Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6963 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 6963 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 14175-2023 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio degli AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 786/2022 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata il 27/12/2022 R.G.N. 370/2022;
Oggetto
Licenziamento disciplinare
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 29/01/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/01/2025 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
1. la Corte d’Appello di Lecce – sez. dist. di Taranto, in parziale riforma di sentenza del Tribunale della stessa sede, dichiarava estinto, ai sensi dell’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015, il rapporto di lavoro tra NOME COGNOME e la società RAGIONE_SOCIALE, condannando quest’ultima al pagamento di indennità pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, compensando le spese del doppio grado;
2. il lavoratore, dipendente dal 2016 con mansioni di Guardia ai fuochi, rappresentante sindacale nella RSU aziendale e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS), riceveva contestazione disciplinare per essere stato rinvenuto dal personale di vigilanza, il 25.7.2020, intento a effettuare attività di pesca all’interno dell’area portuale interdetta per ragioni di sicurezza e per il regolamento antiterroristico vigente nel porto di Taranto, al di fuori dell’orario di lavoro, al termine dell’attività lavorativa dopo l’uscita di tutto il personale, violando le disposizioni datoriali sull’orario di lavoro e il regolamento di sicurezza vigente all’interno del porto; ritenute insufficienti le giustificazioni e considerato dalla società il fatto di estrema gravità (comportamenti contrari alle prescrizioni del piano di sicurezza, oltre che del divieto di pesca all’interno dei porti ai sensi dell’art. 79 del codice della navigazione e dell’art. 16 regolamento di sicurezza e dei servizi marittimi del porto), tale da ledere il vincolo fiduciario anche per il ruolo rivestito, veniva licenziato con lettera 28.8.2020; conveniva in giudizio il da tore
di lavoro deducendo mancanza di giusta causa del recesso per insussistenza dei fatti contestati e nullità del licenziamento per ritorsione per la sua attività sindacale, chiedendo la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento del danno;
3. il Tribunale respingeva le sue domande, ritenendo il fatto materiale sussistente e in grave violazione del vincolo fiduciario, visto anche il ruolo peculiare del ricorrente nell’organizzazione aziendale, e non rilevante l’eventuale intento ritorsivo, stante l’accertata sussistenza di motivo lecito a base del licenziamento;
4. la Corte d ‘ Appello confermava il giudizio di illiceità dei fatti contestati e accertati, per evidente contrasto con le norme ed esigenze in materia di sicurezza, violate da soggetto preposto proprio ai pertinenti servizi; riteneva non sussistente la prova di rapporto di causalità tra l’attività sindacale svolta e l’asserito intento di rappresaglia; valutava la gravità dell’infrazione temperata dall’assenza di pregiudizi a carico dell’azienda, dall’assenza di intenzione di danno correlata al comportamento di pesca in ora e luoghi non consentiti, anche per la verificazione dell’evento dopo la fine dell’orario di lavoro e per l’immediata cessazione dell’attività vietata da parte del lavoratore una volta richiamato dalla vigilanza, e perveniva così alla parziale riforma della decisione di primo grado come sopra indicato;
5. avverso la sentenza della Corte d’Appello propone ricorso per cassazione NOME, con tre motivi; resiste la società con controricorso; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo, parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e falsa
applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in riferimento all ‘e rrata valutazione degli artt. 2106 c.c., 2697 c.c., 33 CCNL Guardie ai fuochi, nonché del comma 5 dell’art. 18 legge n. 300/1970, come modificato dalla legge n. 92/2012; sostiene che erroneamente il giudice d’appello ha ritenuto che le deduzioni specifiche in ordine a tutte le condotte poste in essere dalla società con specifico intento di rappresaglia fossero sguarnite di prova, e che, al contrario, la ritorsività del recesso risulta provata attraverso una serie di elementi di fatto che costituiscono un complesso di indizi gravi, precisi e concordanti;
2. con il secondo motivo, deduce (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.) omesso esame di un fatto decisivo nella definizione della controversia, oggetto di discussione tra le parti, consistente nell ‘omessa valutazione dell’espletata prova per testi nel giudizio di primo grado (art. 2697 c.c.), nonché della messaggistica WhatsApp allegata al fascicolo di prime cure;
3. con il terzo motivo, deduce (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92 c.p.c., 24 Cost., per la compensazione delle spese del doppio grado, nonostante la declaratoria di illegittimità del licenziamento;
4. preliminarmente, in relazione all’eccezione di nullità della procura speciale perché anteriore alla redazione del ricorso, osserva il Collegio che la pronuncia delle SS.UU. di questa Corte n. 2075/2024 ha risolto il contrasto in materia nel senso che, in tema di ricorso per cassazione, il requisito della specialità della procura, di cui agli artt. 365 e 83, comma 3, c.p.c., non richiede la contestualità del relativo conferimento rispetto alla redazione dell’atto a cui accede, essendo a tal fine necessario soltanto che essa sia congiunta, materialmente o mediante strumenti informatici, al ricorso, e che il conferimento non sia antecedente
alla pubblicazione del provvedimento da impugnare e non sia successivo alla notificazione del ricorso stesso;
ciò premesso, il ricorso non è fondato;
6. con riguardo al primo motivo, si osserva che non è integrata nel caso in esame la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per cui occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa al di fuori dei poteri officiosi riconosciutigli; è, invece, inammissibile la diversa doglianza che il giudice di merito, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.;
le censure in esame si risolvono in una contestazione della valutazione probatoria della Corte territoriale, riservata al giudice di merito e pertanto, qualora congruamente argomentata, insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 29404/2017, n. 1229/2019, S.U. n. 34476/2019, S.U. n. 20867/2020, n. 5987/2021, n. 6774/2022, n. 36349/2023);
8. la sentenza impugnata risulta conforme ai principi di legittimità in materia di licenziamento ritorsivo e di onere della prova in materia, secondo i quali, nel caso di controversia concernente la legittimità del licenziamento di un lavoratore sindacalmente attivo, per affermare il carattere ritorsivo e quindi la nullità del provvedimento espulsivo, in quanto fondato su un motivo illecito, occorre specificamente dimostrare, con onere a carico del lavoratore, che l’intento discriminatorio e di rappresaglia per l’attività svolta abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà del datore di lavoro; in particolare, ai fini dell’accertamento dell’intento
ritorsivo del licenziamento, non è sufficiente la deduzione dell’appartenenza del lavoratore ad un sindacato, o la sua partecipazione attiva ad attività sindacali, ma è necessaria la prova della sussistenza di un rapporto di causalità tra tali circostanze e l’asserito intento di rappresaglia, dovendo, in mancanza, escludersi la finalità ritorsiva del licenziamento (Cass. n. 14816/2005, richiamata nella motivazione della sentenza impugnata); l’allegazione, da parte del lavoratore, del carattere ritorsivo del licenziamento intimatogli non esonera il datore di lavoro dall’onere di provare, ex art. 5 della legge n. 604/1966, l’esistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo del recesso, ma, ove tale prova sia stata almeno apparentemente fornita, incombe sul lavoratore l’onere di dimostrare l’illiceità del motivo unico e determinante del recesso (Cass. n. 26035/2018; cfr. anche, in tema di prova della ricorrenza del motivo ritorsivo, quale fattore unico e determinante del recesso, la necessità di provare che la ragione addotta a suo fondamento risulti meramente formale, apparente o, comunque, pretestuosa, Cass. n. 17266/2024);
9. nel caso in esame, è stata accertata in fatto, con motivazione logica e congrua, la sussistenza di una condotta illecita estranea all’attività sindacale, e dunque la ragione addotta a fondamento del licenziamento non meramente formale, apparente o, comunque, pretestuosa;
10. il secondo motivo è inammissibile, posto che spettano al giudice di merito la selezione e valutazione delle prove a base della decisione, l’individuazione delle fonti del proprio motivato convincimento, l’assegnazione di prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, la facoltà di escludere, anche attraverso un giudizio implicito, la rilevanza di una prova, senza necessità di esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per
cui lo ritenga non rilevante o di enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni, non essendo il giudizio di Cassazione strutturato quale terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi, al fine di un loro riesame (v., ex multis , Cass. n. 20553/2021, n. 15568/2020, n. 20814/2018);
il terzo motivo non è meritevole di accoglimento;
12. in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse; con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è pertanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti minimi e massimi fissati dalle tabelle vigenti (Cass. n. 19613/2017, n. 21632/2023);
13. le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, sono regolate secondo il regime della soccombenza; non ricorrono i presupposti per l’applicazione della responsabilità aggravata di cui all’art. 96 c.p.c.; al rigetto dell’impugnazione con segue il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali;
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 29 gennaio 2025.