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Licenziamento ritorsivo: quando la denuncia è lecita

Una società ha licenziato un dipendente accusandolo di una campagna diffamatoria per aver segnalato presunte irregolarità a un curatore fallimentare. I tribunali, inclusa la Corte di Cassazione, hanno annullato il licenziamento, qualificandolo come un licenziamento ritorsivo. Le segnalazioni del lavoratore sono state considerate un legittimo esercizio dei propri diritti, prive di qualsiasi intento calunnioso, portando al rigetto del ricorso dell’azienda.

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Licenziamento ritorsivo: la denuncia del dipendente non è giusta causa se non c’è calunnia

Il confine tra il diritto di critica e denuncia del lavoratore e l’obbligo di fedeltà verso il datore di lavoro è spesso sottile. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un caso di licenziamento ritorsivo, stabilendo che la segnalazione di presunte irregolarità da parte di un dipendente non può giustificare un licenziamento disciplinare se non viene provato un intento calunnioso. Questa decisione ribadisce un principio fondamentale a tutela della libertà di espressione del lavoratore e del suo diritto a segnalare illeciti.

I Fatti del Caso: La Denuncia e il Licenziamento

La vicenda ha origine dal licenziamento disciplinare intimato da una società a un suo dipendente. L’azienda accusava il lavoratore di aver orchestrato un “disegno criminoso” volto a danneggiarla. Nello specifico, il dipendente aveva contattato il curatore fallimentare di un’altra società, dalla quale l’azienda datrice di lavoro aveva affittato un ramo d’azienda, per segnalare una serie di presunte irregolarità, tra cui il mancato trasferimento di quote di TFR e problemi con i fondi di previdenza integrativa.

Sulla base di queste segnalazioni, il curatore aveva avviato un procedimento d’urgenza contro l’azienda per tutelare gli interessi dei creditori. L’azienda ha interpretato l’azione del dipendente come un atto di grave insubordinazione e calunnia, procedendo al suo licenziamento per giusta causa.

Le Decisioni dei Giudici di Merito

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno dichiarato illegittimo il licenziamento. I giudici hanno accertato l'”insussistenza del fatto contestato”, ritenendo che le denunce del lavoratore fossero fondate e che non fosse emerso alcun intento calunnioso. Secondo le corti, il dipendente aveva esercitato un proprio diritto nel segnalare le irregolarità. Di conseguenza, è stata disposta la tutela reintegratoria, con l’obbligo per l’azienda di riammettere il lavoratore in servizio.

Il Giudizio della Cassazione sul licenziamento ritorsivo

L’azienda ha impugnato la decisione della Corte d’Appello ricorrendo in Cassazione, lamentando principalmente una motivazione apparente e contraddittoria. Sosteneva che i giudici di merito, pur riconoscendo che il dipendente aveva contattato il curatore, avessero erroneamente concluso per l’insussistenza del fatto.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili i principali motivi di ricorso, confermando la decisione dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno chiarito che il compito della Corte non è riesaminare i fatti, ma verificare la correttezza giuridica della sentenza impugnata. In questo caso, la motivazione della Corte d’Appello è stata ritenuta completa e logicamente coerente.

L’onere della prova nell’aliunde perceptum

La Corte ha anche respinto il motivo relativo all’aliunde perceptum, ovvero la richiesta dell’azienda di detrarre dal risarcimento dovuto al lavoratore eventuali guadagni percepiti da un altro lavoro. La Cassazione ha ribadito che l’onere di provare tali circostanze grava interamente sul datore di lavoro, il quale deve fornire allegazioni specifiche e puntuali, non potendosi limitare a richieste probatorie generiche o esplorative.

Le Motivazioni

La motivazione centrale della Corte di Cassazione si fonda sulla distinzione tra l’esercizio legittimo del diritto di denuncia e un comportamento calunnioso. La Corte ha stabilito che la segnalazione di un illecito da parte di un lavoratore non costituisce di per sé un’infrazione disciplinare. Diventa tale solo se il lavoratore agisce con la piena consapevolezza dell’insussistenza dell’illecito, ovvero con un intento puramente strumentale e distorto, finalizzato a danneggiare il datore di lavoro. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano accertato l’assenza di tale intento, rendendo la condotta del dipendente lecita e il conseguente licenziamento ritorsivo e illegittimo. La Corte ha sottolineato che non basta che le accuse si rivelino infondate in sede giudiziale per configurare la calunnia; è necessaria la prova del dolo, ovvero della volontà di accusare qualcuno pur sapendolo innocente.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza la tutela del lavoratore che segnala irregolarità sul posto di lavoro. Un licenziamento motivato da una denuncia del dipendente si configura come ritorsivo e, quindi, nullo, a meno che l’azienda non riesca a dimostrare in modo inequivocabile l’intento calunnioso. La decisione chiarisce che il diritto di critica e di denuncia prevale sull’obbligo di fedeltà quando è esercitato per tutelare interessi legittimi e senza la consapevolezza di affermare il falso. Per le aziende, ciò significa che una reazione disciplinare a seguito di segnalazioni deve essere attentamente ponderata e basata su prove solide di malafede del lavoratore, pena la declaratoria di illegittimità del licenziamento.

Denunciare il proprio datore di lavoro per presunte irregolarità è una giusta causa di licenziamento?
No, secondo la Corte la denuncia di presunte irregolarità non costituisce giusta causa di licenziamento se non viene provato un intento calunnioso da parte del dipendente. L’esercizio del diritto di denuncia è legittimo se non è strumentale o distorto, ovvero realizzato con la piena consapevolezza dell’insussistenza dell’illecito.

Cosa si intende per “insussistenza del fatto contestato” in un licenziamento disciplinare?
Significa che i fatti addebitati al lavoratore, che hanno motivato il licenziamento, non sono stati provati o, come in questo caso, non possiedono il carattere di illiceità disciplinare. La Corte ha ritenuto che la condotta del dipendente (la denuncia) fosse lecita e non un atto di insubordinazione o calunnia.

Chi deve provare che il lavoratore licenziato ha trovato un altro lavoro ai fini della riduzione del risarcimento (aliunde perceptum)?
L’onere della prova spetta integralmente al datore di lavoro. Egli deve fornire indicazioni puntuali e specifiche sulle circostanze di fatto del nuovo impiego, non potendo limitarsi a richieste probatorie generiche o meramente esplorative per accertare tale circostanza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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