Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4230 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L   Num. 4230  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 12694-2022 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA  CANCELLERIA  DELLA  CORTE  SUPREMA  DI  CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE  già  RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato  NOME  COGNOME,  che  la  rappresenta  e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME DI SAN FELICE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4296/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 11/01/2022 R.G.N. 623/2020;
Oggetto
Licenziamento verbale
R.G.N. 12694/2022
COGNOME.
Rep.
Ud. 19/11/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/11/2024 dal Consigliere AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello di Roma rigettava l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza  del  Tribunale  di  Roma  n.  11163/2019  che  aveva rigettato  il  suo  ricorso  al  fine  di  ottenere  la  declaratoria  di nullità/inefficacia/illegittimità del licenziamento verbale del 14.7.2018, con ogni conseguenza di legge.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale ha giudicato infondato il primo motivo di gravame, ritenendo che la sentenza impugnata esprimesse con chiarezza le ragioni in virtù delle quali il primo giudice era giunto a ritenere che la frase ‘tu per me sei licenziato non venire più’ fosse stata profferita non dall’effettivo datore di lavoro del ricorrente ossia, da COGNOME NOME, amministratore legale della società appellata -bensì da un semplice dipendente di tale società, quale appunto COGNOME NOME, figlio di NOME.
Per la Corte era infondato anche il secondo motivo d’appello, con il quale l’appellante aveva censurato la sentenza impugnata nella parte in cui non ha valutato la circostanza del mancato recapito in suo favore del biglietto di viaggio del treno Napoli-Roma nei giorni successivi al diverbio del 14.7.2018, quale prova presuntiva della titolarità in capo a COGNOME NOME non soltanto del potere di licenziare il dipendente, ma anche di tutte le prerogative conseguenti al licenziamento, come appunto la mancata fornitura del biglietto di viaggio.
Con riguardo al terzo motivo di appello, osservava la Corte che, fermo restando che non vi era prova che il testimone NOME COGNOME fosse a conoscenza dell’intervenuto cambio al vertice della società, e che, in ogni caso, egli con la sua deposizione si era limitato a riferire in ordine ai ruoli di fatto svolti da COGNOME NOME (colui che impartiva le direttive) e COGNOME NOME (colui che svolgeva mansioni di semplice operaio), comunque, ciò che appariva dirimente era la prova documentale, di cui la Corte aveva detto in precedenza, della attribuzione all’epoca dei fatti di causa della qualifica di legale rappresentante della società appellante -e dunque di datore di lavoro dell’appellante in capo a COGNOME NOME.
 Infine,  giudicava  infondato  anche  il  quarto  motivo  di gravame, con il quale l’allora appellante lamentava l’ammissione della prova testimoniale unicamente con riguardo al  ‘ diverbio  del  14/07/2018 ‘  e  non  anche  in  merito  alla posizione  occupata  da  COGNOME  NOME  all’interno  della società.
Avverso tale decisione RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
L’intimata ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa  applicazione  dell’art.  414  c.p.c.  e  421  c.p.c.  (art.  360 c.p.c., I comma n. 3)’. Deduce che la Corte di appello di Roma ha erroneamente affermato nella propria sentenza ‘che, oltre all’accertamento del fatto storico, in ordine all’avvenuto
licenziamento  orale  del  signor  COGNOME,  il  ricorrente  avrebbe dovuto dedurre nonché articolare in ordine all’effettiva titolarità del  potere  datoriale  in  capo  a  COGNOME  NOME  e  che pertanto l’omessa istruttoria da parte dell’odierno ricorrente ha determinato  il  rigetto  della  domanda  proposta  con  il  ricorso introduttivo’.
Con un secondo motivo deduce ‘Omessa e contraddittoria valutazione di un fatto decisivo (ex art. 360, I comma nr. 5)’. Lamenta che, nell’affrontare il secondo motivo di appello, la Corte di Appello di Roma omette ogni valutazione sulla  decisività  del  mancato  inoltro  del  biglietto,  al  fine  di ritenere provato il potere direttivo e gerarchico del COGNOME.
Con un terzo motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 414 e 437 c.p.c. in combinato disposto degli artt. 115 e 116 c.p.c. (ex art. 360, comma I, nr. 3 e 4)’. Assume che ‘La Corte di Appello di Roma deduce, nel proprio iter-logico giuri dico, la tardività dell’allegazione di codesta parte, in ordine alla circostanza, dedotta solo nell’atto di appello che il signor COGNOME NOME NOME divenuto amministratore unico della società resistente’, e che la stessa Corte ‘ha evidentemente fatto errata applicazione delle disposizioni codicistiche sul presupposto di una inammissibile valutazione della documentazione prodotta’.
 Con  un  quarto  motivo  denuncia  ‘Violazione  e  falsa applicazione  degli  artt.  115  e  116  c.p.c.,  nonché  omessa  e contraddittoria valutazione di un fatto decisivo (ex art. 360, I comma nr. 3 e 5)’. Censura la sentenza impugnata dove ‘La Corte di Appello di R oma, …, ha inteso confermare la sentenza di primo grado del Tribunale di Roma, ritenendo che, nella fase istruttoria, non fosse emersa la qualifica del signor COGNOME
NOME di datore di lavoro del signor COGNOME NOME, odierno ricorrente’.
 Con  un  quinto  motivo  denuncia  ‘Violazione  e  falsa applicazione dell’art. 244 e 245 c.p.c. (ex art. 360, comma I n. 4)’. Si duole della parte di sentenza in cui la ‘Corte di Appello di  Roma  ha  ritenuto  di  dover  rigettare,  impropriamente  ed illegittimamente il quarto motivo di appello, con cui il ricorrente, allora appellante, si era doluto dell’erroneità delle modalità di deduzione della prova ‘ .
Il primo motivo è inammissibile.
 Nella  trattazione  di  tale  censura  il  ricorrente  non specifica sotto quali profili e perché giudichi violato (anche) l’art. 421 c.p.c.
 Inoltre,  le  attuali  deduzioni  del  ricorrente,  che  non individuano precisamente la parte dell’impugnata sentenza che intendono censurare, paiono comunque disallineate rispetto alle ragioni per le quali la Corte distrettuale ha disatteso il primo motivo  d ‘appello  dell’attuale  ricorrente  (motivo  del  quale  la stessa Corte aveva diffusamente premesso il contenuto al § 2 lett. A) della propria decisione alla facciata 3).
8.1. Più nello specifico, la Corte territoriale, nell’esaminare tale censura, dal difetto di allegazione cui allude il ricorrente non ha  fatto  derivare  ‘l’omessa  istruttoria  da  parte  dell’odierno ricorrente’ da lui ora sostenuta.
Piuttosto, la Corte, come ben risulta dalla sua motivazione in parte qua (cfr.  §§  6.1.-6.1.4. tra la facciata 6 e quella 7), dopo aver riconsiderato le risultanze probatorie acquisite (orali e  documentali),  ha  alla  fine  osservato  che  soltanto  in  modo
marginale e aspecifico ‘nel ricorso di primo grado si legge che COGNOME  NOME  sarebbe  stato  il  ‘datore  di  fatto’  di COGNOME  NOME,  senza  che  a  tale  affermazione  si  accompagni l’allegazione delle modalità con cui tale ruolo gestionale concretamente sarebbe stato svolto dal medesimo COGNOME NOME‘.
Osserva, comunque, il Collegio che la censura afferisce all’interpretazione del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado (assumendosi violato anche l’art. 414 c.p.c.).
E,  secondo  un  consolidato  orientamento  di  legittimità, poiché l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito, in sede di legittimità può essere effettuato  esclusivamente  il  controllo  della  correttezza  della motivazione  che  sorregge  sul  punto  la  decisione  impugnata (così, ex plurimis , Cass. n. 16253/2020).
10. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Occorre, infatti, ricordare che, per questa Corte, ricorre l’ipotesi di c.d. ‘doppia conforme’, ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (in tal senso, ex multis , Cass. civ., sez. VI, 9.3.2022, n. 7724).
E’ stato, inoltre, specificato che, nell’ipotesi di ‘doppia conforme’ prevista dal quinto comma dell’articolo 348 -ter del c.p.c., il ricorrente per cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’articolo 360 del c.p.c., deve indic are le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (così, tra le altre, Cass. civ., sez. II, 14.12.2021, n. 39910; id., sez. III; 3.11.2021, n. 31312; id., sez. III, 9.11.2020, n. 24974).
11.1. Nel caso in esame, la sentenza di secondo grado e quella che ha definito il primo grado sono del tutto conformi.
11.2. Ebbene, il ricorrente non ha allegato se ed in che parti le motivazioni delle due sentenze in questione fossero significativamente difformi.
Piuttosto, il ricorrente si duole della mancata valutazione della circostanza del mancato inoltro del biglietto ferroviario al lavoratore perché, a suo dire, tale circostanza era comunque emersa dall’istruttoria, proponendo una propria rilettura delle risultanze processuali in proposito (cfr. pagg. 10-16 del ricorso), senza tuttavia considerare che tale circostanza è stata comunque esaminata e ritenuta generica e marginale, e quindi irrilevante al fine di provare la titolarità del potere disciplinare e di licenziamento.
Per analoghe ragioni è inammissibile anche il quarto motivo che fa cumulativamente riferimento alle differenti ipotesi di cui ai nn. 3) e 5) del primo comma dell’art. 360 c.p.c.
Per questa Corte, infatti, è inammissibile la mescolanza e  la  sovrapposizione  di  mezzi  di  impugnazione  eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360
c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intenda precisamente rimettere in discussione (così Cass., sez. lav., 28.5.2020, n. 102129, id., sez. II, 28.1.2021 , n. 1859). E’ stato a riguardo specificato che, perché censure tra loro eterogenee e cumulativamente formulate non incorrano nella ricordata preclusione, è necessario che nell’ambito dell’unica esposizione risulti ben identificata e specificamente trattata sia la doglianza relativa all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie che i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (cfr. Cass., sez. lav., 9.7.2020, n. 14634).
13.1. Più nello specifico, in questa censura si riscontra un cumulo indistinto dei diversi mezzi di cui ai n. 3) e n. 5) del primo comma dell’art. 360 c.p.c., e in ogni caso il ricorrente non deduce  l’omesso  esame  circa  un  fatto  storico  decisivo  per  il giudizio e che abbia formato oggetto di discussione tra le parti.
13.2. Inoltre, il ricorrente, pur mostrandosi consapevole dei limiti entro i quali in sede di legittimità è deducibile la violazione o la falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (cfr. pag. 19 del ricorso), in realtà muove poi una critica in senso stretto alla valutazione  del  materiale  istruttorio  operata  dai  giudici  di secondo grado (cfr. pagg. 20-22 del ricorso).
E’ ancora inammissibile il terzo motivo.
Il ricorrente censura, infatti, esclusivamente il punto in cui la Corte territoriale, nel ritenere che a nulla rilevava ‘che NOME COGNOME sia divenuto amministratore unico della società  appellata  nel  periodo  successivo  alla  cessazione  del rappor to di lavoro’, aveva anzitutto osservato che ‘trattasi di argomento nuovo dedotto per la prima volta in appello’.
15.1.  Non  considera  affatto  che  la  Corte  subito  dopo,  e nello  stesso  senso,  ha  altresì  ritenuto  che  ‘dirimente  è,  a giudizio della Corte il dato dell’attribuzione, all’epoca dei fatti oggetto di causa, della carica di rappresentante legale -e quindi di reale datore di lavoro del RAGIONE_SOCIALE -a COGNOME NOME e non a COGNOME NOME‘.
15.2. La Corte d’appello, quindi, di là dal rilievo processuale di novità dell’argomento in questione, l’ha comunque giudicato nel merito irrilevante; affermazione, questa, ulteriore e ritenuta dirimente,  che  il  ricorrente  non  censura,  essendo  il  motivo in centrato  esclusivamente  sull’asserita  violazione  delle  norme processuali di cui agli artt. 414 e 437 c.p.c. (cfr. pagg. 16-17 del ricorso).
E’ infine inammissibile il quinto motivo.
Non considera il ricorrente che la Corte di merito, dopo aver tenuto conto di come si era svolta l’istruttoria orale ammessa dal Tribunale, ha ritenuto che ‘il primo giudice ha di fatto, nel contraddittorio fra le parti, svolto istruttoria anche sul punto specifico della riconoscibilità a COGNOME NOME del potere di licenziare l’odierno appellante, ritenendo, in ogni caso, dirimente la prova documentale, valutando la circostanza dello svolgimento del potere di direzione dell’attività lavorativa sv olta dal testimone NOME NOME parte di COGNOME NOME NOME
omettendo di tenere in considerazione quanto dichiarato dalla teste COGNOME, verosimilmente stante la genericità ed insufficienza delle sue dichiarazioni e tenuto conto del rapporto sentimentale tra la teste e l’originario ricorrente’; ed ha concluso che, ‘in ultima analisi, le circostanze ritualmente allegate con il ricorso introduttivo, anche con riguardo all’ipotetico datore di lavoro di fatto, sono state tutte vagliate dal primo giudice e verificate mediante istruttoria orale, con l’audizione del testimone (l’unico) indicato dall’originario ricorrente, ed all’esito del giudizio del tutto correttamente si è ritenuta infondata la domanda ‘ per non aver rivestito NOME COGNOME al momento dell’alterco la qualifica di datore di lavoro del ricorrente ‘ , il quale, di fatto, avrebbe dovuto e potuto presentarsi sul luogo di lavoro il lunedì successivo all’episodio del 14/07/2018, ovvero il 16/07/2018, ponendo a disposizione della società appellata le proprie energie lavorative e ciò non ha fatto’.
18 . Il ricorrente,  in  quanto  soccombente,  dev’essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese  di  questo  giudizio  di legittimità,  liquidate  come  in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La  Corte  dichiara  inammissibile  il  ricorso.  Condanna  il ricorrente al  pagamento in favore della controricorrente delle spese  del  giudizio  di  legittimità,  che  liquida  in  €  200,00  per esborsi ed € 4.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso
forfettario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Ai  sensi  del  D.P.R.  n.  115  del  2002,  art.  13,  comma  1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il  versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del