Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6417 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 6417 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 7744-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALESocietà con socio unico, soggetta all’attività di direzione e coordinamento di RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente principale –
contro
NOMECOGNOME elettivamente domiciliato presso gli indirizzi PEC degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME che lo rappresentano e difendono;
– controricorrente –
ricorrente incidentale condizionatononché contro
RAGIONE_SOCIALE
Oggetto
Licenziamento per giusta causa
R.G.N. 7744/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 17/12/2024
CC
– ricorrente principale -controricorrente incidentale condizionato-
avverso la sentenza n. 42/2023 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 26/01/2023 R.G.N. 301/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME
CASO.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 229/2022 il Tribunale di Ancona aveva accolto l’opposizione proposta da Trenitalia s.p.a. all’ordinanza del medesimo Tribunale che, nella fase sommaria del procedimento ex lege n. 92/2012, aveva invece accolto l’impugnativa, proposta da NOME, del licenziamento disciplinare per giusta causa intimato a quest’ultimo con lettera in data 29.7.2019, per aver falsamente attestato l’esecuzione di trasferte in qualità di tutor di bordo, in contrasto con le risultanze del sistema informatico aziendale (cartellini presenza ed infedele rendicontazione delle stesse) al fine di percepire la relativa indennità; con detta sentenza di primo grado, quindi, venivano rigettate le domande del lavoratore.
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Ancona accoglieva il reclamo proposto da Re Emanuele contro la suddetta sentenza e, in riforma della stessa, dichiarava illegittimo il licenziamento impugnato perché il fatto rientrava tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni del CCNL; per l’effetto, ai sensi dell’art. 18, comma 4, l. n. 300/1970, ordinava a Trenitalia s.p.a. di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro precedentemente occupato e condannava la stessa società al pagamento di
un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore aveva percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, in ogni caso in misura non superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale giudicava infondato il primo motivo di reclamo, con il quale il lavoratore censurava la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva disatteso l’eccezione di inutilizzabilità dei dati informatici per i riscontri (in particolare, le risultanze del badge di accesso ai varchi), con conseguente nullità del procedimento disciplinare per violazione delle garanzie predisposte all’art. 4 l. n. 300/1970.
La Corte riteneva infondato anche il secondo motivo di reclamo, a mezzo del quale il lavoratore censurava la sentenza di primo grado per aver respinto la sua eccezione di violazione del principio di immediatezza della contestazione disciplinare.
Dopo aver premesso in narrativa che il lavoratore reclamante aveva, altresì, dedotto l’erronea qualificazione giuridica dei fatti e l’illegittimità della sanzione espulsiva in quanto sproporzionata rispetto alla (modesta) gravità dell’infrazione, la ste ssa Corte giudicava fondato nel merito il reclamo a riguardo.
5.1. Più nello specifico, premesso che la sussistenza del fatto materiale era sostanzialmente incontestata (il lavoratore non negava di aver proceduto a rendicontazioni ‘disordinate’) e
muovendo, per il criterio della ragione più liquida, dalla valutazione della proporzionalità della sanzione del licenziamento rispetto alla gravità dell’infrazione considerata, la Corte preliminarmente evidenziava che, pur in presenza di prova sufficiente delle circostanze di fatto poste a base del licenziamento, la verifica della sussistenza della giusta causa richiedeva comunque l’effettuazione di un giudizio di proporzionalità tra la gravità dei fatti contestati e l’entità della sanzione applicata.
5.2. Considerati gli artt. 63 e 64 del CCNL per i lavoratori delle ferrovie sottoscritto il 16.12.2016 che prevedono il licenziamento, rispettivamente, con o senza preavviso, la Corte riteneva pacifico che i comportamenti contestati non rientravano nelle v iolazioni previste dall’art. 64 cit.
5.3. Secondo la Corte, infatti, dagli atti di causa e dall’istruttoria espletata era emerso che NOME, dotato di ampia autonomia organizzativa nell’espletamento delle sue mansioni di tutor , avesse non già falsamente attestato di avere effettuato le sue prestazioni di tutor di bordo, essendogli piuttosto imputabile una disordinata rendicontazione delle medesime, non congruente con le risultanze del sistema informatico aziendale.
5.4. Sul punto, i giudici del reclamo concludevano che, con riferimento ai motivi di recesso cristallizzati nella lettera del 29 luglio 2019 (e nella precedente contestazione degli addebiti), la massima sanzione espulsiva non era proporzionata all’effettivo disvalore sociale dei fatti posti a suo fondamento, e che, in difformità con quanto stabilito dal primo giudice, doveva dunque ritenersi l’illegittimità del licenziamento impugnato, non essendo riscontrabile nella fattispecie un comportamento
idoneo a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario costituente il presupposto fondamentale della collaborazione fra le parti nel rapporto di lavoro.
Inoltre, la Corte di merito, nel ritenere che doveva trovare l’applicazione nel caso in esame l’art. 18, comma 4, della l. n. 300/1970 novellato, rilevava che -trattandosi di comportamenti privi di intenzionalità lesiva, ancorché negligenti, posti in essere dal lavoratore, da cui erano scaturite conseguenze non connotate da particolare gravità per l’azienda -la contrattazione collettiva riteneva per queste ipotesi proporzionata una sanzione conservativa, dovendosi applicare la sanzione espulsiva nei soli casi di comportamenti dolosi ovvero compiuti anche in modo negligente, ma arrecando grave pregiudizio all’azienda o gravi lesioni a lavoratori o terzi. In tal senso, richiamava l’art. 61 lett. c) del cit. CCNL e le ipotesi di cui alle lett. d) ed e) del l’art. 62 del medesimo CCNL.
6.1. La stessa Corte, quindi, si riferiva al principio di diritto, affermato nelle pronunce di legittimità richiamate, secondo il quale il giudice di merito, ai fini della tutela reintegratoria ex art. 18, comma 4, cit., può sussumere la condotta contestata anche nelle clausole del contratto collettivo, prevedenti una sanzione conservativa, che abbiano formulazione generica o elastica.
In conclusione, riteneva che doveva applicarsi la reintegra nel posto di lavoro dal momento che il fatto contestato rientrava ‘tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili’.
Avverso tale decisione RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
L’intimato ha resistito con controricorso, contenente anche ricorso incidentale condizionato, a mezzo di tre motivi.
La ricorrente principale ha contrastato il ricorso incidentale condizionato con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363, nonché 2019 cod. civ. (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.) laddove è stato ritenuto che l’oggetto della contestazione disciplinare attenesse solo a d una ‘disordinata rendicontazione’ delle trasferte effettuate dal lavoratore’.
Con un secondo motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 5 legge n. 604 del 1996 e 115 cod. proc. civ. (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.) laddove è stata ritenuta ‘non contestata’ l’effettuazione da parte del la voratore delle attività in trasferta’.
Con un terzo motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ., dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 64 del CCNL (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.) laddove è stato ritenuto che non sarebbe stato provato l’elemento in tenzionale della condotta e la sussistenza di una condotta integrante giusta causa di recesso’.
Con il quarto motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 4 e comma 5 L. n. 300 del 1970, nonché degli artt. 61, 62 e 63 CCNL e dei principi
giurisprudenziali in materia di giudizio di proporzionalità stabilito dal contratto collettivo (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.) laddove si è ritenuto che le condotte poste in essere dal lavoratore sarebbero state sussumibili tra quelle sanzionate con provvedimento di natura conservativa, con conseguente diritto alla tutela reintegratoria ex art. 18, comma 4, legge n. 300 del 1970′.
Con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato, il lavoratore deduce ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 4 Stat. Lav., del Regolamento Ue 2016/679, del D.lgs. 196/2003, in relazione all’art. 360, n. 3, poiché il Giudice di Appello ha ritenuto che l’obbligo di adeguata informativa ex art. 4 Stat. Lav., venga meno in ipotesi dei c.d. controlli difensivi aventi ad oggetto fatti illeciti da parte del dipendente’.
Con il secondo motivo dello stesso ricorso deduce ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3 e 4 nonché error in procedendo -vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione -poiché il Giudice di Appello non ha esaminato l’eccezione circa l’adeguatezza dell’informativa fornita dal datore di lavoro, ex art. 4 Stat. Lav.’.
Con il terzo motivo dello stesso ricorso deduce ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 Stat. Lav., in relazione all’art. 360, n. 3 e 4, poiché il Giudice di Appello ha ritenuto che fosse stata tempestivamente intrapresa l’iniziativa disciplinare, nonostante il controllo mensile delle trasferte; nullità della sentenza per motivazione apparente ovvero omessa pronuncia’.
Il primo motivo del ricorso principale non è fondato.
Esso s’incentra sul rilievo che la sentenza della Corte d’appello ‘è basata sull’assunto totalmente errato che la contestazione disciplinare de qua aveva ad oggetto una ‘disordinata’ rendicontazione delle trasferte effettuate dal lavoratore’, tanto che la ricorrente ivi denuncia la violazione e falsa applicazione dei canoni ermeneutici legali di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c. nell’interpretazione de lla lettera di contestazione disciplinare, della quale riporta la parte saliente del suo testo (cfr. in particolare pagg. 22-23 del ricorso).
Detta censura si basa, però, su un’errata messa a fuoco dell’effettiva (prima) ratio decidendi posta a fondamento della propria sentenza dalla Corte territoriale.
10.1. Più nello specifico, la Corte di merito sin dall’inizio ha ben riassunto il senso della contestazione disciplinare, premettendo che al lavoratore era addebitato di ‘aver falsamente attestato l’esecuzione di trasferte in qualità di tutor di bordo, in contrasto con le risultanze del sistema informatico (cartellini presenza ed accesso ai varchi della stazione di Ancona) e con gli orari dei treni, in tal modo ottenendo una errata ed infedele rendicontazione delle stesse al fine di percepire la relativa in dennità’ (così a pag. 2 della sua sentenza).
10.2. E, secondo quanto riferisce la stessa ricorrente nella lettera di contestazione era appunto addebitato al Re di avere: ‘(i) falsamente certificato di aver svolto attività in trasferta’ in determinate giornate in dettaglio indicate, ‘ottenendo con ta le illecito comportamento l’indebita corresponsione di € 985,34 a titolo di indennità di trasferta’; ‘ii) falsamente certificato di aver svolto attività in trasferta nelle’ ulteriori giornate ivi indicate, ‘al fine di ottenere l’indebita corresponsione del relativo importo
di € 232,00, che tuttavia non gli è stato liquidato’; ‘(iii) attestato di avere svolto attività in trasferta, in orari non corrispondenti a quelli dei treni che ha dichiarato di avere utilizzato e pertanto senza fornire elementi di riscontro circa la durat a effettiva della trasferta, nelle seguenti giornate’, parimenti in dettaglio riportate in detta nota.
10.3. Ebbene, la Corte distrettuale, come già riportato in narrativa, ha poi concluso che ‘dagli atti di causa e dall’istruttoria espletata è emerso che NOME, dotato di ampia autonomia organizzativa nell’espletamento delle sue mansioni di tutor , abbia non già falsamente attestato di avere effettuato le sue prestazioni di tutor di bordo, essendogli piuttosto imputabile una disordinata rendicontazione delle medesime, non congruente con le risultanze del sistema informatico aziendale (anche in ragione del fatto che tale operazione non veniva compiuta immediatamente dopo l’effettua zione della trasferta, ma con cadenza mensile, e quindi anche a distanza di diversi giorni)’ (così tra la pag. 6 e la pag. 7 della sua sentenza).
10.4. E’ ben chiaro, allora, che la stessa Corte, in questo ragionamento decisorio, non ha espresso una propria valutazione sulla portata della contestazione disciplinare (secondo la ricorrente errata perché non ancorata al suo contenuto letterale), bensì ha esplicitato un suo apprezzamento probatorio: in particolare, ha considerato che, ‘dagli atti di causa e dall’istruttoria espletata’ era emerso che il lavoratore non aveva ‘falsamente attestato di avere effettuato le sue prestazioni di tutor di bordo’, c ome contestatogli, in quanto piuttosto gli era addebitabile ‘una disordinata rendicontazione
delle medesime, non congruente con le risultanze del sistema informatico …’.
Trattasi, insomma, di accertamento fattuale che la Corte ha poi diffusamente argomentato (v. in extenso pag. 7 della sentenza impugnata).
11.1. Viene così a cadere l’ulteriore rilievo della ricorrente, secondo cui ‘la Corte territoriale, in modo del tutto immotivato , non ha tenuto conto delle condotte, anch’esse contestate nella medesima lettera, poste in essere’ nelle date in dettaglio indicate in ricorso (cfr. pagg. 23-25 del ricorso).
11.2. E’ di tutta evidenza, infatti, che la ricorrente non considera che la Corte d’appello ha osservato: ‘Limitando in questa sede l’analisi ai soli fatti successivi al mese di dicembre 2018, sui quali il giudice di prime cure ha ritenuto opportuno fondare la decisione, si rileva che gli errori di rendicontazione sono circoscritti a n. 8 episodi (trasferte del 15, 16 e 25 Gennaio 2019, del 12, 15, 24 e 29 Aprile 2019 e del 20 Maggio 2019), con un danno patito dall’azienda non superiore a poche decine di eu ro, e quindi in misura tale da non integrare un ‘ forte pregiudizio all’azienda ‘ o un ‘ forte pregiudizio alla sicurezza ‘ richiesti dalla contrattazione collettiva ai fini della legittimità del licenziamento’ (così a pag. 7 della sua sentenza).
E tale ulteriore passaggio motivazionale (cui seguono altre osservazioni) rispecchia sempre un apprezzamento probatorio, peraltro in parte qua confermativo di quello di primo grado quanto al perimetro temporale da considerare, che non può essere rivisto in questa sede di legittimità.
11.3. Del resto, in proposito la ricorrente pare adombrare un’anomalia motivazionale (dove assume che la Corte di merito,
in modo del tutto immotivato, non avrebbe tenuto conto di determinate condotte contestate), vale a dire, un vizio che in questa sede di legittimità doveva essere fatto valere, nei limiti attualmente consentiti, con mezzo di ricorso diverso da quello optato di cui all’art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c.
Il secondo motivo del ricorso principale è inammissibile in una duplice chiave.
La ricorrente sostiene che: ; sicché la sentenza sarebbe .
13.1. Orbene, anzitutto pure questa censura, come il primo motivo, non coglie l’effettivo significato del ragionamento decisorio della Corte di merito.
13.2. Quest’ultima, difatti, non ha fondato la propria decisione in parte qua sul principio di non contestazione ex art. 115, comma primo, c.p.c.
Piuttosto, nel passo ora censurato (da leggere in relazione agli 8 episodi indicati poco prima nel punto riportato nell’esaminare il primo motivo di ricorso) risulta chiaro che i
giudici di secondo grado hanno formato il proprio convincimento sempre in base alle ‘testimonianze assunte’ ed agli ‘atti di causa’, ed è in base a tali fonti di prova che hanno ritenuto ‘pacifico’, nel senso di acclarato, e non in quello di ‘non contestat o, ‘che il lavoratore abbia sempre effettuato la trasferta nei giorni indicati’, vale a dire, negli otto giorni su visti.
Sotto diverso profilo, ma convergente nel senso dell’inammissibilità, l’ampio sviluppo del secondo motivo si risolve in una lettura delle risultanze processuali (comprese le testimonianze) diversa da quella effettuata dalla Corte territoriale (cfr. pagg. 27-35 del ricorso).
14.1. Per contro, la ricorrente non spiega perché nell’impugnata sentenza sarebbe stata consumata un’illegittima inversione dell’onere probatorio in violazione dell’art. 2697 c.c., né perché le sarebbe stato addossato un onere probatorio non incombente sulla stessa ex art. 5 l. n. 604/1966.
Parimenti, inammissibile è il terzo motivo del ricorso principale per più ragioni.
Tale censura, infatti, come il quarto motivo, si fonda anche sulla dedotta violazione e falsa applicazione di disposizioni del CCNL applicato al rapporto (l’art. 64 per il terzo motivo e gli artt. 61, 62 e 63 per il quarto motivo).
16.1. Ebbene, occorre ricordare che, secondo questa Corte, nell’ambito della contrattazione di lavoro privato, la conoscenza del giudiceinterprete è consentita mediante l’iniziativa della parte interessata, da esercitare attraverso le modalità proprie del processo, non essendo previsti i meccanismi di pubblicità che assistono la contrattazione di lavoro pubblico (così, ad es., Cass. civ., sez. lav., 20.5.2020, n. 9300; in termini id., sez. I,
29.12.2020, n. 29772). Inoltre, è stato deciso che detto onere può essere adempiuto, in base al principio di strumentalità delle forme processuali -nel rispetto del principio di cui all’articolo 111 della Costituzione, letto in coerenza con l’articolo 6 d ella Cedu, in funzione dello scopo di conseguire una decisione di merito in tempi ragionevoli -anche mediante la riproduzione, nel corpo dell’atto d’impugnazione, della sola norma contrattuale collettiva sulla quale si basano principalmente le doglianze, purché il testo integrale del contratto collettivo sia stato prodotto nei precedenti gradi di giudizio e, nell’elenco degli atti depositati, posto in calce al ricorso, vi sia la richiesta, presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sente nza impugnata, di trasmissione del fascicolo d’ufficio che lo contiene, risultando forniti in tal modo alla Suprema corte tutti gli elementi per verificare l’esattezza dell’interpretazione offerta dal giudice di merito (così Cass. civ., sez. I, 6.6.2019, n. 15415). La produzione del testo integrale del contratto collettivo, infatti, di regola, costituisce adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 13 63 c.c.; né, a tal fine, può considerarsi sufficiente il mero richiamo, in calce al ricorso, all’intero fascicolo di parte del giudizio di merito, ove manchi una puntuale indicazione del documento nell’elenco degli atti (in tal senso id., sez. lav. 4.3.2019, n. 6255; e in termini analoghi id., sez. lav. 3.1.2019, n. 15, la quale aveva ritenuto che la produzione parziale di un documento sia non solamente incompatibile con i principi generali dell’ordinamento e con i criteri di fondo dell’intervento legislativo e contrasta con i canoni di ermeneutica dettati dagli artt. 1362 e segg. c.c. e, in ispecie, con la regola prevista dall’art. 1363 c.c., atteso che la mancanza del testo integrale
del contratto collettivo non consente di escludere che in altre parti dello stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per l’interpretazione esaustiva della questione che interessa).
Infine, occorre ricordare che, secondo questa Corte, il ricorso per cassazione deve essere redatto nel rispetto dei requisiti imposti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c. che, al comma 1, n. 6, richiede ‘la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda’; è, quindi, necessario che il ricorrente, oltre a riportare nel ricorso il contenuto del documento, quanto meno nelle parti essenziali, precisi in quale fase processuale è avvenuta la produzione ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, precisando al riguardo che il requisito di cui al richiamato art. 366 c.p.c., n. 6, è imprescindibile ed autonomo e non può essere confuso con quello di proced ibilità (egualmente richiesto) previsto dall’art. 369 c.p.c. n. 4, in quanto il primo risponde all’esigenza di fornire al giudice di legittimità tutti gli elementi necessari per avere la completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a fonti esterne, mentre la produzione (laddove effettuata) è finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento la cui rilevanza è invocata ai fini dell’accoglimento del ricorso (così Cass. civ., sez. lav., 19.6.2020, n. 12025).
16.2. Ora, nel caso in esame, non solo la ricorrente si è limitata a depositare in questa sede sub doc. 5) della sua produzione quello che indica come ‘Stralcio CCNL Mobilità’, ma neppure ha specificato in ricorso chi e quando avesse prodotto il testo integrale di quel contratto collettivo e quale ne sia la collocazione in uno dei fascicoli di parte o d’ufficio. In parte qua ,
perciò, il terzo ed il quarto motivo difettano del requisito di specificità/autosufficienza del ricorso per cassazione.
16.3. Invero, solo nella propria memoria ex art. 380bis.1. c.p.c., ossia, in scritto difensivo avente finalità illustrative, la ricorrente ha dedotto che ‘Nel giudizio introdotto dal signor COGNOME il testo integrale del contratto collettivo era stato già acquisito nei precedenti gradi di merito, avendolo depositato controparte sub doc. 13 del fascicolo della fase sommaria del rito Fornero’, assumendo, inoltre, che si tratti di fascicolo ‘depositato a codesta Suprema Corte anche da controparte al momento del de posito del controricorso contenente ricorso incidentale’.
In ogni caso, anche il terzo motivo non considera in modo completo e preciso quanto effettivamente sostenuto dalla Corte distrettuale.
17.1. In particolare, per la ricorrente ‘la sentenza è viziata poiché ha ritenuto che, ai fini della legittimità del licenziamento, sia necessario il dolo e l’intenzione di arrecare danno all’azienda’, ma tale rilievo è inesatto.
17.2. Come ben risulta dall’integrale lettura della motivazione resa dalla Corte territoriale, una prima parte della stessa (v. § 3 alle pagg. 5-9) è essenzialmente (ma non soltanto) dedicata ad escludere la riconduzione dei fatti contestati, come accertat i, a talune delle ipotesi di cui all’art. 64 del CCNL e già contiene una qualificazione delle condotte in questione in chiave colposa (scartandosi, infatti, sia un’ ‘intenzionalità lesiva’ che un c.d. ‘dolo eventuale’ in capo al lavoratore).
Invero, come si è visto, la Corte d’appello ha valutato i comportamenti accertati quali ‘comportamenti episodici non
caratterizzati da particolare gravità’ ed ha reputato sussistente solo una ‘disordinata rendicontazione’ (o ‘disorganizzazione nella rendicontazione’) delle trasferte, escludendo che le relative condotte avessero integrato gli estremi di un ‘ forte pregiudizio all’azienda ‘ o un ‘ forte pregiudizio alla sicurezza ‘.
E tale ragionamento decisorio si conclude già nel senso della ‘illegittimità del licenziamento impugnato, non essendo riscontrabile nella fattispecie un comportamento idoneo a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario costituente il presupposto fondamentale della collaborazione fra le parti nel rapporto di lavor o’.
17.3. La ricorrente, nell’ambito del terzo motivo, richiama l’art. 64 del CCNL lett. n) che sanziona con il licenziamento ‘le gravi e comprovate violazioni delle disposizioni sulla rilevazione dello stato delle presenze’, ma trascura di considerare che la Corte ha motivatamente valutato i comportamenti in questione come ‘non caratterizzati da particolare gravità’ e che in punto di fatto, da un lato, non ha accertato che al lavoratore fossero state contestate ‘violazioni delle disposizioni sulla rilevazione dello stato delle presenze’ e, dall’altro, ha invece considerato che il lavoratore fosse ‘dotato di ampia autonomia organizzativa nell’espletamento delle sue mansioni di tutor ‘ e che la rendicontazione delle prestazioni in questione ‘non veniva compiuta immediatamente dopo l’effettuazione della trasferta, ma con cadenza mensile e quindi anche a distanza di diversi giorni’.
17.4. La ricorrente deduce ancora che ‘la sentenza non considera il dato, pacifico, che il Re ha inserito intenzionalmente i dati nel sistema con grave ed ingiustificato ritardo rispetto al
termine di 5 giorni previsto dalla specifica regolamentazione dettata in materia’.
Ma si tratta di rilievo, oltre che generico e contrastante, come si è ora visto, con l’accertamento fattuale della Corte (circa la tempistica della rendicontazione), estraneo pure ai termini della contestazione disciplinare, come considerata dai giudici di secondo grado, ma anche dall’attuale ricorrente: in tale contestazione, infatti, non era presente l’addebito specifico di ‘un grave ed ingiustificato ritardo rispetto al termine di 5 giorni previsto dalla specifica regolamentazione dettata in materia’.
Più in generale, la ricorrente propone una differente valutazione della gravità delle condotte contestate, che, a sua volta, s’incentra su aspetti fattuali non accertati in giudizio, quale quello che dà per ‘pacifico’ -che ‘il Re, doveva per forza i nserire dei nominativi sull’Agen da perché, diversamente, il sistema avrebbe generato un’anomalia ostativa alla liquidazione della trasferta registrata sul portale RAGIONE_SOCIALE‘ (cfr. inizio di pag. 38 del ricorso); ed infatti imputa alla Corte d’appello una ‘errata ricognizione del contenuto probatorio’ (così a pag. 42 del ricorso).
Inoltre, erroneamente assume la ricorrente che ‘il Collegio non avrebbe potuto sussumere, per differenza, le condotte de quibus all’interno di una previsione di sanzione conservativa, dovendo, di contro, estendere il sindacato alla verifica della sussistenza di quegli elementi che integrano il precetto normativo di cui all’art. 2119 Cod. Civ.’.
19.1. Invero, la Corte di merito, già nella parte di motivazione sin qui considerata, ha compiuto anche
quest’ultima valutazione, perché non ha riscontrato ‘nella fattispecie un comportamento idoneo a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario costituente il presupposto fondamentale della collaborazione fra le parti nel rapporto di lavoro’.
20. Ma, soprattutto, come si è anticipato, è errato il rilievo di partenza del terzo motivo, secondo il quale, la sentenza impugnata avrebbe ritenuto che, ai fini della legittimità del licenziamento, sia necessario il dolo e l’intenzione di arrecare danno all’azienda’.
20.1. La ricorrente, difatti, non considera una seconda parte di motivazione, che più direttamente sorregge il dispositivo della sentenza di secondo grado che ha dichiarato ‘illegittimo il licenziamento comminato al lavoratore in data 29 luglio 2019 perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni del C.C.N.L.’.
20.2. Più nello specifico, nel § 4 della propria motivazione, la Corte ha anzitutto osservato che: ‘Trattandosi, infatti, di comportamenti privi di intenzionalità lesiva, ancorché negligenti, posti in essere dal lavoratore, da cui sono scaturite conseguenze non connotate da particolare gravità, la contrattazione collettiva ritiene per queste ipotesi proporzionata una sanzione conservativa, dovendosi applicare la sanzione espulsiva nei soli casi di comportamenti dolosi ovvero compiuti anche in modo negligente, ma arrecando grave pregiudizio all’azienda o gravi lesioni a lavoratori o terzi’.
Dunque, contrariamente a quanto assume la ricorrente, la Corte territoriale ha esplicitamente preso in considerazione l’ipotesi che anche una condotta di natura colposa nella forma della negligenza possa giustificare il licenziamento.
Fermo il rilievo d’inammissibilità di cui s’è già detto in relazione al terzo motivo (per la mancata produzione in questa sede di copia integrale del CCNL), il quarto motivo dev’essere comunque disatteso.
La Corte d’appello, dopo le considerazioni da ultimo riportate nell’esaminare il mezzo di ricorso precedente, ha considerato che: .
22.1. Quindi, la Corte territoriale ha fatto riferimento a riguardo alla giurisprudenza di legittimità secondo la quale, in tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dalla l. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, commi 4 e 5, come novellato dalla l. 28 giugno 2012, n. 92, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l’illecito con sanzione conservativa anche laddove sia espressa attraverso clausole generali ed elastiche. Tale operazione di interpretazione e sussunzione non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, restando tale operazione di interp retazione nei limiti dell’attuazione del principio di proporzionalità come già eseguito dalle parti sociali attraverso
la previsione del contratto collettivo (cfr., tra le altre, Cass. n. 13744/2022; n. 11665/2022; n. 13065/2022; n. 20780/2022; n. 13063/2022; n. 10435/2023).
22.2. Ebbene, la ricorrente non censura la decisione della Corte di merito nella parte in cui ha ritenuto che le su viste disposizioni del CCNL che la stessa ha richiamato contenessero clausole generali ed elastiche.
22.3. Piuttosto, la stessa assume che sarebbe ‘del tutto inconferente’ ‘il richiamo all’ipotesi di cui all’art. 62 lett. e) del CCNL ove vengono disciplinate le ipotesi di ‘ abituale negligenza nell’osservanza degli obblighi di servizio ‘, laddove la Corte di merito aveva conclusivamente qualificato appunto come ‘negligenti’ i comportamenti tenuti dal lavoratore, ponendo in luce che dagli stessi fossero ‘scaturite conseguenze non connotate da particolare gravità’.
Dà la ricorrente per ‘pacifico’ che ‘quel che il Re ha commesso è di aver certificato di essere stato in trasferta e di aver svolto attività formativa a determinati capitreno in giornate in cui, tali attestazioni, sono risultate non veritiere e smentite do cumentalmente’, ma, come si è visto, la Corte di merito ha invece escluso che il lavoratore tanto avesse ‘falsamente attestato’.
Evidenzia, infine, che entrambe le previsioni collettive richiamate dalla Corte d’appello contemplavano delle clausole di riserva (‘ salvo che, per la particolare gravità della mancanza, la stessa non sia diversamente perseguibile ‘, nell’art. 61, e ‘ sempre che la mancanza non abbia carattere di particolare gravità, altrimenti perseguibile ‘, nell’art. 62 lett. d).
Di nuovo, tuttavia non considera la ricorrente che i giudici di secondo grado hanno a più riprese escluso tale ‘particolare gravità’ ed hanno ridimensionato sotto vari profili la rilevanza dei ‘circoscritti episodi’ accertati.
Il complessivo rigetto del ricorso principale comporta l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato del lavoratore.
La ricorrente principale, in quanto soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiarando assorbito il ricorso incidentale condizionato. Condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 17.12.2024.
Il Presidente NOME COGNOME