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Licenziamento ritorsivo: onere della prova e limiti

La Corte di Cassazione ha esaminato il caso di un licenziamento ritorsivo di un lavoratore, rappresentante sindacale, sorpreso a pescare in un’area portuale interdetta fuori dall’orario di lavoro. La Corte ha rigettato il ricorso del dipendente, stabilendo che la prova di un motivo illecito e determinante da parte del datore di lavoro spetta al lavoratore. Se l’azienda dimostra l’esistenza di una condotta illecita del dipendente, anche se non gravissima, questa costituisce una giusta causa che fa venire meno il presupposto del licenziamento ritorsivo, che richiede un intento di rappresaglia come unica e determinante ragione del recesso.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento Ritorsivo: Quando la Prova della Giusta Causa Prevale

Il tema del licenziamento ritorsivo rappresenta una delle questioni più delicate nel diritto del lavoro, poiché tocca il confine tra il legittimo potere disciplinare del datore di lavoro e la tutela dei diritti del lavoratore. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un’analisi chiara su come bilanciare questi interessi, specialmente quando un motivo disciplinare si sovrappone a un presunto intento di rappresaglia. Il caso riguarda un lavoratore e rappresentante sindacale licenziato per aver violato norme di sicurezza, il quale sosteneva che il recesso fosse in realtà una vendetta per la sua attività sindacale. La Corte ha stabilito un principio fondamentale: se il datore di lavoro prova una condotta illecita del dipendente, l’onere di dimostrare che il licenziamento sia stato motivato esclusivamente da un intento ritorsivo ricade sul lavoratore.

I Fatti del Caso: La Pesca Fuori Orario e la Contestazione Disciplinare

Un dipendente con mansioni di ‘Guardia ai fuochi’, nonché rappresentante sindacale aziendale (RSU) e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS), è stato sorpreso dal personale di vigilanza mentre pescava all’interno di un’area portuale. Tale attività si svolgeva al di fuori del suo orario di lavoro, ma in una zona interdetta per motivi di sicurezza e in violazione dei regolamenti portuali e antiterrorismo. La società datrice di lavoro, ritenendo il comportamento di estrema gravità e lesivo del vincolo fiduciario, anche in considerazione del ruolo di garanzia ricoperto dal dipendente, ha proceduto con il licenziamento per giusta causa. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento, sostenendo la sua nullità per insussistenza dei fatti e, soprattutto, per il suo carattere ritorsivo, legato alla sua attività sindacale.

Il Percorso Giudiziario e la Prova del Licenziamento Ritorsivo

Il Tribunale di primo grado ha respinto la domanda del lavoratore, ritenendo provata la condotta illecita e la grave violazione del vincolo fiduciario, escludendo l’intento ritorsivo. La Corte d’Appello, pur confermando l’illiceità del comportamento, ha parzialmente riformato la sentenza. Ha valutato la gravità dell’infrazione in modo più mite, considerando l’assenza di un danno effettivo per l’azienda e il fatto che l’evento si fosse verificato fuori dall’orario di lavoro. Di conseguenza, ha dichiarato estinto il rapporto ma ha condannato la società a pagare un’indennità risarcitoria. Il lavoratore ha quindi proposto ricorso in Cassazione, insistendo sulla natura ritorsiva del licenziamento.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del lavoratore, delineando con precisione i confini dell’onere della prova nel licenziamento ritorsivo. I giudici hanno chiarito che, per affermare la nullità del licenziamento per motivo illecito, il lavoratore deve dimostrare che l’intento di rappresaglia sia stato l’unico e determinante motivo della decisione del datore di lavoro. Non è sufficiente provare la propria appartenenza a un sindacato o una partecipazione attiva a iniziative sindacali. Se il datore di lavoro, come in questo caso, riesce a provare l’esistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo (la condotta illecita del dipendente), anche se solo ‘apparentemente’ fondata, spetta al lavoratore dimostrare che tale ragione è in realtà un mero pretesto. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la condotta di pesca in un’area vietata, violando norme di sicurezza, costituisse un fatto illecito concreto ed estraneo all’attività sindacale. La presenza di questo motivo lecito, accertato in fatto, esclude che la ragione del licenziamento fosse meramente formale o pretestuosa, facendo così cadere l’accusa di ritorsione.

Conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce un principio consolidato e di grande importanza pratica: la sussistenza di un comportamento disciplinarmente rilevante da parte del lavoratore rende estremamente difficile provare il carattere ritorsivo del licenziamento. Il lavoratore che allega un intento di rappresaglia si assume l’onere gravoso di dimostrare non solo un nesso di causalità tra la sua attività (sindacale o di altra natura) e il recesso, ma anche che tale intento è stato il motivo esclusivo che ha spinto il datore di lavoro. La presenza di una condotta illegittima, seppur non necessariamente gravissima, fornisce al datore una giustificazione che, se non palesemente pretestuosa, è sufficiente a superare l’accusa di licenziamento ritorsivo. Questa decisione sottolinea l’importanza per i lavoratori di mantenere una condotta irreprensibile, specialmente se impegnati in attività sindacali, per non offrire appigli a provvedimenti disciplinari che potrebbero mascherare, ma essere difficilmente impugnabili come, intenti ritorsivi.

Quando un licenziamento può essere considerato ritorsivo?
Un licenziamento è considerato ritorsivo quando è determinato esclusivamente da un motivo illecito di rappresaglia o vendetta da parte del datore di lavoro per un comportamento legittimo del lavoratore (come l’attività sindacale) e non da ragioni oggettive legate al rapporto di lavoro.

A chi spetta l’onere della prova in un caso di licenziamento ritorsivo?
L’onere della prova è a carico del lavoratore. Se il datore di lavoro fornisce la prova di una giusta causa o di un giustificato motivo per il recesso, spetta al lavoratore dimostrare che tale motivo è meramente pretestuoso e che la vera ed unica ragione del licenziamento è l’intento di rappresaglia.

La semplice partecipazione ad attività sindacali è sufficiente per dimostrare un licenziamento ritorsivo?
No, la sola appartenenza a un sindacato o la partecipazione ad attività sindacali non è sufficiente. Il lavoratore deve provare l’esistenza di un nesso di causalità tra tali attività e l’intento di rappresaglia del datore, e che tale intento sia stata la finalità esclusiva e determinante del licenziamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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