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Limite ragionevolezza straordinario: la Cassazione decide

Un dipendente con funzioni direttive ha citato in giudizio la sua azienda, un’importante società automobilistica, per ottenere il pagamento del lavoro straordinario svolto in modo continuativo, sostenendo che l’indennità forfettaria percepita fosse inadeguata. La Corte d’Appello aveva respinto la richiesta, ma la Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione. È stato stabilito il principio secondo cui, anche per il personale direttivo senza limiti di orario formali, esiste un ‘limite ragionevolezza straordinario’ a tutela della salute. Superato tale limite, al lavoratore spetta un compenso. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Lavoro straordinario dei quadri direttivi: la Cassazione fissa il limite di ragionevolezza

Il personale con funzioni direttive, spesso escluso dai tradizionali limiti di orario di lavoro, può essere chiamato a una prestazione senza fine? La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha fornito una risposta chiara, introducendo un baluardo fondamentale a tutela del lavoratore: il limite ragionevolezza straordinario. Questa decisione chiarisce che il diritto alla salute e all’integrità psico-fisica prevale sulla flessibilità richiesta dal ruolo, garantendo un compenso economico in caso di abusi.

Il caso: un manager e lo straordinario non retribuito

Un dipendente con funzioni direttive di una grande azienda del settore automobilistico ha lavorato per un decennio, dal 2008 al 2018, svolgendo un numero di ore di lavoro straordinario ben superiore alle 200 ore annue previste dalla contrattazione collettiva. A fronte di questa prestazione, percepiva un’indennità di funzioni direttive, il cui importo era però rimasto invariato per anni e risultava, a suo dire, del tutto insufficiente a compensare l’enorme mole di lavoro extra.

Il lavoratore ha quindi agito in giudizio per ottenere la condanna della società al pagamento di una somma calcolata sulle ore di straordinario effettuate, al netto dell’indennità già percepita. La sua tesi si basava sul fatto che la prestazione richiesta eccedeva ogni limite di ragionevolezza.

La decisione della Corte d’Appello

In secondo grado, la Corte d’Appello di Torino aveva respinto la domanda del lavoratore. Secondo i giudici territoriali, la contrattazione collettiva applicabile al rapporto aveva volutamente escluso il personale direttivo dai limiti di orario settimanali previsti per le altre categorie di dipendenti. Inoltre, la Corte aveva ritenuto che il lavoratore non avesse formulato una domanda di risarcimento per usura psico-fisica (ai sensi dell’art. 2087 c.c.) né una richiesta di adeguamento della retribuzione per violazione dell’art. 36 della Costituzione, ma una mera richiesta di compenso per straordinario, ritenuta infondata.

Il principio del limite ragionevolezza straordinario secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha completamente ribaltato la prospettiva. Accogliendo il ricorso del dipendente, ha affermato un principio di diritto consolidato ma fondamentale: anche per il personale direttivo, la prestazione lavorativa non può essere illimitata.

Richiamando una storica sentenza della Corte Costituzionale (n. 101 del 1975), i giudici supremi hanno ribadito che deve sempre esistere un limite quantitativo globale alla durata del lavoro, posto a tutela della salute e dell’integrità psico-fisica del lavoratore. Questo limite, definito di ‘ragionevolezza’, deve essere valutato dal giudice caso per caso, tenendo conto delle mansioni svolte e delle esigenze del servizio.

Le motivazioni

La Corte ha spiegato che il diritto al compenso per lavoro straordinario per i dipendenti con funzioni direttive sorge in due situazioni:

1. Quando la contrattazione collettiva prevede un orario normale di lavoro anche per questa categoria e tale orario viene superato.
2. Quando, pur in assenza di un orario normale definito, la durata della prestazione valica il limite di ragionevolezza.

L’errore della Corte d’Appello è stato proprio quello di non effettuare questa seconda verifica. I giudici di merito si sono sottratti al controllo sul rispetto del limite di ragionevolezza, non verificando se, nella concretezza del caso, la prestazione richiesta fosse eccessiva, non solo in termini quantitativi ma anche qualitativi, in rapporto alla tutela della salute e del riposo del lavoratore.

La Cassazione ha inoltre precisato che il diritto a un compenso per il superamento di tale limite è un’azione autonoma e diversa rispetto alla richiesta di risarcimento del danno per violazione dell’art. 2087 c.c. (obbligo di sicurezza del datore di lavoro). La prima è una richiesta di retribuzione per il lavoro svolto oltre una soglia tollerabile; la seconda presuppone la prova di un danno alla salute.

Le conclusioni

La decisione della Cassazione ha importanti implicazioni pratiche. Stabilisce che nessun lavoratore, nemmeno un quadro direttivo, può essere soggetto a una prestazione lavorativa senza limiti. Il datore di lavoro non può pretendere un impegno illimitato in nome della flessibilità del ruolo. Il limite ragionevolezza straordinario funge da meccanismo di protezione che, se superato, fa scattare il diritto a un compenso aggiuntivo, da determinarsi in via equitativa dal giudice. La sentenza impugnata è stata quindi cassata, e il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per un nuovo esame che dovrà attenersi a questo imprescindibile principio.

Un lavoratore con funzioni direttive, senza un limite di orario contrattuale, ha diritto a un compenso per il lavoro straordinario?
Sì, il diritto al compenso sorge in due casi: 1) se la contrattazione collettiva stabilisce un orario di lavoro normale e questo viene superato; 2) se la durata complessiva della prestazione lavorativa supera il ‘limite di ragionevolezza’, indipendentemente da previsioni contrattuali, a tutela della salute del lavoratore.

Cosa si intende per ‘limite di ragionevolezza’ della prestazione lavorativa?
È un confine non definito numericamente, che garantisce che la quantità e la qualità del lavoro richiesto non compromettano la salute e l’integrità psico-fisica del dipendente. La sua valutazione è rimessa al giudice, che deve considerare la natura delle mansioni, le condizioni di lavoro e le esigenze di tutela della persona.

Il diritto al compenso per superamento del limite di ragionevolezza è la stessa cosa di un risarcimento del danno per usura psico-fisica?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che sono due azioni legali distinte. Il diritto al compenso deriva direttamente dalla prestazione lavorativa eccessiva e viene liquidato equitativamente. Il risarcimento del danno per usura psico-fisica (ex art. 2087 c.c.) richiede invece la prova di un concreto danno alla salute causato dalla violazione dell’obbligo di sicurezza del datore di lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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