Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21763 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 21763 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 30710-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente principale –
contro
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
ricorrente incidentale nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE;
ricorrente principale – controricorrente incidentale –
Oggetto
R.NUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 04/06/2024
CC
avverso la sentenza n. 1443/2021 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 16/11/2021 R.G.N. 989/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/06/2024 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO.
Rilevato che
la Corte di appello di Milano, in riforma della sentenza resa all’esito dell’opposizione ex art. 1 comma 49 l. n. 92/2012, ha dichiarato la illegittimità del licenziamento intimato in data 19 agosto 2020 a NOME COGNOME da RAGIONE_SOCIALE; appl icata la tutela di cui all’art. 18, comma 5, l. n. 300/1970, ha dichiarato il rapporto di lavoro risolto con effetto dalla data del licenziamento e condannato RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore del COGNOME COGNOME un’indennità risarcitoria omnicomprensiva dete rminata in tredici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori di legge dalla data del licenziamento;
la statuizione di riforma è stata fondata sul difetto di proporzionalità del licenziamento, intimato sulla base di contestazione che ascriveva al dipendente la reiterata violazione delle procedure aziendali in relazione ad interventi di riparazione effett uati sull’autovettura intestata alla moglie nell’officina della società ;
per la cassazione della decisione ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso e ricorso incidentale condizionato affidato a tre motivi; RAGIONE_SOCIALE ha depositato controricorso avverso il ricorso incidentale condizionato;
entrambe le parti hanno depositato memoria;
Considerato che
con il primo motivo di ricorso principale RAGIONE_SOCIALE deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e degli artt. 1 e 3 l. n. 604/1966 censurando la sentenza impugnata per avere ‘erroneamente’ ritenuto il difetto di proporzionalità della sanzione espulsiva in considerazione del fatto che il dipendente, assunto nell’anno 2003, non aveva subito altre sanzioni disciplinari;
con il secondo motivo di ricorso principale deduce, ex art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e degli artt. 1 e 3, l. n. 604/1966, censurando la sentenza impugnata per avere omesso di pronunziare sulla eccezione di RAGIONE_SOCIALE relativa alla domanda di conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo;
con il primo motivo di ricorso incidentale condizionato NOME COGNOME deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’art. 2 l. n. 604/1966, dell’art. 48 c.c.n.l. Terziario, Distribuzione e Servizi e dell’art. 1 comma 48 l. n. 92/2012, censurando la sentenza impugnata per avere escluso portata fondante e costitutiva del recesso alla contestazione della recidiva. Sostiene che la Corte di merito non avrebbe potuto prescindere – come viceversa avvenuto – dalla considerazione che con il secondo addebito la società datrice aveva espressamente contestato al dipendente la recidiva qualificata; in questa prospettiva si duole della mancata verifica della legittimità della sanzione disciplinare conservativa irrogata (nota di biasimo);
con il secondo motivo di ricorso incidentale condizionato deduce, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa
applicazione dell’art. 7 l. n. 300/1970 censurando la sentenza impugnata per avere escluso la necessità della dimostrazione dell’affissione del codice disciplinare per costituire l’illecito contestato violazione dei doveri fondamentali del lavoratore;
con il terzo motivo di ricorso incidentale condizionato deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 7 l. n. 300/1970 e dell’art. 48 c.c.n.l. Terziario, Distribuzione e Servizi censurando la sentenza impugnata per avere <> escluso la riconducibilità della concreta fattispecie ad ipotesi punite con sanzione conservativa dal contratto collettivo;
il primo motivo di ricorso principale è inammissibile;
6.1. la Corte distrettuale, premesso che erano stati dimostrati i fatti oggetto di addebito, ha ritenuto non proporzionata la sanzione espulsiva irrogata dalla società valorizzando a tal fine in particolare la precedente lunga durata del rapporto di lavoro, iniziato nell’anno 2003 , e l’assenza di significative condotte e sanzioni disciplinari; ciò pur nella considerazione della sanzione di biasimo inflitta al COGNOME il 17 marzo 2020 per i fatti oggetto di contestazione del 28 febbraio 2020;
6.2. ciò posto, la censura di violazione di norma di diritto, per come concretamente articolata, trascura di considerare che il vizio ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., va dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l’elencazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con
l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla RAGIONE_SOCIALE di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (v., tra le altre, Cass. n. 287/2016, Cass. n. 635/2015, Cass. n. 25419/2014, Cass. n. 16038/2013); in particolare, con riferimento alla violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. questa Corte ha chiarito che la ‘giusta causa’ di licenziamento ex art. 2119 c.c. integra una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge; la sussunzione della fattispecie concreta nella clausola elastica della giusta causa secondo “standards” conformi ai valori dell’ordinamento, che trovino conferma nella realtà sociale, è dunque sindacabile in sede di legittimità con riguardo alla pertinenza e non coerenza del giudizio operato, quali specificazioni del parametro normativo avente natura giuridica e del conseguente controllo nomofilattico affidato alla Corte di cassazione ( v. tra le altre, Cass. n. 12789/2022, Cass. n. 7426/2018, Cass. n. 31155/2018, Cass. n. 25144/2010); l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone, viceversa, sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e
incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici (Cass. n. 8254 del 2004, n. 5095/2011, Cass. 6498/2012);
6.3. il motivo non è sviluppato in termini coerenti con le indicazioni della S.C in quanto parte ricorrente non individua quale sia il parametro normativo in tesi in contrasto con i valori presenti nella realtà sociale e nell’ordinamento giuridico, al quale la Corte di merito avrebbe -errando- ancorato la verifica della sussistenza della giusta causa di licenziamento; le critiche articolate, infatti, tendono, piuttosto, a contestare la valutazione di non proporzionalità del licenziamento quale in concreto effettuata dal giudice di merito, contestazione che si sostanzia nella mera contrapposizione valutativa di un diverso apprezzamento rispetto ad elementi già considerati dal giudice del reclamo in senso favorevole al dipendente, contrapposizione intrinsecamente inidonea a dare contezza dell’errore ascritto alla sentenza impugnata. Come ripetutamente affermato da questa Corte, infatti, il giudizio di proporzionalità è censurabile in sede di legittimità solo ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (v. tra le altre, Cass. 25/05/2012, n. 8293; Cass. 19/10/2007, n. 21965) e quindi, trovando applicazione, ratione temporis , il testo attualmente vigente dell’art. 360 comma primo, n. 5 cod. proc. civ., solo mediante la denunzia dell’omesso esame di un fatto decisivo e controverso oggetto di discussione tra le parti, neppure formalmente formulata dall’odierna ricorrente;
il secondo motivo di ricorso principale è anch’esso inammissibile per più profili;
7.1. in primo luogo, esso non si confronta con l’affermazione della Corte di appello che ha ritenuto assorbita
ogni altra questione dalla valutazione di non proporzionalità del licenziamento (v. sentenza, penultima pagina); tanto è sufficiente ad escludere la violazione dell’art. 112 c.p.c. (Cass. n. 3435/2001, Cass. n. 12984/1999, Cass. n. 5865/1981); in secondo luogo, la modalità del richiamo in ricorso agli atti di causa alla base delle censure, richiamo consistente nel mero rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito ( v. ricorso pag. 8), non è conforme alla giurisprudenza di legittimità secondo la quale l’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c., qualunque sia il tipo di errore (“in procedendo” o “in iudicando”) per cui è proposto, non può essere assolto “per relationem” con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto (tra le altre, Cass. n. 342/2021, Cass. n. 11984/2011);
all’inammissibilità del ricorso principale consegue l’assorbimento della necessità di esame del ricorso incidentale condizionato e la condanna della parte ricorrente alle spese di lite oltre che al pagamento raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale. Condanna parte ricorrente principale alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.5 00,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 4 giugno