richiamano giurisprudenza della Corte EDU e sostengono che, in ragione della natura permanente dell’illecito, il termine di prescrizione decorre solo dal passaggio in giudicato della sentenza che completa la espropriazione, legittimandola, e, pertanto, nella fattispecie, poiché la sentenza n. 3342/2008 era stata depositata il 4 giugno 2008, il termine quinquennale non era decorso al momento dell’instaurazione del giudizio di danno.
Addebitano, inoltre, al Consiglio di Stato di non avere considerato che l’espropriazione, in origine legittima, era divenuta nulla e inefficace solo allorquando erano state realizzate dal Comune di Bressanone opere pubbliche radicalmente diverse rispetto a quelle previste dal decreto. Ribadiscono, infine, che la restituzione delle aree era divenuta impossibile perché le stesse erano state in parte alienate a soggetto terzo ed in parte affidate in regime di concessione e gestione alla RAGIONE_SOCIALE.
3. Con il terzo motivo, ricondotto al vizio di cui all’art. 360, comma 1, nn. 1 e 2 cod. proc. civ., i ricorrenti denunciano «difetto di giurisdizione, violazione degli articoli 24, 101, 111, 113 della Costituzione ob relationem all’articolo 117, primo comma, della costituzione e al Protocollo 1, articolo 1, allegato alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (C.E.D.U.). Giurisdizione del giudice ordinario».
Premesso che il Tribunale civile e la Corte d’appello di Bolzano avevano declinato la giurisdizione a favore del giudice amministrativo sulla base di una errata qualificazione della domanda giudiziale, il motivo argomenta sull’illegittimità degli atti e delle condotte poste in essere dal Comune RAGIONE_SOCIALE Bressanone nel momento in cui aveva realizzato opere diverse da quelle per le quali era stata dichiarata la pubblica utilità. Si sostiene che quelle condotte hanno determinato il venir meno del requisito della stretta legalità richiesto dalla CEDU ed anche l’osservanza del giusto equilibrio tra la misura proposta e l’effetto perseguito, con ricadute sul piano processuale, perché la domanda di risarcimento del danno conseguente alla lesione del diritto di proprietà, nei termini rilevanti per la giurisprudenza sovranazionale, deve essere proposta dinanzi al giudice ordinario. Pertanto il T.R.G.A. ed il Consiglio di Stato avrebbero dovuto sollevare conflitto negativo di giurisdizione ex art. 362 cod. proc. civ.
4. La quarta critica è testualmente rubricata «violazione degli articoli 24, 103, 111, primo e ottavo comma della Costituzione; violazione prot. 1, articolo 1, CEDU sul diritto di proprietà privata. Violazione articoli 360 n. 1 e 362 c.p.c. e articolo 110 c.p.a.. Difetto di giurisdizione per diniego di giustizia e omessa pronuncia. Eccesso di potere giurisdizionale. Violazione articolo 112 c.p.c. e articoli 1 e 2 c.p.a.».
I ricorrenti ribadiscono in premessa che la giurisdizione appartiene al giudice ordinario e poi, attraverso il richiamo all’ordinanza interlocutoria di queste Sezioni Unite n. 19598/2020, sostengono che si è in presenza di un evidente diniego di giustizia e di un eccesso di potere giurisdizionale qualora il Consiglio di Stato non eroghi concretamente la tutela richiesta o stravolga radicalmente le norme di rito. Rilevano che nella fattispecie la domanda giudiziale introdotta, fondata specificamente sulla violazione delle disposizioni della CEDU che tutelano il diritto di proprietà non è mai stata valutata dal giudice amministrativo il quale, inoltre, non ha
nemmeno preso in considerazione la illegittimità sopravvenuta del provvedimento amministrativo, applicabile in quanto espressione di un principio generale in materia di atti giuridici.
Il motivo si conclude con la richiesta di cassazione della sentenza impugnata con rinvio al Consiglio di Stato e con l’enunciazione del principio di diritto «secondo cui quando viene compiuta un’espropriazione per pubblica utilità ma vengono realizzate opere pubbliche completamente diverse da quelle alle quali erano preordinati sia la dichiarazione di pubblica utilità che il successivo decreto di espropriazione per motivi di pubblico interesse, tale comportamento integra un fatto illecito della pubblica amministrazione di competenza del giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva ai sensi dell’articolo 133, lettera g) del codice del processo amministrativo».
5. Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano «difetto di giurisdizione per violazione degli articoli 24, 103, 113 e 111, comma otto, della Costituzione in combinato disposto con il comma 1 dello stesso articolo. Violazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale e del giusto processo per omesso rinvio obbligatorio alla Corte Costituzionale ai sensi del combinato disposto degli artt. 117, comma primo, e prot. 1, articolo 1, allegato alla C.E.D.U. Omessa pronuncia – denegata giustizia -eccesso di potere. Violazione della CEDU, articoli 6 e 13 e del Protocollo n. 1, allegato 1, sulla tutela dei beni privati».
I ricorrenti addebitano al Consiglio di Stato di avere ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale posta in relazione alla compatibilità dell’istituto della retrocessione per pubblica utilità, come disciplinato dal diritto nazionale, con la tutela del diritto di proprietà assicurata dalla CEDU, senza esaminare in alcun modo la disciplina indicata quale parametro interposto e violando l’obbligo del rinvio alla Corte Costituzionale. Sostengono che così operando il giudice amministrativo ha violato i
principi di effettività della tutela giurisdizionale e del giusto processo, incorrendo anche in omissione di pronuncia.
In subordine ripropongono in questa sede la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 del d.P.R. n. 327/2001 e delle leggi provinciali n. 15/1972 e n. 10/1991, se interpretate nel senso che è legale e legittima anche un’espropriazione per pubblica utilità all’esito della quale il soggetto espropriante abbia realizzato opere diverse da quelle previste nel decreto di esproprio, nonché degli artt. 46/48 del d.P.R. n. 327/2001 e 19/20 della L.P. Bolzano n. 10/1991 nella parte in cui non attribuiscono il diritto alla retrocessione o al risarcimento del danno nell’ipotesi sopra indicata. 6. Il ricorso è inammissibile in tutte le sue articolazioni.
In premessa occorre rammentare che il ricorso per cassazione contro le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti può essere proposto soltanto per motivi inerenti alla giurisdizione (art. 111 Cost., comma 8, art. 362 cod. proc. civ. e art. 110 cod. proc. amm. ), giacché l’assetto pluralistico delle giurisdizioni, scelto dal Costituente e reso evidente dalla diversa formulazione del settimo e dell’ottavo comma dell’art. 111 Cost., assegna alla Corte di Cassazione il ruolo di organo regolatore della giurisdizione, non quello di garante ultimo della nomofilachia, ovvero della legittimità comunitaria, convenzionale e costituzionale delle norme, di rito e di merito, applicate dal giudice amministrativo o contabile.
Hanno chiarito queste Sezioni Unite che la categoria, di fonte giurisprudenziale, dell’eccesso di potere giurisdizionale si colloca sul crinale fra il settimo e l’ottavo comma del citato art. 111 Cost. (cfr. Cass. S.U. 9 luglio 2024 n. 18722) ed è ravvisabile nelle sole ipotesi di difetto assoluto o relativo di giurisdizione: il primo si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa (cosiddetta invasione o sconfinamento), o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale
(cosiddetto arretramento); il secondo è riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad RAGIONE_SOCIALE giudici.
Rientrano, pertanto, nell’ambito dei motivi inerenti alla giurisdizione: a) l’invasione della sfera riservata ad RAGIONE_SOCIALE poteri (esecutivo e legislativo); b) l’invasione della sfera altrui di giurisdizione; c) l’esplicazione da parte del giudice amministrativo di un sindacato di merito, allorquando la potestas iudicandi comprenda il solo sindacato di legittimità; d) il mancato esercizio da parte del giudice amministrativo o contabile della sua giurisdizione, quando derivante dall’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto di funzione giurisdizionale.
Esula, invece, dall’ambito dell’eccesso di potere, così delineato, l’errata interpretazione delle norme sostanziali e processuali, perché il vizio non è configurabile in relazione ad errores in procedendo o in iudicando , i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo (cfr. fra le tante Cass. S.U. 22 settembre 2023 n. 27160; Cass. S.U. 30 giugno 2023 n. 18539; Cass. S.U. 10 febbraio 2023 n. NUMERO_DOCUMENTO).
6.1. L’arretramento della giurisdizione, che in questa sede i ricorrenti denunciano lamentando un «diniego di giustizia», è ravvisabile solo in presenza di un rifiuto a pronunciare sulla domanda, inclusa invece nella giurisdizione del giudice amministrativo, determinato dall’affermata estraneità della domanda stessa alle attribuzioni giurisdizionali di quel giudice (Cass. 20 giugno 2024 n. 17048; Cass. S.U. 15 aprile 2020 n. 7839 ed ivi ulteriori precedenti).
Il rifiuto che rileva è, dunque, quello ‘astratto’, che deriva dall’affermazione da parte del giudice speciale che quella situazione soggettiva è priva di tutela per difetto di giurisdizione, in contrasto
con la regula iuris che invece gli attribuisce il potere di ius dícere sulla domanda; non quello “in concreto”, che si ha quando la negazione della tutela alla situazione soggettiva azionata è la conseguenza dell’ipotizzata inesatta interpretazione delle norme o della non corretta ricognizione e valutazione degli elementi in fatto (Cass. S.U. 10 febbraio 2023 n. 4284; Cass. S.U. 28 maggio 2020 n. 10087; Cass. S.U. 26 marzo 2021 n. 8572; Cass. 23 settembre 2022 n. 27904).
In RAGIONE_SOCIALE termini «la negazione in concreto di tutela alla situazione soggettiva azionata, determinata dall’erronea interpretazione delle norme sostanziali nazionali o dei principi del diritto europeo da parte del giudice amministrativo, non concreta eccesso di potere giurisdizionale per omissione o rifiuto di giurisdizione così da giustificare il ricorso previsto dall’art. 111, comma 8, Cost., atteso che l’interpretazione delle norme di diritto costituisce il proprium della funzione giurisdizionale e non può integrare di per sé sola la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, che invece si verifica nella diversa ipotesi di affermazione, da parte del giudice speciale, che quella situazione soggettiva è, in astratto, priva di tutela per difetto assoluto o relativo di giurisdizione» (Cass. S.U. 26 settembre 2022 n. 28021).
6.2. Si tratta di un orientamento risalente nel tempo e definitivamente affermatosi nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite a seguito della sentenza n. 6 del 2018 della Corte costituzionale la quale, in esplicito dissenso con la concezione cosiddetta dinamica o evolutiva della giurisdizione, che si andava affermando e che riecheggia negli scritti difensivi dei ricorrenti, ha evidenziato che la tesi secondo cui «il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, previsto dall’ottavo comma dell’art. 111 Cost. avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, comprenda anche il sindacato su errores in procedendo o in iudicando … non è compatibile con la lettera e lo spirito della norma costituzionale» (§11), ed ha aggiunto che
«l’intervento delle sezioni unite, in sede di controllo di giurisdizione, nemmeno può essere giustificato dalla violazione di norme dell’Unione o della CEDU» giacché anche in tal caso si ricondurrebbe «al controllo di giurisdizione un motivo di illegittimità (sia pure particolarmente qualificata), motivo sulla cui estraneità all’istituto in esame non è il caso di tornare» (§14.1).
6.3. L’insindacabilità da parte della Corte di Cassazione ex art. 111, comma 8, Cost., delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, con riguardo alle eventuali violazioni del diritto dell’Unione europea o di quello convenzionale, come al mancato rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE ad opera di tali organi giurisdizionali, è stata affermata da queste Sezioni Unite anche quale conseguenza delle precisazioni contenute nella sentenza della Corte di Giustizia UE (Grande Sezione) del 21 dicembre 2021, RAGIONE_SOCIALE contro RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, (C-497/20), intervenuta a seguito dell’ordinanza interlocutoria n. 19598 del 2020 richiamata dai ricorrenti.
E’ stato, in particolare, evidenziato che l’orientamento che sottrae al sindacato della Corte di Cassazione la violazione del diritto dell’Unione commessa dal giudice speciale « non si pone in contrasto con gli artt. 52, par. 1 e 47, della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione europea, in quanto l’ordinamento processuale italiano garantisce comunque ai singoli l’accesso a un giudice indipendente, imparziale e precostituito per legge, come quello amministrativo, non prevedendo alcuna limitazione all’esercizio, dinanzi a tale giudice, dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione; costituisce, quindi, ipotesi estranea al perimetro del sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione la denuncia di un diniego di giustizia da parte del giudice amministrativo di ultima istanza, derivante dallo stravolgimento delle norme di riferimento, nazionali o unionali, come interpretate in senso incompatibile con la giurisprudenza della CGUE, risultando coerente con il diritto dell’Unione la riferita interpretazione in senso riduttivo degli art.
111, comma 8, Cost., 360, comma 1, n. 1, e 362, comma 1, c.p.c.» ( Cass. S.U. 4 ottobre 2022 n. 28803 ed i precedenti ivi citati in motivazione).
Dai richiamati principi, che vanno qui ribaditi, discende l’inammissibilità dei motivi che, nella sostanza, addebitano al Consiglio di Stato di avere erroneamente ritenuto: che si fosse formato giudicato esterno sull’insussistenza del diritto alla retrocessione dei beni espropriati; che la domanda risarcitoria fosse prescritta; che fosse manifestamente infondata, oltre che irrilevante, la questione di legittimità costituzionale della normativa statale e provinciale dettata in tema di retrocessione, ritenuta non in contrasto con le disposizioni della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo invocate nel quinto mezzo.
Si tratta all’evidenza di censure che attengono ai limiti interni, non esterni, della giurisdizione e che si risolvono nella denuncia di errores in iudicando nei quali il giudice amministrativo sarebbe incorso.
7.1. Quanto al rilievo del giudicato, queste Sezioni Unite hanno già affermato, ed al principio va qui data continuità, che il giudice, ordinario o speciale, chiamato a pronunciare su domanda rientrante nella propria competenza giurisdizionale, è necessariamente munito del potere-dovere di affrontare in via incidentale i problemi pregiudiziali o preliminari la cui definizione sia indispensabile per la decisione, e, quindi, in presenza della deduzione di uno dei contendenti, secondo cui la decisione stessa sarebbe in tutto od in parte vincolata da un precedente giudicato sostanziale (c.d. giudicato esterno), ha il compito d’indagare sull’esistenza del giudicato medesimo e sul suo contenuto precettivo ( Cass. S.U. 30 giugno 2023 n. 18602).
Se ne è tratta la conseguenza che «la censura che, deducendo il difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato, attenga, invece, all’interpretazione del giudicato, interno ed esterno, sotto tutti i possibili profili – dalla sua omessa interpretazione, alla valutazione
del suo contenuto, nonché dei suoi presupposti, ed alla sua efficacia, con i conseguenti limiti -riguarda la correttezza dell’esercizio del potere giurisdizionale del giudice amministrativo, prospettandosi, sostanzialmente, una violazione di legge commessa da quest’ultimo, sicché resta estranea al controllo ed al superamento dei limiti esterni della giurisdizione, con conseguente inammissibilità dei relativi motivi» (Cass. S.U. 19 luglio 2023 n. 21362; negli stessi termini Cass. S.U. 30 giugno 2023 n. 18602; Cass. S.U. 6 dicembre 2021 n. 38599 e la giurisprudenza ivi richiamata in motivazione).
Il principio enunciato si armonizza con quello, più generale, affermato a partire da Cass. S.U. 25 maggio 2001 n. 226 e ribadito da Cass. S.U. 21 febbraio 2022 n. 5633, secondo cui il giudicato, per la sua natura di comando giuridico e per l’effetto che produce di dare certezza e stabilità alla res controversa, è assimilabile agli elementi normativi sicché l’interpretazione del giudicato medesimo operata dal giudice del merito non costituisce un apprezzamento di fatto bensì una quaestio iuris. L’errore interpretativo nel quale eventualmente sia incorso il giudice speciale è, dunque, un error in iudicando interno alla giurisdizione che, in quanto tale, non può essere ricondotto all’eccesso di potere, inteso nei termini sopra specificati.
7.2. Analogamente è stato escluso che possa integrare eccesso di potere giurisdizionale l’applicazione, asseritamente errata, della disciplina della prescrizione del diritto o dell’azione. È stato evidenziato, infatti, che nell’individuare il dies a quo nonché il termine applicabile il giudice speciale esercita i poteri/doveri che gli competono quanto all’interpretazione delle norme ed alla valutazione degli atti.
L’errore commesso nell’attività interpretativa ed in quella di applicazione della norma al caso concreto non dà luogo ad una invasione della sfera legislativa, configurabile solo allorquando il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una
norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete.
Detta evenienza non ricorre qualora il giudice speciale individui, in tema di prescrizione, una regula juris facendo uso dei suoi poteri di rinvenimento della norma applicabile attraverso la consueta attività di interpretazione del quadro delle norme, che costituisce il proprium della funzione giurisdizionale (in tal senso fra le tante Cass. S.U. 23 febbraio 2022 n. 5952, Cass. S.U. 24 giugno 2022 n. 20459, Cass. S.U. 12 febbraio 2024 n. 3763).
Né costituisce arretramento della giurisdizione la pronuncia che accerti l’avvenuta maturazione del termine prescrizionale e per questo neghi alla parte la tutela domandata, perché in tal caso non si è in presenza di un rifiuto a pronunciare sulla domanda determinato da ragioni di giurisdizione bensì di un rigetto della domanda medesima, che potrà essere, eventualmente, conseguenza di un error in iudicando non già di un eccesso di potere giurisdizionale.
7.3. Parimenti non è sindacabile dalla Corte di cassazione ex artt. 111 Cost. e 362, comma 1, cod. proc. civ. la ritenuta manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della normativa statale e provinciale dettata in tema di retrocessione degli immobili espropriati, giacché la valutazione che ciascuna autorità giurisdizionale è chiamata a fare, su eccezione di una delle parti o di ufficio, in ordine alla rilevanza ed alla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale rimane confinata entro i limiti interni della rispettiva giurisdizione. Si tratta, infatti, di un giudizio espresso in applicazione di disposizioni processuali -gli artt. 23 e 24 della legge n. 87/1953 che stabiliscono le condizioni per l’accesso al giudizio incidentale di costituzionalità, e, pertanto, l’errore, anche abnorme, eventualmente commesso dal giudice amministrativo o contabile a quo , rientra nei limiti interni della giurisdizione del medesimo
giudice ( si rimanda a Cass. S.U. 3 giugno 2024 n. 15409 ed ai precedenti ivi citati).
8. Inammissibile, infine, è anche il terzo motivo con il quale si sostiene che il Consiglio di Stato avrebbe dovuto sollevare il conflitto negativo di giurisdizione ex art. 362 cod. proc. civ.
La disposizione invocata non è applicabile alla fattispecie, perché il conflitto al quale la stessa fa riferimento è quello che si verifica allorquando dapprima il giudice amministrativo e poi il giudice ordinario abbiano entrambi affermato o negato la propria giurisdizione sulla medesima controversia, pur senza sollevare essi stessi d’ufficio il conflitto.
A fronte della pronuncia del giudice ordinario declinatoria della giurisdizione il giudice amministrativo, nei casi in cui la causa venga tempestivamente riassunta, può ricorrere allo strumento processuale previsto dall’art. 11, comma 3, c.p.a. e può sollevare conflitto ‘alla prima udienza’. E’, quindi, necessario che si sia in presenza di una stessa domanda, riproposta dinanzi al giudice ad quem , che si configuri una prosecuzione del processo nel quale la prima pronuncia sulla giurisdizione è stata resa, che il conflitto venga tempestivamente sollevato, sicché, in difetto di dette condizioni, il giudice amministrativo deve limitarsi a statuire sulla giurisdizione ex art. 9 c.p.a., non ostandovi la precedente statuizione di declinatoria della giurisdizione (Cass. S.U. 23 luglio 2019 n. 19893; Cass. S.U. 28 ottobre 2015 n. 21951; Cass. S.U. 18 dicembre 2014 n. 26655).
Quest’ultima disposizione prevede che il difetto di giurisdizione può essere rilevato anche d’ufficio nel giudizio di primo grado mentre «nei giudizi di impugnazione è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione.»
Nel dettare la disciplina del processo amministrativo, dunque, il legislatore ha nella sostanza recepito l’orientamento, ormai consolidato, espresso dalle Sezioni Unite a partire da Cass. S.U. 9
ottobre 2008 n. 24883, secondo cui il giudice può rilevare anche d’ufficio il difetto di giurisdizione solo fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato, esplicito o implicito. Quest’ultimo si forma in caso di decisione nel merito, con esclusione delle sole pronunce che non contengano statuizioni implicanti l’affermazione della giurisdizione, come nel caso in cui l’unico tema dibattuto sia stato quello relativo all’ammissibilità della domanda o quando dalla motivazione della sentenza risulti che l’evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione (ad es., per manifesta infondatezza della pretesa) ed abbia indotto il giudice a decidere il merito per saltum , non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito ( cfr. fra le tante più recenti Cass. S.U. 22 settembre 2023 n. 27160; Cass. S.U. 27 giugno 2023 n.18389 ed i richiami ivi contenuti).
8.1. Sulla base dei richiamati principi il motivo proposto deve essere dichiarato inammissibile e ciò anche a voler prescindere dalla contraddittorietà fra il terzo ed il quarto motivo.
Il giudizio inizialmente promosso dinanzi al giudice ordinario, che aveva declinato la giurisdizione con sentenza del Tribunale di Bolzano n. 588/2015, confermata dalla Corte d’appello di Trento, è stato riassunto in sede amministrativa ed il T.R.G.A. non si è avvalso dello strumento processuale disciplinato dall’art. 11 c.p.a. ed ha deciso nel merito il ricorso, rigettandolo.
I motivi di impugnazione proposti dagli attuali ricorrenti, riassunti alle pagine 6 e 7 della sentenza impugnata in questa sede, non hanno posto in discussione la giurisdizione del giudice amministrativo, sicché la relativa questione è da ritenere ormai preclusa dalla formazione del giudicato, con conseguente inammissibilità delle censure che sulla stessa vertono.
Né si attaglia alla fattispecie l’ordinanza n. 23712/2024, che i ricorrenti richiamano nella seconda memoria illustrativa, perché in quel caso la questione di giurisdizione era stata espressamente
riproposta al giudice d’appello che, erroneamente, aveva rigettato l’eccezione.
I ricorrenti invocano anche, per l’ipotesi di dichiarazione di inammissibilità del ricorso, l’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge sia sulla giurisdizione che sul titolo che, a loro dire, legittimerebbe l’azione risarcitoria.
La richiesta non può avere seguito.
L’eccezionale potere conferito alla Corte di Cassazione dall’art. 363, comma 3, cod. proc. civ., di enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge, senza che lo stesso abbia incidenza sul giudizio nel quale la pronuncia interviene, in quanto definito dalla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, si giustifica in ragione della funzione nomofilattica che il giudice di legittimità esercita e ne incontra i medesimi limiti, sicché quel potere non può essere esercitato con riferimento alla interpretazione delle norme che il giudice speciale è tenuto ad applicare ai fini della risoluzione della controversia ad esso rimessa e rispetto alla quale è munito di giurisdizione. L’intervento sollecitato, infatti, finirebbe per assegnare alla Corte di Cassazione, rispetto alle giurisdizioni speciali, un ruolo diverso da quello disegnato dalla Carta Costituzionale, ossia quello, non consentito, di garante della legittimità comunitaria, convenzionale e costituzionale delle pronunce rese dal giudice amministrativo o contabile (in tal senso Cass. S.U. 17 novembre 2022 n. 33988 e Cass. S.U. 22 novembre 2022 n. 34387 che richiamano entrambe Cass. S.U. 17 settembre 2010 n. 19700).
9.1. Dalle considerazioni sopra esposte discende che nei giudizi che pongano questioni di riparto della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice ammnistrativo o contabile il potere discrezionale conferito alla Corte di Cassazione dal citato art. 363, comma 3, cod. proc. civ. può essere esercitato solo limitatamente alla giurisdizione medesima ed a condizione che la questione posta dal
ricorso inammissibile rivesta quella «particolare importanza», che giustifica l’intervento a prescindere dallo ius litigatoris .
Il potere, come si è detto eccezionale, non trova giustificazione nei casi in cui sulla questione di giurisdizione la Corte regolatrice abbia già pronunciato. Quest’ultima evenienza ricorre nella fattispecie giacché, con riferimento all’interpretazione dell’art. 133 lett. g) c.p.a. ( secondo cui sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo « le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti, riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione per pubblica utilità, ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario per quelle riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa » ), queste Sezioni Unite hanno affermato che la giurisdizione del giudice amministrativo riguarda le domande di accertamento dell’illegittimità della procedura ablativa, di risarcimento del danno e di rilascio del fondo, mentre spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla sola domanda di indennizzo per il periodo di occupazione legittima. E’ stato precisato, in particolare, che « Vanno parimenti portate avanti al giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto la mancata retrocessione di un bene, acquisito mediante decreto di esproprio, nonostante la sopravvenuta decadenza della dichiarazione di pubblica utilità, atteso che tale domanda è ricollegabile, in parte, direttamente ad un provvedimento amministrativo, venendo in rilievo il concreto esercizio di un potere ablatorio culminato nel decreto di espropriazione, e, per il resto, ad un comportamento della P.A. ad esso collegato, consistito nell’omessa retrocessione del bene malgrado il verificarsi della suddetta decadenza (Cass. Sez. U. 18 gennaio 2017, n. 1092; in tema pure Cass. Sez. U. 19 novembre 2021, n. 32688) » ( Cass. S.U. 1° marzo 2023 n. 6099).
10. E’ priva di rilevanza nel presente giudizio, perché non incide in alcun modo sul riparto di giurisdizione fra giudice amministrativo ed ordinario, la questione di legittimità costituzionale, ritenuta non fondata dal Consiglio di Stato e riproposta dai ricorrenti, della normativa statale e provinciale concernente l’espropriazione, per asserita violazione del protocollo 1, articolo 1, allegato alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Parimenti, l’avvenuta formazione di giudicato interno sulla questione di giurisdizione, la conseguente inammissibilità del terzo motivo nonché la ritenuta insussistenza delle condizioni richieste dall’art. 363, comma 3, cod. proc. civ., rendono priva della rilevanza richiesta dagli artt. 23 e 24 della legge 11 marzo 1953 n. 87 la diversa eccezione di illegittimità costituzionale degli artt. 7 e 133 d.lgs. 2 luglio 2010 n. 104, sollevata nella seconda memoria difensiva con riferimento alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di procedure ablatorie.
11. In via conclusiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dai ricorrenti.
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni Unite, dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in € 200,00 per esborsi ed € 15.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto
Roma, così deciso nella camera di consiglio in data 8 ottobre 2024