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Licenziamento ritorsivo: nullo se elude la reintegra

La Corte di Cassazione conferma la nullità di un licenziamento intimato a un lavoratore subito dopo un ordine di reintegra del giudice. La Suprema Corte ha stabilito che, qualora il secondo licenziamento si basi sulle stesse ragioni del primo già giudicate illegittime, si configura un licenziamento ritorsivo, in quanto l’unico scopo del datore di lavoro è quello di eludere il provvedimento giudiziario. La sentenza chiarisce anche che ai processi iniziati prima della Riforma Cartabia continua ad applicarsi la normativa precedente (Rito Fornero).

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento Ritorsivo: Nullo se Scopo è Eludere l’Ordine di Reintegra

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12277/2025, ha affrontato un caso emblematico di licenziamento ritorsivo, stabilendo un principio fondamentale a tutela dei lavoratori: un licenziamento è nullo se il suo unico e determinante scopo è quello di aggirare un precedente ordine di reintegra emesso dal giudice. Questa decisione ribadisce la solidità delle tutele contro gli abusi datoriali e chiarisce importanti aspetti procedurali legati alla recente Riforma Cartabia.

I Fatti del Caso: Un Licenziamento Controverso

La vicenda riguarda un dipendente di una nota società editoriale, licenziato per giustificato motivo oggettivo. Il lavoratore, tuttavia, aveva già ottenuto in un precedente giudizio un ordine di reintegra nel posto di lavoro, che la società aveva eluso. A distanza di quasi due anni da tale ordine, l’azienda ha reintegrato formalmente il dipendente per poi licenziarlo nuovamente, adducendo in sostanza le medesime ragioni organizzative del passato, già ritenute illegittime.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno dichiarato nullo questo secondo licenziamento, riconoscendone la natura puramente elusiva e ritorsiva. La società ha quindi presentato ricorso in Cassazione, contestando sia la procedura seguita (il Rito Fornero) sia la qualificazione del licenziamento come ritorsivo.

La Decisione della Corte di Cassazione e il licenziamento ritorsivo

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso dell’azienda, confermando la decisione dei giudici di merito. I punti centrali della sentenza sono due: uno di natura processuale e uno di natura sostanziale, relativo alla definizione di licenziamento ritorsivo.

La Transizione Normativa: Rito Fornero vs. Riforma Cartabia

La società ricorrente sosteneva che al caso si dovesse applicare la nuova disciplina introdotta dalla Riforma Cartabia (D.Lgs. 149/2022), che ha abrogato il cd. Rito Fornero. La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo che, in base al principio perpetuatio iurisdictionis, ai procedimenti iniziati prima del 28 febbraio 2023 continuano ad applicarsi le norme vigenti al momento dell’instaurazione della causa. L’abrogazione del Rito Fornero, quindi, non ha effetto retroattivo sui processi già pendenti.

La Prova del Motivo Illecito nel licenziamento ritorsivo

Il cuore della decisione riguarda l’identificazione del motivo illecito. La Corte ha stabilito che quando un datore di lavoro licenzia un dipendente per la seconda volta, usando motivazioni già ritenute infondate in un precedente giudizio, e lo fa per frustrare un ordine di reintegra, questo comportamento configura un licenziamento nullo per motivo illecito, unico e determinante. L’intento elusivo diventa la vera e unica ragione del recesso, mascherata da motivazioni oggettive fittizie.

Le Motivazioni della Sentenza

La Cassazione ha motivato la sua decisione sottolineando che la prova del carattere ritorsivo può essere raggiunta anche in via presuntiva. I giudici di merito hanno correttamente valorizzato tutti gli elementi del caso: la sequenza cronologica degli eventi, la quasi identità delle motivazioni tra il primo e il secondo licenziamento, e l’assenza di reali nuove ragioni organizzative. Tutti questi indizi, valutati nel loro complesso, hanno portato alla logica conclusione che l’unico obiettivo della società era rendere vano il diritto del lavoratore a riprendere il proprio posto, come sancito dal giudice.

La Corte ha inoltre specificato che l’onere di provare la natura ritorsiva grava sul lavoratore, ma tale prova può emergere proprio dalla manifesta infondatezza del motivo oggettivo addotto dall’azienda. In questo caso, l’aver riproposto ragioni già sconfessate in giudizio ha costituito un elemento cruciale per svelare l’intento illecito.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza rafforza la tutela del lavoratore contro atti datoriali volti a neutralizzare gli effetti delle decisioni giudiziarie. Viene affermato con forza che un licenziamento non può essere utilizzato come strumento per aggirare un ordine di reintegra. Se il motivo oggettivo è solo un pretesto e la vera causa del recesso è la volontà di non adempiere a un ordine del tribunale, il licenziamento è nullo perché basato su un motivo illecito, unico e determinante. Questa decisione rappresenta un importante monito per i datori di lavoro e una garanzia per i diritti dei lavoratori.

Quando un licenziamento è considerato ritorsivo?
Un licenziamento è considerato ritorsivo quando la sua unica e determinante motivazione è una reazione illecita del datore di lavoro a un comportamento legittimo del lavoratore (ad esempio, aver vinto una causa per la reintegra). In questo caso, la Corte ha stabilito che reiterare un licenziamento per eludere un ordine del giudice costituisce un motivo illecito che rende nullo il recesso.

Quali regole processuali si applicano alle cause di lavoro iniziate prima del 28 febbraio 2023?
Alle cause di lavoro iniziate prima del 28 febbraio 2023 continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti prima della Riforma Cartabia, come il cosiddetto “Rito Fornero” (Legge n. 92/2012), in base al principio generale della perpetuatio iurisdictionis, secondo cui il processo è regolato dalla legge in vigore al momento del suo inizio.

Come può un lavoratore provare che il proprio licenziamento è stato ritorsivo?
Il lavoratore può provare la natura ritorsiva del licenziamento anche tramite presunzioni. Il giudice può desumere l’intento illecito da un insieme di elementi, come la sequenza temporale degli eventi, la manifesta infondatezza del motivo oggettivo addotto dal datore di lavoro, e la somiglianza con motivazioni già dichiarate illegittime in un precedente giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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