Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11151 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11151 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16044-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2007/2024 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 10/05/2024 R.G.N. 2719/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
LICENZIAMENTO
DISCIPLINARE
R.G.N. 16044/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 09/04/2025
CC
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Napoli, confermando la pronuncia del giudice di primo grado, ha accolto le domande proposte da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE accertando la illegittimità del licenziamento intimato il 3.6.2021 e applicando, in considerazione della insussistenza dei fatti disciplinarmente contestati, la tutela reintegratoria di cui all’art. 18, comma 4, del d.lgs. n. 300 del 1970.
La Corte territoriale ha rilevato che: non era stato in alcun modo provato il ‘ reiterato e personalissimo disegno’ criminoso di danneggiamento della società addebitato al lavoratore né condotte idonee a pregiudicare l’acquisizione del ramo di azienda dalla Curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE (ramo di azienda condotto in affitto dalla RAGIONE_SOCIALE); che la denuncia del lavoratore al Curatore fallimentare circa il mancato trasferimento di quote di trattamento di fine rapporto era fondata, così come anche la situazione debitoria verso i Fondi di previdenza integrativa; che la stessa società non aveva contestato la comunicazione (al suddetto Curatore) circa l’esternalizzazione di una serie di attività ereditate dalla Osla Sud con le relative attrezzature e il ricorso alla C.I.G. giustificato, in prima battuta, con la negativa congiuntura economica; che dall’esame di tutto il contesto dei fatti (che, a seguito della denuncia del Fiore, avevano portato la Curatela fallimentare a instaurare un procedimento cautelare nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per tutelare la massa creditoria) non era emerso un intento di calunnia da parte del dipendente. La Corte territoriale ha, pertanto, ritenuto insussistente il fatto contestato.
Avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi. Il lavoratore ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 4, nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 18 della legge n. 300 del 1970 avendo, la Corte territoriale, fornito una motivazione apparente nella misura in cui, da una parte, ha accertato la sussistenza del fatto materiale addebitato (ossia che il Fiore aveva contattato telefonicamente il Curatore del fallimento Osla RAGIONE_SOCIALE s.p.a. e che il Curatore ha avviato una procedura d’urgenza ex art. 700 c.p.c. nei confronti della RAGIONE_SOCIALE sulla scorta delle informazioni fornite dal dipendente), e, dall’altra, ha rilevato l’insussistenza del fatto (sottolineando che la procedura d’urgenza ha favorito le trattative in corso per l’acquisizione del co mpendio aziendale dalla Curatela).
Con il secondo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 4, nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e 111 Cost. avendo, la Corte territoriale, fornito una motivazione apparente nella misura in cui, da una parte, ha trascritto, nella sentenza, ampi stralci del ricorso ex art. 700 c.p.c. promosso dalla Curatela, quindi rappresentativo della realtà riferita dal Fiore, e, dall’altra, ha poi sottolineato che il ricorso cautelare è stato respinto dal Tribunale (non essendo state provate le denunciate attività illecite di trasferimento di rilevanti attività ed attrezzature ad altra società, RAGIONE_SOCIALE).
Con il terzo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 4, contraddittorietà intrinseca e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, in violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. avendo, la Corte territoriale, avendo utilizzato mere congetture in ordine alla agevolazione che il procedimento cautelare ha svolto ai fini dell’acquisizione del compendio aziendale (mentre, invece, tale situazione giudiziaria ha posto la GIMAL in una situazione di de bolezza nell’ambito delle trattative negoziali, già avviate, di acquisto dell’azienda).
Con il quarto ed il quinto motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, nn. 3 e 5, omesso esame di un fatto decisivo e violazione dell’art. 2697 c.c., avendo, la Corte territoriale, trascurato di valutare i documenti depositati dalla RAGIONE_SOCIALE che, a differenza di quel che ha affermato la Corte territoriale, aveva dimostrato l’atteggiamento di immotivata polemica e contrapposizione del dipendente nei confronti del datore di lavoro.
Con il sesto motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 42, della legge n. 92 del 2012 e 421 c.p.c., avendo, la Corte territoriale, con riguardo alle somm e da detrarre dall’indennità risarcitoria a titolo di aliunde perceptum, respinto l’istanza della società nonostante la espressa novella legislativa e trascurato di effettuare gli opportuni accertamenti per verificare l’instaurazione di altro rapporto di lavoro da parte del Fiore.
I primi cinque motivi di ricorso sono inammissibili.
La nullità della sentenza per mancanza della motivazione, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., è prospettabile quando la motivazione
manchi addirittura graficamente, ovvero sia così oscura da non lasciarsi intendere da un normale intelletto.
In particolare, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logicogiuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cfr. Cass. n. 3819 del 2020), non essendo più ammissibili, a seguito alla riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012), le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata (Cass. n. 23940 del 2017).
Nel caso in cui si assuma che la pronuncia impugnata comporta la mancata valorizzazione di fatti che si ritengano essere stati affermati dalla parte con modalità sufficientemente specifiche, può ammettersi censura, da articolare nel rigoroso rispetto dei criteri di cui agli artt. 366 e 369 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., qualora uno o più dei predetti fatti integrino direttamente elementi costitutivi della fattispecie astratta e dunque per violazione della norma sostanziale, oppure ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., per omesso esame di una o più di tali circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata (Cass. n. 26764 del 2019).
Nessuno di tali casi ricorre nel caso di specie, avendo, la Corte d’appello, dedicato ampio spazio ad illustrare le ragioni per
le quali ha ritenuto insussistenti i fatti addebitati al dipendente, ragioni che, pur se non condivise dal ricorrente, certamente non possono dirsi né mancanti, né inintelligibili; la Corte territoriale, confermando la sentenza di primo grado e richiamando consolidati orientamenti di questa Corte (Cass. n. 22375del 2017 e Cass. pen. N. 29237 del 2010) , ha in sintesi rilevato che non era stato provato alcun intento diffamatorio nel comportamento del dipendente che aveva fornito informazioni al Curatore fallimentare (Curatela che insieme al Giudice delegato ha poi, autonomamente, valutato la verità dei fatti denunciati e ritenuto di promuovere un’azione cautelare nei confronti della GIMAL) e che l’accertata (giudiziale) infondatezza delle denunciate attività illecite non era sufficiente a dimostrare il carattere calunnioso, posto che l’esercizio del potere di denuncia non può essere fonte di responsabilità se non qualora il privato faccia ricorso ai pubblici poteri in maniera strumentale e distorta ossia nella piena consapevolezza della insussistenza dell’illecito o della estraneità allo stesso dell’incolpato.
11. Le doglianze della ricorrente adombrano, in realtà, nella loro essenza, un più appagante coordinamento dei riscontri probatori acquisiti e si risolvono nell’unilaterale contrapposizione di un diverso inquadramento dei dati di fatto, esaminati in modo parziale e atomistico, e nella reiterazione di rilievi già disattesi dalla Corte d’appello, con motivato e plausibile apprezzamento. 12. Spetta, in via esclusiva, al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge ‘ (cfr.,
da ultimo, Cass., 2 maggio 2024, n. 11718; nello stesso senso, Cass., 27 gennaio 2022, n. 2356; Cass., 13 gennaio 2020, n. 331; Cass., 4 agosto 2017, n. 19547; Cass. civ., sez. lav., 8 settembre 2015, n. 17774; Cass., 4 novembre 2013, n. 24679; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass., Sez. Lav., 7 febbraio 2004, n. 2357).
Il sesto motivo di ricorso non è fondato.
La Corte territoriale si è conformata ai principi di diritto già affermati da questa Corte in base ai quali, in tema di licenziamento illegittimo, il datore di lavoro che invochi l” aliunde perceptum ‘ da detrarre dal risarcimento dovuto al lavoratore deve allegare circostanze di fatto specifiche e, ai fini dell’assolvimento del relativo onere della prova su di lui incombente, è tenuto a fornire indicazioni puntuali, rivelandosi inammissibili richieste probatorie generiche o con finalità meramente esplorative (Cass. 2499 del 2017).
In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c. 16. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater,
d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, da distrarre.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9 aprile 2025.