Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25290 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 25290 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 5397/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME.
–
ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME
NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME.
–
controricorrente – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di PALERMO n. 1604/2019 depositata il 31/07/2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/04/2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
Udito il PM, in persona del Sostituto Procuratore Generale, AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo di ricorso o, in subordine, per la formulazione della questione di legittimità costituzionale;
Udito l’AVV_NOTAIO;
Udito l’AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
In data 6 dicembre 2006 venivano a collisione nel canale di Sicilia, a circa 15 miglia da capo Bon, il motopeschereccio ‘NOME COGNOME‘, iscritto al compartimento di Mazara del Vallo, e la nave cargo frigo Royal Cooler battente bandiera RAGIONE_SOCIALE; nel sinistro il motopeschereccio colava a picco, perdevano la vita due marittimi italiani e risultavano dispersi due marittimi tunisini. I parenti e gli eredi dei quattro marittimi deceduti si rivolgevano al Tribunale di Marsala, sezione lavoro, chiedendo che fosse liquidato il danno dagli stessi subito.
1.2. Il Tribunale condannava la società armatrice del motopeschereccio -in solido con il comandante dello stesso e nel concorso con il primo ufficiale della nave cargo frigo Royal Cooler – al risarcimento del danno.
Condannava inoltre la compagnia assicuratrice per la responsabilità contro terzi a tenere indenne la società armatrice da quanto dovuto ai ricorrenti limitatamente ai massimali di polizza ed agli importi liquidati ‘iure proprio’.
Il giudizio definitivamente si concludeva con la sentenza n. 21667/1997 della Suprema Corte di Cassazione.
1.3. Nelle more, la società RAGIONE_SOCIALE, nella sua qualità di armatore, chiedeva l’ammissione alla procedura di limitazione del debito dell’armatore di cui agli artt. 275, 276 e 620 cod. nav.
1.4. Con sentenza n. 5/2012 il Tribunale di Marsala rigettava la richiesta di ammissione alla procedura, sul presupposto che la procedura medesima fosse ammissibile solo nell’ipotesi in cui la nave fosse ancora esistente al momento di presentazione della domanda. Infatti, osservava la sentenza impugnata, nel corso della procedura di limitazione del debito vi è la necessità di accertare il valore della nave per la determinazione della somma destinata a soddisfare i creditori; se invece la nave è andata perduta, perché affondata, sarebbe invece preclusa la sua valutazione come pure l’eventuale vendita della stessa ai sensi dell’art. 631 cod. nav.
1.5. Con provvedimento del 15 gennaio 2013, decidendo sul reclamo della società armatrice, la Corte d’Appello di Palermo andava di contrario avviso, ed ammetteva l’armatore al beneficio della limitazione del debito, rimettendo gli atti al Tribunale di Marsala, che dava corso alla procedura e la definiva con sentenza n. 2/2013.
1.6. Avverso tale sentenza i creditori instauravano il giudizio di opposizione previsto dell’art. 627 cod. nav.
Il Tribunale di Marsala rigettava l’opposizione e confermava l’ammissione dell’armatore al beneficio della limitazione del debito, con sentenza n. 1129/2014 del 10 novembre 2014, che veniva confermata dalla Corte d’Appello di Palermo con la sentenza n. 1604/2019 del 31 luglio 2019.
Avverso questa sentenza i ricorrenti indicati in epigrafe propongono ora ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nel quale pregiudizialmente sollevano tre questioni di legittimità
costituzionale.
Resiste con controricorso l’armatore, cioè la società RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso veniva fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ., all’esito della quale il Collegio, dato atto della rilevanza nomofilattica della fattispecie in esame, rispetto alla quale non era dato rinvenire specifici precedenti di legittimità e rilevato che i ricorrenti avevano anche sollevato questione di legittimità costituzionale, emetteva ordinanza interlocutoria, con cui la causa veniva rinviata a nuovo ruolo per la fissazione del ricorso in pubblica udienza.
I ricorrenti e la società resistente hanno depositato memorie illustrative sia prima della adunanza camerale sia prima della odierna pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. In via preliminare.
Preliminarmente rileva il Collegio che i ricorrenti NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME non risultano tra le parti del giudizio di appello e quindi non sono legittimati in proprio a ricorrere per cassazione.
Va inoltre rilevato che non risulta depositata documentazione attestante chi sono gli eredi di NOME COGNOME, già parte appellante e successivamente deceduta, per cui non risulta provata la legittimazione attiva di NOME, NOME, NOMECOGNOMENOME, NOME, NOME, che solo asseriscono di essere suoi eredi.
2. Il contenuto del ricorso.
Gli odierni ricorrenti deducono tre questioni di illegittimità costituzionale e tre motivi di ricorso per la cassazione dell’impugnata sentenza.
2.1. In primo luogo, deducono l’illegittimità costituzionale
dell’art. 276 cod. nav., per violazione degli art. 2, 3 e 32 Cost., in riferimento al meccanismo di determinazione della somma limite previsto dall’art. 276, secondo comma, cod. nav.
Lamentano che gli artt. 275 e 276, comma secondo, cod. nav. delineano un meccanismo, fondato su un calcolo di una somma limite riferita al valore della nave, che crea disparità di trattamento là dove siano lesi, come nel caso di specie, fondamentali diritti della persona, in caso di lesione o di morte.
In secondo luogo, deducono l’illegittimità costituzionale dell’art. 275 cod. nav., per violazione degli artt. 2 e 3 Cost., in riferimento alla mancata esclusione della limitazione del debito armatoriale ai danni arrecati ai propri dipendenti e preposti per responsabilità ex art. 2087 cod. civ.
Infine, deducono l’illegittimità costituzionale dell’art. 275 cod. nav., per violazione degli artt. 2 e 3 Cost., in riferimento alla mancata estensione dell’esclusione della limitazione della responsabilità armatoriale ai casi di dolo o colpa grave dei propri dipendenti e preposti.
2.2. Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti denunziano ‘Violazione dell’art. 276, 2° co. cod. nav., in riferimento agli artt. 2, 3, 32 Cost. (art. 360 c.p.c. nr. 3)’, per non avere la corte territoriale fornito una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, in riferimento al meccanismo di determinazione della somma limite previsto dalla norma medesima.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano ‘Violazione dell’art. 276, 2° cod. nav., in riferimento agli artt. 1175 e 1375 cod. civ. e artt. 2, 41 Cost. (art. 360, nr. 3 c.p.c.)’, per non avere la corte territoriale escluso la limitazione del debito dell’armatore in caso di danni arrecati ai propri dipendenti per sua responsabilità ex art. 2087 cod. civ. e per avere la corte territoriale omesso di considerare che il criterio di determinazione
della somma limite previsto all’art. 276 cod. nav. non può trovare applicazione nel caso di specie, in cui dovevano essere valutate le cause che avevano portato alla diminuzione ovvero al totale azzeramento di valore della imbarcazione e che erano riconducibili alla responsabilità dell’armatore.
Sostengono che la corte avrebbe infatti dovuto svolgere una interpretazione costituzionalmente orientata, sulla base della quale non sarebbe possibile ‘tollerare che l’armatore possa giovarsi di una ulteriore diminuzione del limite di responsabilità per un evento, l’affondamento del motopesca, di cui egli è stato dichiarato giudizialmente responsabile, tanto più se per il medesimo evento lo stesso armatore ha diritto di ottenere dall’assicuratore l’indennità per perdita totale della nave come prescritto dall’art. 540 cod. nav.’ (v. p. 36 ricorso).
Non è infatti possibile tollerare che, ‘per il medesimo evento, il perimento del natante, l’assicurato abbia diritto a conseguirne l’intero valore mentre i dipendenti di quest’ultimo che hanno perso la vita nell’espletamento delle mansioni lavorative hanno diritto solo ad una minima percentuale di quella, e ciò vieppiù alla luce della conclamata responsabilità dell’assicurato nella causazione del sinistro’ (v. p. 35 ricorso).
Deducono, inoltre, che la determinazione in concreto di una soglia limite inferiore al valore di stima dell’imbarcazione, se per un verso impone un ingente sacrificio ai danneggiati, ‘di contro non comporta alcun minimo apprezzabile vantaggio nei confronti dell’armatore, posto che a beneficiare della ulteriore riduzione di tale soglia limite non è quest’ultimo, quanto la compagnia assicurativa, la quale è contrattualmente garante, in forza di apposita polizza (omissis) della responsabilità armatoriale fino ad un massimale di euro 1.036.000,36 nella cui polizza è già contenuto il valore di stima dell’imbarcazione’ (v. p. 33 ricorso).
Con il terzo motivo i ricorrenti denunziano ‘Omesso esame di
un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, n. 5 c.p.c.’, per avere la corte territoriale trascurato che l’azzeramento del valore del natante era dovuto ad un evento, il naufragio dello stesso, per il quale era stata accertata giudizialmente la responsabilità armatoriale.
‘Circostanza questa che rendeva inapplicabile al caso de quo , al netto dei dubbi di costituzionalità già avanzati, lo specifico meccanismo di determinazione della somma limite prevista dall’art. 276, 2° co., cod. nav., in quanto lo stesso non può che fare riferimento ad eventi oggettivi e comunque non imputabili a violazioni commesse dall’armatore, dovendosi, in caso contrario, ritenere violati i principi di buona fede e correttezza, espressione dei principi costituzionali di solidarietà sociale, che informano l’ordinamento giuridico, e ciò alla luce dell’ulteriore, ingiustificato, vantaggio che l’applicazione alla lettera della disposizione comporta in favore del debitore e del correlativo ulteriore, ingiustificato, detrimento del diritto al risarcimento del danno avanzato dagli attori’ (v. p. 37 ricorso).
Deducono, infine, che non può non avere rilevanza sul meccanismo di liquidazione dell’art. 276 cod. nav. il fatto che il sinistro sia stato determinato da accertata responsabilità dell’armatore.
3. L’istituto della limitazione del debito dell’armatore.
3.1. Nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, la tematica concernente la procedura di limitazione del debito dell’armatore, disciplinata dagli artt. 274, 275 e da 620 a 642 cod. nav., nel cui alveo gravita la specifica questione da scrutinare, risulta raramente affrontata.
Constano soltanto tre precedenti (di cui uno assai risalente: Cass. 21 febbraio 1958, n. 570, v. inoltre Cass. 3 maggio 2004, n. 8337; Cass. 30 novembre 2007, n. 25020), che trattano della anzidetta procedura in quanto interferente – in
modo più o meno incisivo – su una controversia avente diverso oggetto, dai quali, tuttavia, è comunque possibile trarre utili apporti esegetici per la fattispecie qui in esame.
3.2. L’art. 274, comma 1 , cod. nav., prevede che ‘L’armatore è responsabile dei fatti dell’equipaggio e delle obbligazioni contratte dal comandante della nave per quanto riguarda la nave e la spedizione’ e rispetto a tale previsione normativa questa Suprema Corte ha già avuto modo di affermare che la responsabilità in oggetto è una “gravosa responsabilità vicaria per fatto altrui” (Cass. n. 25020 del 2007), la cui portata il legislatore ha ritenuto di mitigare, anche al fine di favorire e incentivare il commercio marittimo, proprio introducendo l’istituto della limitazione della responsabilità dell’armatore, di cui al successivo art. 275.
Tale ultima disposizione (nell’originaria formulazione, applicabile ratione temporis alla presente controversia) prevede(va), infatti, che per “le obbligazioni contratte in occasione e per i bisogni di un viaggio e per le obbligazioni sorte da fatti o atti compiuti durante lo stesso viaggio, ad eccezione di quelle derivanti da proprio dolo o colpa grave, l’armatore può limitare il debito complessivo ad una somma pari al valore della nave e all’ammontare del nolo e di ogni altro provento del viaggio” (comma 1).
Rispetto a tale previsione è intervenuto il d.lgs. 28 giugno 2012, n. 111, che, con l’art. 12, comma 1, ha introdotto una nuova disciplina della responsabilità dell’armatore di navi aventi stazza lorda pari o superiore alle 300 tonnellate, mentre il ricorso alla limitazione del debito ex art. 275 cod. nav. resta nella facoltà ovvero nell’esercizio del diritto potestativo del solo armatore “di una nave di stazza lorda inferiore alle 300 tonnellate”, a condizione che le obbligazioni non siano derivate da dolo o colpa grave del (solo) armatore e senza che rilevi la situazione
soggettiva dei suoi dipendenti o preposti.
Puntualizza, poi, il comma secondo dell’art. 275 cod. nav., rimasto immutato, che: “Sulla somma alla quale è limitato il debito dell’armatore concorrono i creditori soggetti alla limitazione secondo l’ordine delle rispettive cause di prelazione e ad esclusione di ogni altro creditore”.
Il successivo art. 276 cod. nav., rubricato ‘Valutazione della nave’, stabilisce che ‘Agli effetti della determinazione della somma limite si assume il valore della nave al momento in cui e’ richiesta la limitazione e non oltre la fine del viaggio, sempre che tale valore non sia ne’ inferiore al quinto ne’ superiore ai due quinti del valore della nave all’inizio del viaggio’; in particolare, poi, il secondo comma prevede che ‘ Se il valore della nave, al momento in cui e’ richiesta la limitazione, e’ inferiore al minimo previsto dal comma precedente, si assume la quinta parte del valore della nave all’inizio del viaggio. Se il valore della nave e’ superiore al massimo, si assumono i due quinti del valore all’inizio del viaggio’.
Come messo in risalto da Cass., n. 25020 del 2007, le modalità di attuazione dell’anzidetto istituto, configurato sul piano sostanziale dai richiamati artt. 274 e, segnatamente, art. 275, sono disciplinate dagli articoli da 620 a 641 cod. nav., dal cui complesso normativo si evince che l’istituto della limitazione della responsabilità dell’armatore ha lo scopo di realizzare, attraverso l’intervento dell’organo giurisdizionale, la liberazione dell’armatore dalle obbligazioni relative ad un singolo viaggio della nave e che detta limitazione si attua attraverso un procedimento di natura concorsuale.
3.3. Le scansioni procedimentali, per quanto ancora interessa in questa sede, sono le seguenti.
L’armatore fa domanda (art. 621 cod. nav.) con ricorso al tribunale competente, per l’ammissione al beneficio della
limitazione del debito, precisando, tra l’altro, il viaggio cui le obbligazioni si riferiscono, il valore della nave, l’elenco dei creditori “soggetti alla limitazione”, con l’indicazione “del titolo e dell’ammontare del credito di ciascuno”. Il tribunale adito, ove ne ravvisi i presupposti, dichiara, con sentenza esecutiva, “aperto il procedimento di limitazione (art. 623), designando con la stessa sentenza un giudice per la formazione dello stato attivo e di quello passivo, per il riparto della somma nei limiti della quale l’armatore è tenuto a rispondere (determinata in base al disposto degli artt. 622, 628 sulla formazione dello stato attivo, artt. 629 e 630), e per l’istruzione degli eventuali processi: di opposizione dei creditori contro la sentenza di apertura (di cui all’art. 627), di impugnazione dello stato attivo e di quello passivo (di cui all’art. 636), di impugnazione dello stato di riparto (di cui all’art. 637)” (così Cass., n. 25020 del 2007).
Con la sentenza di apertura della procedura viene altresì: assegnato il termine ai creditori per la presentazione delle domande e dei titoli; stabilita la data di deposito dello stato attivo e di quello passivo; fissata l’udienza di trattazione delle eventuali impugnazioni dello stato attivo e di quello passivo davanti al Collegio.
Peraltro, la data di apertura del procedimento produce effetti sui debiti pecuniari (art. 625), comportando, tra l’altro, la scadenza di quelli non scaduti, consentendosi comunque la partecipazione dei crediti sottoposti a condizione allo stato passivo, i quali “sono compresi con riserva fra i crediti ammessi”.
In forza di quanto disposto dall’art. 626, “dalla data di pubblicazione della sentenza di apertura i creditori soggetti alla limitazione non possono promuovere l’esecuzione forzata sui beni dell’armatore per le obbligazioni di cui” all’art. 275 cod. nav.; ove già iniziata, l’esecuzione forzata è sospesa, anche d’ufficio, con provvedimento del giudice della esecuzione.
In particolare, poi, la formazione dello stato attivo (artt. 628633) tende alla costituzione della “somma limite”, che circoscrive la responsabilità dell’armatore; la formazione dello stato passivo (art. 634) – cui si procede “sentiti l’armatore e i creditori concorrenti” – è volta, evidentemente, ad individuare i creditori che, nel rispetto della par condicio , potranno soddisfarsi sulla “somma limite”.
Sia lo stato attivo, che quello passivo sono suscettibili di impugnazioni, “proposte in contraddittorio dell’armatore e dei creditori interessati”, le quali, una volta decise “con sentenza passata in giudicato”, comportano la formazione di un nuovo stato attivo o passivo (art. 636). Segue, dunque, lo stato di riparto, impugnabile soltanto per che ciò che concerne le cause di prelazione (art. 637); ove poi risulti, all’esito della ripartizione, un residuo della “somma limite”, su questo sono ammessi a concorrere i creditori che abbiano presentato domanda tardiva e l’impugnazione della ripartizione del residuo è, però, impugnabile anche per ciò che concerne la “esistenza del credito” (art. 638).
Peraltro, come rilevato da Cass., n. 8337 del 2004, non vi è separazione tra fase di formazione dello stato passivo – che “può essere impugnato dall’armatore o dai creditori interessati” – e quella dell’approvazione del piano di riparto, nel senso che esse si svolgono “su piani paralleli”; la prima in “funzione di controllo dell’esercizio del potere di limitazione”, la seconda, invece, a garanzia della par condicio creditorum .
3.4. La disciplina normativa, così sintetizzata, dà contezza, anzitutto, della peculiare natura della procedura di limitazione del debito dell’armatore, quale procedura sui generis che presenta aspetti sia del procedimento di esecuzione forzata individuale, sia delle procedure concorsuali (e, segnatamente, del fallimento), ma che, in definitiva, ha una propria regolamentazione specifica, la quale partecipa intimamente del suo presupposto sostanziale,
e cioè del beneficio concesso all’armatore di limitare la propria responsabilità in riferimento a tutte le obbligazioni relative ad un determinato viaggio, da qualunque atto o fatto siano sorte, eccezion fatta per quelle derivanti da proprio dolo o colpa grave.
Trattasi, quindi, di procedura rimessa all’iniziativa dell’armatore interessato, il quale ottiene, in tal modo, di contenere la propria responsabilità, personale e patrimoniale, nell’ambito di una somma limite (accertata in seno alla procedura stessa, nella fase di determinazione dello stato attivo e, sostanzialmente, avendo a riferimento il valore della nave), sulla quale andranno a soddisfarsi, in concorso tra loro, tutti i creditori soggetti alla limitazione (cfr. Cass., n. 8337 del 2004).
3.5. E’ pertanto possibile affermare che la procedura ha la finalità di contenere i rischi connessi alla attività di navigazione marittima mediante la limitazione – non della responsabilità, che è responsabilità per fatto altrui bensì ‘del debito’, e dunque, in ultima analisi, del rischio, al fine di consentire la copertura assicurativa (che altrimenti sarebbe pressochè sempre negata dato l’elevatissimo rischio di naufragio dei natanti) attraverso la possibilità di conoscere preventivamente il limite massimo di esposizione dell’armatore nei confronti dei creditori per le conseguenze dannose della sua attività imprenditoriale.
La tenuta del descritto sistema è stata implicitamente confermata nel 2012 dal legislatore nazionale, il quale, nella applicazione della Direttiva 2009/20/CE, ha innovativamente ed autonomamente disciplinato la responsabilità dell’armatore di navi con stazza superiore alle trecento tonnellate lorde (v. il già citato d.lgs. 28 giugno 2012, n. 111, art. 12, comma 1), ma ha invece confermato la possibilità di richiedere la limitazione del debito a favore dell’armatore di navi di stazza inferiore, categoria nella quale anche rientra il motopeschereccio ‘NOME COGNOME‘ coinvolto nel sinistro oggetto di causa.
4. Le questioni di legittimità costituzionale.
Tanto premesso, va rilevato che le tre prospettate questioni di legittimità costituzionale non risultano soddisfare, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1 L. Cost. 1/1948 e 23 L. 87/1953, il duplice e concorrente profilo della rilevanza e della non manifesta infondatezza.
4.1. Se per un verso, infatti, le questioni vengono proposte in relazione alla summenzionata disciplina della limitazione del debito dell’armatore contenuta nel codice della navigazione, donde la loro rilevanza ai fini della definizione del presente giudizio, per altro verso vengono prospettate dagli odierni ricorrenti in maniera tale da risultare infondate in relazione a tutti i parametri indicati, oltre che in relazione alla possibilità di una interpretazione costituzionalmente adeguata della normativa impugnata (su tale ultimo aspetto v. infra in motivazione, sub n. 5 e ss.).
Al riguardo, occorre ricordare che in tema di risarcimento per danni ai passeggeri durante il trasporto aereo la Corte Costituzionale, con sentenza anche espressamente richiamata nella qui impugnata sentenza, ha avuto modo di affermare la legittimità della limitazione di responsabilità del vettore aereo, precisando: ‘È, allora, in questa prospettiva, che risulta quale assetto della limitazione del risarcimento possa soddisfare gli estremi della compatibilità con l’art. 2 Cost. Ad avviso della Corte, deve trattarsi di una soluzione normativa atta ad assicurare l’equilibrato componimento degli interessi in giuoco: e dunque, per un verso sostenuta dalla necessità di non comprimere indebitamente la sfera di iniziativa economica del vettore, per l’altro congegnata secondo criteri che, in ordine all’imputazione della responsabilità o alla determinazione della consistenza del limite in discorso, comportano idonee e specifiche salvaguardie del diritto fatto valere da chi subisce il danno…. Le
osservazioni fin qui svolte sugli sviluppi della normativa pattizia e della nostra legislazione interna conducono al seguente risultato: la limitazione della responsabilità del vettore si appalesa giustificata solo in quanto siano al tempo stesso predisposte adeguate garanzie di certezza od adeguatezza per il ristoro del danno’ (Corte cost., n. 132 del 1985).
Con successiva pronuncia n. 369 del 1996, sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 5bis , comma 6, del decreto legge n. 333 del 1992, convertito dalla legge n. 359 del 1992, nel testo sostituito dall’art. 1, comma 65, della legge n. 549 del 1995, nella parte in cui equiparava la disciplina del risarcimento del danno da accessione invertita alla disciplina concernente la determinazione della indennità dovuta nel caso di espropriazione per pubblica utilità, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma censurata, nella parte in cui applica al «risarcimento del danno» i criteri di determinazione stabiliti per l’indennità di espropriazione per pubblica utilità e, nell’occasione, ‘stante la radicale diversità strutturale e funzionale della obbligazioni così comparate’, ed è, peraltro, pervenuta ad affermare che ‘la regola generale dell’integralità della riparazione ed equivalenza al pregiudizio cagionato a chi sia stato non iure danneggiato non ha copertura costituzionale atteso che, in casi eccezionali, verificabili sia nel campo della responsabilità contrattuale, sia in materia di responsabilità extracontrattuale, il legislatore può legittimamente ritenere equa e conveniente una limitazione del risarcimento del danno, purché la riduzione del risarcimento dipenda dall’equilibrato componimento, assicurato dalla norma di conformazione del medesimo danno risarcibile degli opposti interessi in gioco’.
Ancora, con la pronuncia n. 235/2014 la Corte Costituzionale, proprio richiamando il summenzionato precedente n. 132 del 1985 sui limiti alla responsabilità del vettore aereo in tema di
trasporto di persone, ha ribadito come non si configuri ipotesi alcuna di illegittimità costituzionale per lesione del diritto inviolabile alla integrità della persona, ove la disciplina in contestazione sia volta a comporre le esigenze del danneggiato con altro valore di rilievo costituzionale, come, in quel caso, il valore dell’iniziativa economica privata connesso all’attività del vettore.
La pronuncia evoca anche la giurisprudenza di questa Suprema Corte, ed in particolare la sentenza n. 26972 del 2008, che ha puntualizzato come il bilanciamento tra i diritti inviolabili della persona ed il dovere di solidarietà (di cui, rispettivamente, al primo e secondo comma dell’art. 2 Cost.) comporti che non sia risarcibile il danno per lesione di quei diritti che non superi il «livello di tollerabilità» che «ogni persona inserita nel complesso contesto sociale […] deve accettare in virtù del dovere di tolleranza che la convivenza impone».
Inoltre, sempre nella sentenza n. 235/2014, la Corte Costituzionale ha precisato che ‘al bilanciamento -che doverosamente va operato tra i valori assunti come fondamentali dalla nostra Costituzione ai fini della rispettiva, complessiva, loro tutela -non si sottraggono neppure i diritti della persona consacrati in precetti della normativa europea -ove questi vengano, come nella specie, in rilievo come parametri del giudizio di costituzionalità, per interposizione ex art. 117, primo comma, Cost. -poiché, come pure già precisato, ‘A differenza della Corte EDU, questa Corte […] opera una valutazione sistemica e non isolata dei valori coinvolti dalle norme di volta in volta scrutinate’ (sentenza n. 264 del 2012)’.
Ed è quindi pervenuta a concludere che il controllo di costituzionalità del meccanismo tabellare di risarcimento del danno biologico introdotto dal censurato art. 139 cod. ass. -per il profilo del prospettato vulnus al diritto all’integralità del
risarcimento del danno alla persona -va, quindi, condotto non già assumendo quel diritto come valore assoluto e intangibile, bensì verificando la ragionevolezza del suo bilanciamento con altri valori, che sia eventualmente alla base della disciplina censurata.
Di recente, infine, in relazione alla sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 283, comma 2, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), come modificato dall’art. 1, comma 9, lettera b), del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 198 (Attuazione della direttiva 2005/14/CE che modifica le direttive 72/166/CEE, 84/5/CEE, 88/357/CEE, 90/232/CEE e 2000/26/CE sull’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli), nella parte in cui prevede che, «[i]n caso di danni gravi alla persona, il risarcimento è dovuto anche per i danni alle cose, il cui ammontare sia superiore all’importo di euro 500, per la parte eccedente tale ammontare», il Giudice delle Leggi, con sentenza n. 98 del 2019, è pervenuta ad escludere la violazione degli artt. 2 e 3 Cost. sulla base del fermo principio per cui ‘il dovere di aiutare chi si trova in difficoltà per una causa qualunque’ può essere adempiuto dal legislatore secondo criteri di discrezionalità e sulla base della ‘necessaria ragionevole ponderazione con altri interessi e beni di pari rilievo costituzionale (sentenza n. 226 del 2000)’.
4.2. Pertanto, in relazione alla prima delle tre questioni di costituzionalità proposte, è possibile osservare che la circostanza che il legislatore del 1942 abbia, per un verso, riconosciuto la responsabilità dell’armatore per fatto altrui e, per altro verso, abbia introdotto una somma limite al risarcimento dovuto, seppure senza distinzione tra danni alle persone ed alle cose, integra un ragionevole contemperamento tra gli interessi in gioco, nel doveroso bilanciamento tra le esigenze dei danneggiati
e l’attività imprenditoriale dell’armatore di piccole dimensioni (nel caso di specie il natante colato a picco era un motopeschereccio), da ricondurre alla iniziativa economica privata tutelata dall’art. 41 Cost.
I ricorrenti lamentano, oltre alla lesione degli artt. 2 e 32 Cost., anche quella dell’art. 3 Cost., prospettando una arbitraria discriminazione tra la disciplina del settore marittimo e la disciplina del settore aereo; tuttavia, quest’ultima disciplina viene assunta come tertium comparationis sulla base di una pretesa totale omogeneità tra i due settori, ma in maniera del tutto generica ed assertiva, e tale carenza espositiva rende, oltre che infondata, financo inammissibile la deduzione della questione di incostituzionalità.
4.3. La seconda delle prospettate questioni è parimenti infondata, nella misura in cui, come si è sopra evidenziato nella ricostruzione dell’istituto, la responsabilità dell’armatore e la conseguente facoltà di usufruire della limitazione del debito è testualmente esclusa dall’art. 275 cod. nav. soltanto per le obbligazioni sorte per dolo o colpa grave dello stesso armatore.
Là dove, poi, i ricorrenti si dolgono del fatto che la disciplina di cui all’art. 275 cod. nav. sia anacronistica al punto da non considerare il peculiare rapporto di lavoro che lega l’armatore, quale datore di lavoro, ai propri dipendenti e preposti, rapporto che avrebbe dovuto essere valutato sia in relazione all’art. 2087 cod. civ. sia in relazione a molteplici interventi normativi, a livello comunitario ed internazionale, in tema di prevenzione degli infortuni della gente di mare nonché di sicurezza delle navi da pesca (v. l’enumerazione a p. 18 del ricorso), la censura è inammissibile, sia perché si limita ad evocare genericamente ed assertivamente la norma civilistica interna ed il compendio normativo sovranazionale, sia perché non risulta correlata alla motivazione dell’impugnata sentenza, da cui precipuamente
risulta che la controversia è nata dal rigetto della opposizione dei danneggiati-creditori alla ammissione RAGIONE_SOCIALE COGNOME al beneficio della limitazione del debito, beneficio che è stato riconosciuto alla società nella sua specifica qualità di armatore; né, d’altra parte, i ricorrenti si peritano di precisare, se, in quali atti ed in quali termini, degli obblighi di cautela e protezione dei lavoratori, gravanti sul datore di lavoro, sia stata fatta specifica questione nei due precedenti gradi di giudizio.
4.4. Per le medesime ragioni risulta infondata la terza ed ultima questione di costituzionalità proposta.
Invero, secondo l’interpretazione datane da questa Suprema Corte e che si intende qui riaffermare, la responsabilità dell’armatore, a mente del principio cuius incommoda, eius incommoda , va delineata come una responsabilità per fatto altrui, per cui l’armatore risponde dei fatti e degli atti compiuti dal comandante della nave, dai suoi preposti e dai suoi dipendenti.
Da tale impostazione discende che la limitazione ex lege prevista non attiene alla natura della responsabilità, bensì alla esposizione dell’armatore verso i creditori (oltretutto i soli creditori ‘soggetti alla limitazione’, come recita l’art. 275, secondo comma, cod. nav.), e quindi è da intendersi, coerentemente, esclusa solo in relazione alle obbligazioni sorte per grave colpa o dolo dell’armatore medesimo.
La pretesa dei ricorrenti, sottesa alla proposizione della questione di legittimità costituzionale, di veder decadere la limitazione del debito dell’armatore anche, estensivamente, ‘nei casi di colpa o dolo dei dipendenti e preposti di cui questo si giova nell’esercizio della navigazione’ (così p. 21 ricorso), contrasta con la ricostruzione dell’istituto in termini di limite alla garanzia patrimoniale dell’armatore e non alla sua responsabilità.
Come già più volte rilevato, la responsabilità dell’armatore è
una responsabilità per fatto altrui, per cui, in quanto tale, si riferisce ai fatti ed agli atti compiuti con dolo o colpa dai suoi dipendenti e preposti, mentre la limitazione della sua esposizione debitoria, tra l’altro ormai circoscritta solo alle ipotesi di cd. ‘piccoli armatori’, a seguito della emanazione del d.lgs. 111/2012, è riferita a tutte le obbligazioni a qualsiasi titolo contratte in relazione al viaggio della nave, con la sola esclusione, quale naturale pendant della particolare natura della responsabilità, delle obbligazioni sorte per fatto stesso dell’armatore medesimo, con dolo o colpa grave.
5. I motivi di ricorso per cassazione.
I tre motivi di ricorso, che possono essere congiuntamente esaminati per la evidente connessione, sono infondati.
5.1. Il primo motivo, con cui i ricorrenti lamentano che la corte territoriale non avrebbe fornito una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 276, comma secondo, cod. nav., è infondato, dato che dalla lettura della motivazione dell’impugnata sentenza, al contrario, proprio si desume che il giudice d’appello ha optato per una interpretazione conforme al dettato costituzionale, come desunto dai pronunciamenti della Corte Costituzionale, anche sopra richiamati, e fondato sul doveroso e ragionevole bilanciamento, anche tenuto conto del recepimento di sopravvenuta normativa unionale e della conseguente applicazione del beneficio della limitazione del debito, in via residuale, solo ai cd. ‘piccoli armatori’, tra la tutela delle esigenze dei danneggiati e la tutela della libertà di iniziativa economica di una categoria di soggetti, avente più limitata capacità economica di altri per far fronte ai costi derivanti da fatti imprevisti nell’esercizio della propria attività imprenditoriale (così p. 8 dell’impugnata sentenza).
5.2. Analoghe conclusioni possono essere rese in relazione al secondo motivo.
La motivazione dell’impugnata sentenza anche in questo caso resiste al sindacato di legittimità, dato che ha nuovamente posto alla base della decisione la possibile interpretazione, costituzionalmente adeguata, del disposto dell’art. 275 cod. nav. quale norma a tutela della attività imprenditoriale marittima di piccole dimensioni ed ha anche aggiuntivamente rilevato, con motivazione congrua e scevra da vizi logico-giuridici, che non può essere ravvisata una disparità di trattamento in relazione ai crediti vantati dai lavoratori o preposti dell’armatore, i quali, in quanto destinatari della normativa previdenziale ed assistenziale del settore marittimo, hanno diritto alla indennità liquidata dall’RAGIONE_SOCIALE.
Il motivo, invero, è anche prioritariamente inammissibile ex art. 366, n. 3 e n. 6 cod. proc. civ., dato che presuppone l’inequivocabile accertamento della responsabilità dell’armatore, in qualità di datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 cod. civ., senza tuttavia che i ricorrenti trascrivano o perlomeno riportino nei passaggi salienti, a corretta illustrazione della svolta censura, se, dove e quando tale specifica questione sia stata trattata nel precedente contesto processuale, nato, peraltro, dal rigetto -confermato in appello dell’opposizione degli allora creditori appellanti oggi ricorrenti alla ammissione della RAGIONE_SOCIALE al beneficio della limitazione del debito nella sua precipua qualità di armatore, non di datore di lavoro.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che ‘il requisito di cui all’art. 366, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., consiste in un’esposizione che deve garantire a questa Corte di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia ma anche del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass., Sez. U., 28 novembre 2018, n. 30754, che richiama Cass. n. 21396 del 2018); la valutazione
in termini d’inammissibilità del ricorso non esprime, naturalmente, un formalismo fine a sé stesso, anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 e ribaditi da Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950, bensì il richiamo al rispetto di una precisa previsione legislativa volta ad assicurare uno “standard” di redazione degli atti che, declinando la qualificata prestazione professionale svolta dalla difesa e presupposta dall’ordinamento, si traduce nel sottoporre al giudice nel modo più chiaro la vicenda processuale permettendo, in quel perimetro, l’apprezzamento delle ragioni della parte (Cass., Sez. U., n. 30754 del 2018, cit.); si tratta, come evidente, di una ricaduta del principio di specificità del gravame, calato nel giudizio a critica vincolata qual è quello della presente sede di legittimità’ (così Cass., n. 8117/2022).
Infine, il riferimento, svolto dai ricorrenti, al fatto per cui non si potrebbe tollerare che, ‘per il medesimo evento, il perimento del natante, l’assicurato abbia diritto a conseguirne l’intero valore, mentre i dipendenti di quest’ultimo che hanno perso la vita nell’espletamento delle mansioni lavorative hanno diritto solo ad una minima percentuale di quella, e ciò vieppiù alla luce della conclamata responsabilità dell’assicurato nella causazione del sinistro’ (v. p. 35 ricorso), costituisce questione, riferita al disposto dell’art. 540 cod. nav., di cui l’impugnata sentenza non fa menzione alcuna, né i ricorrenti si peritano di specificare se, dove e quando sia stata trattata, nel precedente contesto processuale, per cui risulta questione nuova ed inammissibile in quanto proposta per la prima volta in sede di legittimità.
Va ribadito, invero, il principio secondo cui, qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere
non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (Cass., sez. 6 – 5, n. 32804 del 13/12/2019; Cass., sez. 2, 24/01/2019, n. 2038; Cass., sez. 6-1, 13/06/2018, n. 15430).
5.3. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano, sotto il profilo dell’omesso esame di fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, il fatto che la corte territoriale non ha tenuto conto che nel caso di specie ‘l’azzeramento del valore del natante, al momento della attivazione della procedura di limitazione de qua, era dovuto ad un evento, l’affondamento della nave, per il quale era stata accertata giudizialmente la responsabilità della società armatoriale’ (p. 37 ricorso).
Deducono altresì che tale circostanza ‘non può non avere incidenza alcuna sull’applicazione in concreto del meccanismo di determinazione della somma limite, come stabilito dall’art. 276, 2° co., cod. nav.’ (p. 42 ricorso).
In disparte il pur non marginale rilievo per cui viene dedotta la violazione del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. in presenza di cd. ‘doppia conforme’ e dunque in violazione dell’art. 348 -ter cod. proc. civ. ora art. 360, comma quarto, cod. proc. civ., il motivo in scrutinio pone la questione della entità del risarcimento previsto dalla normativa speciale contenuta nel codice della navigazione.
Invero, già con la proposizione delle questioni di legittimità costituzionale nonché nella illustrazione del primo e del secondo motivo, i ricorrenti lamentano che la corte territoriale non avrebbe tenuto conto del fatto che nel sistema delineato dall’art. 276, comma secondo, cod. nav., ‘sia concesso di scendere al di
sotto di una soglia limite già predeterminata (art. 275 cod. nav.) anche nel caso di lesione dei diritti inviolabili della persona, introducendo nella sostanza una limitazione della limitazione del debito armatoriale, limitato non più all’intero valore (sia pure di stima) della nave, ma ad una sua risibile percentuale …’ (v. p. 29 ricorso).
5.3.1. Il terzo motivo, come pure, in parte qua , il primo ed il secondo, sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
Dal combinato disposto degli artt. 627 cod. nav. (‘Contro la sentenza di apertura i creditori possono promuovere opposizione, entro quindici giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del Regno, per l’inesistenza degli estremi di legge, in contraddittorio dell’armatore. L’opposizione non sospende il procedimento, a meno che il giudice designato non ne autorizzi, con ordinanza, la sospensione fino a che non sia pronunciata sull’opposizione sentenza passata in giudicato’) e 629 cod. nav. (‘Entro tre giorni dalla sentenza di apertura o dal deposito della dichiarazione di valore, disposto ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 621, il giudice designato fissa il termine, non superiore a cinque giorni, e le modalità per il deposito della somma limite, computata sulla base delle indicazioni e dei documenti presentati dall’armatore, nonché di una congrua somma per le spese del procedimento’) è possibile desumere che l’opposizione alla ammissione al beneficio della limitazione del credito non annovera, tra i suoi motivi, la determinazione della somma limite.
Le questioni poste dai ricorrenti esulano, pertanto, dalla natura della controversia e dalla tipologia di procedura che ha caratterizzato i precedenti gradi di giudizio.
5.3.2. Per altro verso, dalla lettura dell’impugnata sentenza risulta che la corte territoriale, nel confermare la decisione del tribunale, ha argomentato conformemente al disposto dell’art.
276, comma secondo, cod. nav., per cui nell’ipotesi, quale quella in esame, nella quale, al momento della richiesta di limitazione del debito, il valore della nave risulti inferiore ad un quinto del valore ad inizio viaggio, la somma limite va determinata in misura pari al quinto del valore della nave ad inizio viaggio.
La corte territoriale, confermando la decisione di prime cure, ha fatto altresì applicazione sia dell’art. 622 cod. nav., secondo cui ‘La dichiarazione del valore della nave all’inizio del viaggio deve indicare il valore commerciale secondo le risultanze del Registro italiano navale o dell’ispettorato compartimentale, tenuto conto altresì delle pertinenze indicate nella copia dell’inventario di bordo di cui alla lettera c dell’articolo precedente. In caso di nave assicurata, si assume per valore commerciale quello che la polizza di assicurazione indica come valore di stima ai sensi dell’articolo 515’, sia dell’art. 515, comma secondo, cod. nav., secondo cui ‘Nel silenzio delle parti, la dichiarazione del valore della nave, contenuta nella polizza, equivale a stima’.
La corte di merito si è quindi pronunciata conformemente al peculiare sistema delineato dal codice della navigazione, secondo il quale, diversamente da quanto previsto dagli artt. 1908 e 1909 cod. civ. ed in deroga al cd. principio indennitario, la polizza che indica il valore della nave, nel silenzio delle parti, va considerata come una polizza stimata, per cui in caso di sinistro va liquidato un danno ad esso corrispondente.
Come già più sopra affermato, non è possibile affermare la violazione di principi costituzionali, in termini di disparità di trattamento, rispetto ad una normativa, quella del codice della navigazione, che è ispirata dalle peculiarità del settore marittimo e dei gravi rischi connessi alla navigazione, con ogni conseguenza in ordine alla necessità di una adeguata copertura assicurativa.
Inoltre, e con ogni conseguenza anche in relazione alle
proposte questioni di illegittimità costituzionale, non è né illegittimo né illogico che l’art. 276, comma secondo, cod. nav. stabilisca quella che, a detta dei ricorrenti è una ‘limitazione della limitazione del debito armatoriale’, ma che, invece, consente di attribuire un risarcimento, nonostante la limitazione ex lege prevista della esposizione debitoria dell’armatore, anche nel caso in cui, come in quello di specie, la nave sia colata a picco, evenienza questa a cui di fatto conseguirebbe l’azzeramento dell’intero suo valore.
Quanto al profilo del vulnus ai diritti fondamentali della persona, come prospettato nella illustrazione delle questioni di costituzionalità, ed alla violazione dei principi di buona fede e correttezza ex artt. 1175 e 1375 cod. civ., come dedotta nel secondo e nel terzo motivo di ricorso, va osservato che la previsione, già speciale sotto il profilo della ratio legis , del meccanismo di determinazione della cd. somma limite, va valutata, più che con i criteri dell’ordinamento interno, in relazione ai dicta del giudice sovranazionale.
Valga pertanto richiamare la ancora recente pronuncia Cass., 24/11/2020, n. 26757, con cui questa Suprema Corte – nel fare applicazione della sentenza della CGUE del 16 luglio 2020, in causa C-129/19, in tema di vittime di ogni reato intenzionale violento commesso nel territorio di uno Stato membro, resa a seguito di rinvio pregiudiziale effettuato con ordinanza interlocutoria Cass., 29/01/2019, n. 2964 – ha rilevato che la CGUE, pur affermando che “lo Stato membro eccederebbe il margine di discrezionalità accordato dall’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 se le sue disposizioni nazionali prevedessero un indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti puramente simbolico o manifestamente insufficiente alla luce della gravità delle conseguenze del reato per tali vittime”, ha poi precisato che il contributo può “essere considerato «equo ed
adeguato» se compensa, in misura appropriata, le sofferenze alle quali esse sono state esposte”, e “non deve necessariamente corrispondere al risarcimento del danno che può essere accordato, a carico dell’autore di un reato intenzionale violento, alla vittima di tale reato” -sicché esso “non deve necessariamente garantire un ristoro completo del danno materiale e morale subito dalla vittima”.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
L’assoluta novità delle questioni trattate induce alla integrale compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Va, infine, dato atto dell’esistenza dei presupposti per il pagamento, da parte dei ricorrenti, dell’importo del contributo unificato, dal momento che, diversamente da quanto prospettato nel ricorso (v. p. 45) il giudizio non attiene alla materia di lavoro, ma è un giudizio civile.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Compensa integralmente le spese processuali.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione il 14 aprile 2025.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME