Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14309 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 14309 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 10155-2021 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 970/2021 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 17/02/2021 R.G.N. 1830/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/03/2024 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
Oggetto
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 19/03/2024
CC
La Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza di primo grado di rigetto della domanda di NOME COGNOME intesa all’accertamento della nullità/illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatogli da RAGIONE_SOCIALE con lettera del 2 maggio 2018.
La Corte distrettuale, confermata la valutazione di prime cure in merito alla natura sostanzialmente dirigenziale del rapporto di lavoro dello COGNOME, formalmente inquadrato come quadro, ritenuta l’ammissibilità nell’ambito del ‘rito Fornero’ della eccezione a riguardo formulata dalla società, ha escluso la natura ritorsiva del licenziamento, prospettata dall’odierno ricorrente con riferimento alla separazione coniugale dalla moglie, socia di minoranza della società datrice di lavoro, nella quale anche i cognati avevano una partecipazione; ha quindi ritenuto che le emergenze in atti deponevano per la effettività del riassetto organizzativo della società alla base del motivo oggettivo di licenziamento ed ulteriormente evidenziato che anche alla luce del parametro della giustificatezza, operante nell’abito del rapporto dirigenziale, il recesso datoriale appariva sorretto da motivi apprezzabili che ne escludevano l’arbitrarietà.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso NOME COGNOME sulla base di un unico motivo illustrato con memoria; la parte intimata ha resistito con controricorso
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso parte ricorrente deduce: ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 12 delle disposizioni della legge in generale, degli artt. 1362 cod. civ., 1345 cod. civ. 2697, II comma cod.civ., 112, 115 e 116 c.p.c. . 2, c.c. e degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., 2095 cod. civ., 7 legge n°604/66 e 18 comma 1, 5 e 6 legge n. 300/70 come modificato dall’art. 1, comma 42, della legge 28.06.2012 n. 92, nonché art. 1 Sezione IV -classificazione del personale -c.c.n.l. RAGIONE_SOCIALE Settore privato del 26/11/2016 in relazione aqll’art. 360 n. 3 c.p.c. ‘. Censura la sentenza impugnata sia in punto di qualificazione del rapporto di lavoro come rapporto dirigenziale, che assume in contrasto con gli elementi in atti e con la volontà delle parti, sia in punto di esclusione del motivo ritorsivo, che assume comunque riconosciuto nella sentenza impugnata nel porre in relazione il venir meno dell’elemento fiduciario da parte della società a causa della crisi coniugale dello RAGIONE_SOCIALE con il riassetto organizzativo
.
2. Il motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte il giudizio di legittimità è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 cod. proc. civ. (Cass., n. 11603/2018, Cass. n. 19959/2014, Cass., n. 21165/2013). E’ stato inoltre chiarito che in tema di ricorso per cassazione è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (v. tra le altre, Cass. n. 3397/2024, Cass. n. 26874/2018).
E’ stato altresì precisato che la denunzia di violazione e falsa applicazione di norme di diritto deve essere formulata mediante la indicazione oltre che delle norme assuntivamente violate, anche di specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie, diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione, come prescritto (Cass. n. 24298/2016 n. 53535/2007, n. 11501/2006), o l’errore sussuntivo del giudice di merito nel ricondurre
la fattispecie per come in concreto accertata a quella regolata dalla norma della quale è denunziata falsa applicazione.
2.1. Le censure articolate da parte ricorrente, formalmente ricondotte al mezzo di cui all’art. art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., secondo quanto evincibile dalla indicazione in rubrica, non risultano rispettose del canone sopraindicato posto che non vertono sul significato e sulla portata applicativa delle disposizioni di legge o di contratto collettivo partitamente evocate ma sono sostanzialmente e ‘cumulativamente’ intese a sollecitare un diverso apprezzamento delle emergenze in atti.
2.2. In relazione alle ragioni di doglianza concretamente enucleabili dalla illustrazione del motivo si rileva che le stesse investono, in realtà, l’accertamento della natura dirigenziale del rapporto di lavoro e l’accertamento negativo della esistenza di un motivo ritorsivo, vale a dire la ricostruzione fattuale posta a base del decisum di secondo grado, la quale poteva essere incrinata solo dalla denunzia di vizio di motivazione e quindi, nell’attuale configurazione del mezzo ex art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c., dalla deduzione di omesso esame di fatto controverso e decisivo, oggetto di discussione tra le parti, deduzione non prospettata in tali termini e comunque preclusa ai sensi dell’art. 348 ter ultimo comma cod. proc. civ., dall’esistenza di <>, non avendo parte ricorrente indicato le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse, come suo onere (Cass. n. 2019 n. 26774, Cass. n. 19001/2016, Cass. n. 5528/2014).
2.3. Infine, non è configurabile neppure una contraddittorietà di motivazione tale da non consentire di ricostruire le ragioni della decisione, in violazione del disposto dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., peraltro neppure formalmente dedotto ma comunque prospettato con riferimento all’asserito carattere ritorsivo del licenziamento.
Invero, nel contesto argomentativo della Corte, il riferimento alla crisi coniugale dello COGNOME, ha rappresentato solo l’occasione per la società di procedere ad una (comunque) effettiva ristrutturazione implicante una più economica divisione delle competenze, tenuto conto della posizione <> dello COGNOME e dei riflessi indiretti che la vicenda coniugale era destinata ad avere nell’ambito dell ‘intuitus personae , proprio del rapporto di lavoro dirigenziale.
Al rigetto del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite e la condanna del ricorrente al raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 19 marzo 2024