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Licenziamento ritorsivo: la Cassazione conferma la nullità

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2833/2024, ha rigettato il ricorso di un ente pubblico, confermando la nullità del licenziamento di un dirigente. Il recesso, formalmente motivato dal mancato superamento del periodo di prova e, in subordine, da una giusta causa, è stato ritenuto un licenziamento ritorsivo. La Corte ha stabilito che la finalità ritorsiva, se provata come motivo unico e determinante, invalida il licenziamento anche durante il patto di prova, basandosi su elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti come la mancata assegnazione di mansioni specifiche.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento Ritorsivo: Quando il Recesso è Nullo Anche in Periodo di Prova

La Corte di Cassazione ha recentemente ribadito un principio fondamentale a tutela dei lavoratori: un licenziamento ritorsivo è nullo anche se intimato durante il periodo di prova. Con la sentenza n. 2833 del 30 gennaio 2024, i giudici hanno chiarito che la discrezionalità del datore di lavoro nella valutazione della prova non è assoluta e non può mascherare un intento vendicativo. Il caso analizzato riguarda un dirigente di un ente pubblico che, dopo un lungo contenzioso, si è visto riconoscere il diritto alla reintegra e al risarcimento del danno.

I Fatti di Causa

Un dirigente, assunto presso una Camera di Commercio, veniva licenziato per mancato superamento del periodo di prova. Successivamente, l’ente notificava un secondo licenziamento, questa volta per giusta causa, accusando il lavoratore di aver reso false dichiarazioni in merito ai requisiti di partecipazione al concorso pubblico svoltosi anni prima.
Il lavoratore impugnava entrambi i licenziamenti, sostenendo che fossero unicamente una ritorsione per il lungo e annoso contenzioso che lo aveva visto opposto all’ente. Le prove raccolte in giudizio, incluse le testimonianze, hanno dimostrato che al dirigente, fin dal giorno dell’assunzione, non erano state assegnate né un’area di competenza specifica né mansioni concrete, ma solo un generico e vago incarico di ‘approfondimento’, senza strumenti o chiare direttive. In sostanza, era stato messo nelle condizioni di non poter superare la prova.

L’Analisi della Corte sul licenziamento ritorsivo

La Corte di Cassazione, confermando le decisioni dei giudici di merito, ha rigettato il ricorso dell’ente, basando la propria decisione su due pilastri fondamentali.

La Prova del Motivo Ritorsivo Esclusivo

I giudici hanno sottolineato che, sebbene spetti al lavoratore l’onere di provare il carattere ritorsivo del licenziamento, tale prova può essere raggiunta anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti. Nel caso di specie, la totale assenza di assegnazione di mansioni specifiche, la genericità dei compiti e l’isolamento del lavoratore costituivano elementi sufficienti a dimostrare che il ‘mancato superamento della prova’ era un mero pretesto. La vera e unica ragione del recesso era l’intento vendicativo dell’ente, configurando così un licenziamento ritorsivo e, di conseguenza, nullo.

L’Insussistenza della Giusta Causa

Anche il secondo licenziamento per giusta causa è stato smontato dalla Corte. Le presunte dichiarazioni false sui requisiti di ammissione al concorso sono state riesaminate nel merito. I giudici hanno chiarito che l’espressione ‘servizio effettivo’, richiesta dal bando, non equivaleva necessariamente a ‘servizio di ruolo’, rendendo plausibile l’interpretazione data dal lavoratore. Inoltre, riguardo all’assenza di cause di incompatibilità, la Corte ha rilevato che non vi erano elementi concreti per affermare la falsità della dichiarazione al momento in cui era stata resa. La decisione evidenzia l’autonomia del giudice del lavoro nel valutare i fatti ai fini disciplinari, indipendentemente dall’esito di un procedimento penale (in cui il lavoratore era stato peraltro assolto).

Le motivazioni

La sentenza si fonda sul principio che il motivo illecito, per rendere nullo il licenziamento ai sensi dell’art. 1345 c.c., deve essere ‘determinante ed esclusivo’. Ciò significa che il motivo lecito addotto dal datore di lavoro (il mancato superamento della prova) deve risultare insussistente. Nel caso in esame, i giudici di merito hanno compiuto un accertamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato, concludendo che la valutazione negativa dell’esito della prova era irrazionale e slegata da un effettivo esperimento lavorativo. La discrezionalità del datore di lavoro nella valutazione della prova non è illimitata, ma è soggetta al controllo giudiziale per verificare che non sia stata esercitata per finalità discriminatorie o illecite. La Corte ha quindi confermato la nullità di entrambi i licenziamenti e il conseguente diritto del lavoratore alla reintegra e al risarcimento del danno.

Le conclusioni

Questa pronuncia rafforza la tutela del lavoratore contro abusi datoriali, anche in una fase delicata come il periodo di prova. Stabilisce chiaramente che il potere di recesso del datore di lavoro non può essere usato come strumento di vendetta o ritorsione. Per le aziende, ciò significa che ogni decisione di interruzione di un rapporto di lavoro, anche in prova, deve fondarsi su elementi oggettivi, verificabili e coerenti con la finalità dell’esperimento, per non incorrere in declaratorie di nullità con conseguenze economiche e reputazionali significative.

Un licenziamento per mancato superamento della prova può essere considerato ritorsivo?
Sì, la sentenza conferma che un licenziamento durante il periodo di prova è nullo se il lavoratore dimostra che il motivo unico e determinante del recesso è una ritorsione illecita da parte del datore di lavoro, e non una genuina valutazione negativa della sua prestazione.

Cosa deve provare il lavoratore per dimostrare un licenziamento ritorsivo?
Il lavoratore ha l’onere di fornire elementi, anche presuntivi, purché gravi, precisi e concordanti, che dimostrino come la ragione dichiarata dal datore sia un pretesto e che l’unica vera causa del licenziamento sia una reazione illecita a un comportamento legittimo del dipendente.

L’interpretazione di un bando di concorso da parte del giudice è sempre contestabile in Cassazione?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che se una clausola contrattuale o di un bando ammette più interpretazioni plausibili, la scelta motivata del giudice di merito per una di esse non è censurabile in sede di legittimità. Non basta proporre un’interpretazione alternativa per ottenere una riforma della decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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