Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1385 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L   Num. 1385  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 20/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 20538-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO,  presso  lo  studio  dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
NOME,  elettivamente  domiciliato  in  ROMA,  INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3168/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 14/07/2022 R.G.N. 809/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/11/2024 dal AVV_NOTAIO.
Oggetto
Licenziamento ritorsivo
R.G.N. 20538/2022
COGNOME.
Rep.
Ud. 13/11/2024
CC
RILEVATO CHE
1. la Corte d’Appello di Roma, in riforma di sentenza del Tribunale della stessa sede, dichiarava illegittimo in quanto ritorsivo il licenziamento intimato dalla RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE NOME e condannava la società al pagamento di indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal licenziamento (decorrente dal 17.1.2019) al febbraio 2020, al versamento dei contributi previdenziali, al versamento dell’indennità sostitutiva della reintegra (a seguito di opzione del lavoratore esercitata, appunto, nel febbraio 2020) pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori;
2. per quanto qui rileva, le domande di NOME COGNOME (fratello di NOME COGNOME, socio di maggioranza della società NOME, esercente attività di vendita di abbigliamento, e ivi impiegato come commesso) di accertamento dell’insussistenza del motivo oggettivo a base del recesso (ottimizzazione delle risorse e dei costi al fine di una più efficiente ed economica gestione dell’impresa e impossibilità di avvalersi dell’opera del dipendente in altro settore aziendale) e di accertamento della sussistenza di motivo ritorsivo illecito determinante (per dissapori tra i fratelli in occasione dello sfratto intimato da NOME, proprietario dei locali, alla società di NOME, appunto dai locali del negozio da questa gestito) erano state ritenute fondate dal Tribunale con ordinanza in esito alla fase sommaria del rito di cui alla legge n. 92/2012; in sede di opposizione, invece, il Tribunale aveva ritenuto sussistente il giustificato motivo oggettivo dedotto e legittima l’individuazione del lavoratore licenziato tra i dipendenti comparabili; la Corte d’Appello accoglieva il reclamo del lavoratore (con esito corrispondente all’ordinanza opposta);
3. avverso la sentenza della Corte d’Appello propone ricorso per cassazione la società RAGIONE_SOCIALE, con sei motivi;  resiste  NOME  COGNOME  con  controricorso;  entrambe  le parti  hanno  depositato  memoria;  al  termine  della  camera  di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
1. con  il  primo  motivo,  parte  ricorrente  deduce,  ai  sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 156 e 161 c.p.c. per omessa motivazione su  un  fatto  rilevante  per  la  risoluzione  della  controversia, nonché errore in procedendo per mancata applicazione dell’art. 4  d.  lgs.  n.  150/2011,  in  relazione  al  rito  azionato  e  alle domande proposte;
2. con il secondo motivo, deduce (art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per omessa valutazione e travisamento della prova perché erroneamente supposta; violazione del principio della necessaria inattendibilità dei testi Fondi e Re; omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio; errata e insufficiente valutazione delle prove; assenza del profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., correlati all’art. 409 c.p.c., e degli artt. 2094, 2727, 2729 c.c., dell’art. 2697 e dell’art. 2103 c.c., non avendo il giudice del merito valutato la ricorrenza dei criteri stabiliti per la subordinazione e in particolare l’assoggettamento al potere direttivo datoriale;
3. con il terzo motivo, deduce (art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.)  violazione e falsa applicazione degli artt. 2110, 2119,
2729  c.c.,  violazione  e  falsa  applicazione  dell’art.  5  legge  n. 223/1991, per avere la Corte territoriale ritenuto illegittimo il licenziamento del lavoratore COGNOME NOME sul presupposto che la lavoratrice COGNOME NOME sarebbe stata impropriamente tutelata  dal  periodo  di  comporto,  ovvero  che  la  lavoratrice NOME COGNOME, sarebbe stata garantita da un contratto/ stage a tempo determinato.
4. con il quarto motivo, deduce (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per omessa valutazione e travisamento della prova perché inesistente o erroneamente supposta; assenza del profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte dal giudice di merito in relazione all’inserimento nell’organizzazione aziendale di una figura maschile senza riscontro; violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per omessa valutazione e travisamento della prova perché erroneamente supposta; assenza del profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte dal giudice di merito in relazione a una presunta liquidazione attraverso il versamento di una somma incentivante;
5. con il quinto motivo, deduce (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)  violazione  e  falsa  applicazione  degli  artt.  115  e  116 c.p.c.,  per  omessa  valutazione  e  travisamento  della  prova perché erroneamente  supposta; assenza del profilo della correttezza  giuridica  e  della  coerenza  logico-formale  delle argomentazioni svolte dal giudice di merito in relazione a una supposta e non provata ritorsività;
6. con il sesto motivo, deduce (art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 112 c.p.c. e dell’art. 18, comma 5, legge n. 300/1970 per avere
la  Corte  territoriale  omesso  di  considerare  la  rinuncia  alla domanda  di  reintegra  per  effetto  dell’opzione  per  l’indennità sostitutiva,  provvedendo  alla  condanna  al  versamento  della stessa benché già pagata dalla società;
7. il ricorso è complessivamente inammissibile;
8. osserva il Collegio, con riguardo al primo, secondo, terzo e sesto motivo, che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; infatti, la mescolanza e sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei sotto profili incompatibili finisce con il rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle doglianze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. n. 26874/2018, n. 19443/2011, n. 3397/2024);
9. con riguardo al quarto e quinto motivo, si osserva che non è integrata nel caso in esame la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per cui occorre denunciare che il giudice, in contraddizione  espressa  o  implicita  con  la  prescrizione  della
norma,  abbia  posto  a  fondamento  della  decisione  prove  non introdotte  dalle  parti,  ma  disposte  di  sua  iniziativa  fuori  dei poteri officiosi riconosciutigli; è, invece, inammissibile la diversa doglianza che il giudice di merito,  nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre,  essendo tale  attività  valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.;
10. le censure in esame si risolvono in una contestazione della valutazione  probatoria  della  Corte  territoriale, riservata  al giudice di merito e pertanto, qualora congruamente argomentata,  insindacabile  in  sede  di  legittimità  (Cass.  n. 29404/2017,  n.  1229/2019,  S.U.  n.  34476/2019,  S.U.  n. 20867/2020, n. 5987/2021, n. 6774/2022, n. 36349/2023);
11. parimenti, il ragionamento presuntivo è censurabile in sede di legittimità solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso (cfr. Cass. n. 3541/2020, n. 5279/2020; v. anche Cass. n. 22366/2021, n. 9054/2022, n. 23263/2023); e, in tema di prova per presunzioni, la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. e dell’idoneità degli elementi presuntivi dotati di tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell’ id quod plerumque accidit , i fatti ignoti da provare, costituisce attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito (Cass. n. 27266/2023);
12. deve essere precisato che non vanno confuse l’esecuzione provvisoria  della  sentenza  e  la  condanna  in  appello,  sicché
quest’ultima non rappresenta una duplicazione di un pagamento già eseguito, ma la sua conferma, con esclusione del diritto alla ripetizione;
le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, sono regolate secondo il regime della soccombenza; con segue  il  raddoppio  del  contributo  unificato,  ove  spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà  atto  della  sussistenza  dei  presupposti  processuali  per  il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 13 novembre