Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22194 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 22194 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 10121-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE;
-intimata –
Oggetto
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 05/06/2024
CC
avverso la sentenza n. 2715/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 16/11/2020 R.G.N. 2511/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/06/2024 dal AVV_NOTAIO.
Rilevato che
la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro intercorso tra NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE a decorrere dal licenziamento intimato in data 24 febbraio 2017 ed ha condannato la società datrice di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria omnicomprensiva in misura pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto nonché al pagamento della somma di € 512,82 a titolo di rateo di tredicesima, di € 2. 190,00 a titolo di trattamento di fine rapporto e di € 13.354,16 a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, il tutto oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla maturazione dei crediti al soddisfo;
per la cassazione della decisione ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE sulla base di tre motivi; NOME COGNOME ha depositato tempestivo controricorso; RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE non ha svolto attività difensiva;
parte ricorrente ha depositato memoria
Considerato che
con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. in relazione agli artt. 2105, 1175 e 1375 c.c. censurando la sentenza impugnata per non avere, nell’effettuare la valutazione di proporzionalità del
licenziamento, tenuto conto dell’accertata esistenza dell’elemento soggettivo, dell’intenzionalità dell’inadempimento e dell’elevatezza delle funzioni svolte dal lavoratore , e per avere, per contro, valorizzati elementi non provati o non sussistenti in fatto quali la circostanza che l”attività della società RAGIONE_SOCIALE era da ricondurre in pieno all’COGNOME, il fatto che vi era stato accertamento della dannosità della condotta con riguardo all’acquisizione di un cliente già in trattativa con RAGIONE_SOCIALE eccRAGIONE_SOCIALE
con il secondo motivo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c., violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. e del principio della domanda di cui all’art. 99 c.p.c. censurando la sentenza impugnata per avere, ai fini della quantificazione della indennità risarcitoria, dato applicazione all’art. 18, comma 5 l . n. 300/1970 laddove il lavoratore aveva chiesto l’applicazione del d. lgs. n. 23/2015 il quale, per come pacifico, trovava applicazione al rapporto di lavoro in controversia;
con il terzo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione delle regole di ermeneutica di cui agli artt. 1362 e sgg. censurando la interpretazione della domanda giudiziale del lavoratore in punto di richieste connesse alla illegittimità del licenziamento, richieste che asserisce riconducibili all’ambito applicativo del d. lgs n. 23/2015 e non a quello dell’art. 18 comma 5 l. n. 300/1970, come, viceversa, avvenuto;
il primo motivo di ricorso è inammissibile;
4.1. la Corte distrettuale, ritenuti provati i fatti oggetto di contestazione disciplinare (avere accettato l’COGNOME la carica di
consigliere della società RAGIONE_SOCIALE e non avere reso edotta la datrice di lavoro di alcune circostanze relative all’acquisizione come cliente della RAGIONE_SOCIALE di una società dapprima contattata da RAGIONE_SOCIALE, nonché del fatto che alcune risorse formate da quest’ultima erano passate alla società concorrente), ha ritenuto la sanzione espulsiva non proporzionata alla effettiva entità dell’illecito;
4.2. la censura di violazione di norma di diritto, per come concretamente articolata con il motivo in esame, trascura di considerare che il vizio ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. va dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l’elencazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla RAGIONE_SOCIALE di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (v., tra le altre, Cass. n. 287/2016, Cass. n. 635/2015, Cass. n. 25419/2014, Cass. n. 16038/2013); in particolare, con riferimento alla violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. ques ta Corte ha chiarito che la ‘giusta causa’ di licenziamento ex art. 2119 cod. civ. integra una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come
violazione di legge; la sussunzione della fattispecie concreta nella clausola elastica della giusta causa secondo “standards” conformi ai valori dell’ordinamento, che trovino conferma nella realtà sociale, è dunque sindacabile in sede di legittimità con riguardo alla pertinenza e non coerenza del giudizio operato, quali specificazioni del parametro normativo avente natura giuridica e del conseguente controllo nomofilattico affidato alla Corte di cassazione ( v. tra le altre, Cass. n. 12789/2022, Cass. n. 7426/2018, Cass. n. 31155/2018, Cass. n. 25144/2010); l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone, viceversa, sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici (Cass. n. 8254 del 2004, n. 5095/2011 e, da ultimo, Cass. 6498/2012);
4.3. il motivo non è sviluppato in coerenza con le indicazioni della S.C in quanto parte ricorrente omette di specificare il parametro normativo, in tesi in contrasto con i valori presenti nella realtà sociale e nell’ordinamento giuridico, al quale la Corte di merito avrebbe ancorato la verifica della sussistenza della giusta causa di licenziamento; le critiche articolate, infatti, tendono, piuttosto, a contestare la valutazione di non proporzionalità del licenziamento quale in concreto effettuata dal giudice di merito, contestazione che si sostanzia nella mera contrapposizione valutativa in ordine ad elementi già apprezzati dal giudice del reclamo e nella richiesta di tener conto di altri elementi della concreta fattispecie, deduzioni nel complesso intrinsecamente inidonee a dare contezza dell’errore ascritto
alla sentenza impugnata. Come ripetutamente affermato da questa Corte, infatti, il giudizio di proporzionalità è censurabile in sede di legittimità solo ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (v. tra le altre, Cass. 25/05/2012, n. 8293; Cass. 19/10/2007, n. 21965) e quindi, trovando applicazione, ratione temporis , il testo attualmente vigente dell’art. 360 comma primo, n. 5 cod. proc. civ., solo mediante la denunzia dell’omesso esame di un fatto decisivo e controverso oggetto di discussione tra le parti, neppure formalmente formulata dall’odierna ricorrente;
il secondo ed il terzo motivo di ricorso, trattati congiuntamente per connessione, sono entrambi inammissibili per difetto di pertinenza con le ragioni del decisum in punto di conseguenze connesse all’accertamento della illegittimità del licenziamento;
5.1. premesso che il lavoratore è stato assunto in data 28 dicembre 2015 per cui ratione temporis trova applicazione la disciplina dettata dall’art. 3 comma 1 d. lgs n. 23/2015, la sentenza impugnata è con essa coerente oltre che conforme alle conclusioni spiegate nell’originaria domanda dal lavoratore, dovendosi escludere in relazione a quest’ultimo profilo la dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c.; invero, né dal dispositivo né dalla parte motiva della sentenza di secondo grado risulta che il giudice del reclamo ha inteso fare applicazione della disciplina previgente, dettata dall’art. 18, comma 5 St.lav. come riformulata con la modifica introdotta dalla l. n. 92/2012, ed in particolare del relativo comma quinto in punto di quantificazione della indennità risarcitoria; la modulazione delle conseguenze connesse all’accertamento del difetto di proporzionalità del recesso, in particolare con riferimento alla
misura della indennità risarcitoria è frutto, infatti, della corretta applicazione dell’art. 3 comma 1 l. cit. nel testo risultante dalla dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale di cui alla sentenza Corte cost. n. 194/2018 che ha eliminato dal testo di legge, (sia nel testo originario, sia nel testo modificato dall’art. 3, comma 1, del d.l. n. 87 del 2018, conv., con modif., nella legge n. 96 del 2018), la espressione ‘ importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio,” ; la sostanziale sovrapponibilità delle discipline in questione all’esito dell’intervento del giudice costituzionale non consente comunque di configurare le violazioni denunziate con i motivi in esame;
all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente alle spese di lite ed al pagamento raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.