Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30698 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 30698 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19872-2022 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO NOME INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 68/2022 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 08/02/2022 R.G.N. 406/2021;
R.G.N. 19872/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 09/10/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Fatti di causa
1.- La Corte d’appello di Bologna, con la sentenza in atti, in parziale riforma della sentenza appellata da Autostrade per l’Italia S.p.ARAGIONE_SOCIALE ha respinto le domande proposte in primo grado da COGNOME NOME condannandolo alla rifusione delle spese processuali.
A fondamento della sentenza la Corte d’appello ha sostenuto che la sentenza di primo grado aveva accolto le domande proposte dal lavoratore limitatamente alla esclusione del Cantelli dalle graduatorie di Autostrade per l’Italia S.p.A. volte all’assunzione a tempo determinato e rigettato nel resto, esplicitamente in parte motiva, per improponibilità, le domande relative ai rapporti di lavoro a termine per intervenuta decadenza esplicitando altresì in motivazione la mancata impugnazione rispetto ad un secondo licenziamento, qualificando la circostanza tale da rendere vana la contestazione del primo.
In carenza di impugnazione principale e/o incidentale del COGNOME risultava così passato in giudicato il rigetto riferito alle domande di accertamento e declaratoria della nullità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro stipulato tra le parti nel 2009. E per l’effetto, di emissione di ordine di reintegra e condanna al pagamento di un’indennità omnicomprensiva. Essendo stato su tali punti soccombente, il lavoratore aveva l’onere di proporre appello incidentale pena il formarsi del giudicato.
Rilevava inoltre che il licenziamento intimato per giusta causa dopo lo spirare del termine di durata del contratto a tempo determinato per fatti commessi nel corso dell’attività lavorativa
ed emersi successivamente, al contrario di quanto ritenuto dal primo giudice, doveva ritenersi atto non inesistente, ma improduttivo di effetti stante la già intervenuta risoluzione del rapporto per effetto del maturare del termine apposto ed idoneo a divenire efficace solo qualora, in costanza di declaratoria di nullità della clausola appositiva del termine, il rapporto di lavoro fosse divenuto ex tunc a tempo indeterminato.
Né la possibile intimazione del licenziamento poteva dirsi inibita dalla concorrente causa di risoluzione del rapporto per spirare del termine stesso.
La mancata impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore, anche se successivo ad un primo licenziamento, determinava peraltro, in ragione della decadenza ex lege prevista, la definitività del recesso come operato e come tale non più utilmente sindacabile quanto ai profili formali e di merito ad esso connessi.
Quanto alla esclusione dalla graduatoria per la conclusione di contratti a tempo determinato e indeterminato di cui in prime cure era stata dichiarata l’illegittimità, la Corte d’appello ha richiamato in contrario l’articolo 22, punto 15, CCNL 29 luglio 2015 secondo cui “i diritti di precedenza di cui sopra non sono esercitabili dai lavoratori che abbiano concluso il rapporto di lavoro a tempo determinato per licenziamento o per dimissioni”. Secondo la Corte tale disposizione in accordo con i criteri ermeneutici di cui agli articoli 1362 e seguenti c.c. appariva tale da doversi interpretare nel senso che vi fosse in esso compreso il licenziamento che, seppure irrogato in epoca successiva alla risoluzione del rapporto in ragione del termine apposto, facesse riferimento a fatti occorsi nella esecuzione del contratto. Ed invero la ratio della norma, ovvero quella di inibire la possibile precedenza in costanza di condotte del lavoratore indicative di
non meritevolezza del riconoscimento di una situazione di vantaggio, appariva certamente ricorrere anche qualora il licenziamento avvenisse successivamente al termine del rapporto per situazioni contingenti (come ad es. la scoperta successiva dei fatti di rilevanza disciplinare).
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME con cinque motivi e memoria a cui ha resistito RAGIONE_SOCIALE con controricorso. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo si sostiene la nullità della sentenza e la violazione di legge in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c. in quanto erroneamente il giudice non aveva accolto le censure avverso il ricorso in appello di Autostrade per l’Italia c he aveva riproposto integralmente ed esclusivamente le questioni di merito proprio del primo grado; aveva introdotto nuovi documenti eludendo ogni preclusione prevista per legge.
Il motivo è inammissibile per difetto di specificità e genericità della censura, ex art. 366, co. 1, n. 4 e n. 6 c.p.c. , con la quale si solleva una critica di carattere generale alla sentenza di secondo grado per aver accolto l’appello di Autostrade. Inoltre il motivo viola il principio di specificità non avendo indicato né riprodotto gli atti e i documenti in relazione ai quali si sarebbe consumata la dedotta nullità.
2.- Con il secondo motivo si denuncia la nullità del procedimento o della sentenza ex articolo 360 c.p.c. nn. 3 e 4 per l’insufficienza ed illogicità della motivazione con cui il giudice di merito aveva sbagliato ad individuare la questione circa i confini tra appello incidentale e cosiddetta mera riproposizione dei motivi di censura.
Il motivo è inammissibile.
Esso è assolutamente generico (per una dissertazione teorica in ordine alla distinzione tra appello incidentale e riproposizione delle eccezioni ai sensi dell’art. 346 c.p.c.), a norma dell’art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c., che ne esige l’illustrazione, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 18202/08; Cass. 18421/09; Cass. 19959/14; Cass. 1845/19).
Il motivo non confuta, infatti, la chiara e corretta statuizione decisoria della Corte d’appello in ordine alla formazione del giudicato sul rigetto delle domande lavoratore di accertamento della nullità del contratto a tempo determinato stipulato tra le parti nell’anno 2009, essendo egli onerato di un appello incidentale non proposto (così al primo periodo e al primo capoverso di pg. 6 della sentenza)
Inoltre, non è configurabile il vizio motivo così come denunciato per la novellazione dell’ art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. SU 8053/14).
3.- Con il terzo motivo si sostiene la nullità della sentenza e del procedimento, violazione di legge in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c. per vizio di motivazione in relazione al mancato esame della dinamica dei fatti oggetto di causa, per motivazione contraddittoria e irrazionale che deve ritenersi censurabile come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, come mancanza assoluta di motivazione e/o motivazione apparente, manifesta illogicità per il pessimo uso dei principi giuridici e delle massime giurisprudenziali.
Con tale motivo il ricorrente solleva in realtà il problema se si possa intimare un licenziamento in mancanza di qualsiasi rapporto di lavoro in essere ed anche con rapporto a termine già cessato.
La Corte d’appello a fondamento della sentenza ha richiamato la giurisprudenza che ammette il secondo licenziamento intervenuto dopo un primo licenziamento; ha sostenuto che, parimenti, l’intimazione del licenziamento non può essere inibita dal fatto della cessazione del rapporto già intervenuta per spirare del termine apposto; ha richiamato altresì la possibilità della parte datoriale di intimare licenziamenti successivi al primo ancorché questi siano improduttivi di effetti ove il primo licenziamento non sia caducato.
Premesso che la Corte d’appello ha fondato la propria esegesi della disciplina collettiva sulla scorta di corretti criteri ermeneutici che non risultano nemmeno censurati sul piano logico giuridico; questo Collegio condivide la tesi secondo cui un licenziamento possa essere intimato (ovviamente nella esistenza di tutti presupposti formali, procedurali e sostanziali) anche quando il rapporto sia cessato per altra causa (termine scaduto, precedente licenziamento, ecc.) se il licenziamento rilevi ad es. al fine di impedire la prosecuzione di un rapporto eventualmente convertito a tempo indeterminato, ovvero in relazione ad una disciplina collettiva – come quella che viene in rilievo nel caso di specie – che contempla espressamente la possibilità di sterilizz are l’anzianità lavorativa ai fini della graduatoria e della preferenza nelle assunzioni a termine o a tempo indeterminato.
Pertanto, nel caso di specie in relazione a quest’ultimo effetto, il licenziamento intimato al ricorrente risulta rispondente ed applicativo della previsione contrattuale che contempla che i
diritti di precedenza non siano esercitabili da lavoratori che abbiano concluso il rapporto di lavoro a tempo determinato per licenziamento, oltre che per dimissioni.
Come correttamente affermato dalla Corte d’appello tale effetto impeditivo può discendere anche da una lettura logica ed estensiva della previsione collettiva in relazione alla fattispecie in cui licenziamento venga intimato successivamente al termine del rapporto, come accaduto nella fattispecie, per fatti contestati avvenuti in pendenza di rapporto ancorché scoperti successivamente alla sua cessazione.
Nessun vizio di motivazione è riscontrabile a tale proposito nella sentenza impugnata; né risulta omessa la valutazione di alcun fatto decisivo nei termini dettati ex art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c. novellato (Cass. SU 8053/14).
4.- Con il quarto motivo si deduce la nullità del procedimento e della sentenza in violazione di legge ex art. 360 n. 3 in quanto il giudice d’appello ha parlato di doppio licenziamento per vizio di motivazione, in quanto la pronuncia rivela un’obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla decisione in relazione all’articolo 360 numero 5 c.p.c. in relazione al mancato esame della dinamica dei fatti oggetto di prova.
Il motivo è inammissibile perché sottopone a questa Corte una questione nuova che non risulta affrontata e sollevata davanti alla Corte d’appello.
Si contesta cioè che nel caso di specie ricorra la fattispecie del doppio licenziamento laddove invece la Corte di merito ha accertato il contrario. In ogni caso la Corte non ha nemmeno pronunciato sul merito dei fatti contestati ai fini del licenziamento in quanto vi era stata decadenza dalla sua
impugnazione atteso che il secondo licenziamento non era stato mai impugnato.
5.Con il quinto motivo si rappresenta la nullità del procedimento e della sentenza ex articolo 360 numero 3 c.p.c. secondo i criteri di cui all’articolo 1362 c.c. circa la ricaduta del presupposto giuridico esplicitato relativamente alla permanenza nelle graduatorie, articolo 2, punto 15 , CCNL per il personale dipendente da società e consorzi concessionari di autostrade e trafori del 29/7/2016, posto a chiusura dei diritti di precedenza nella stipula dei contratti a tempo determinato e indeterminato. 5.1 Il motivo è infondato e deve essere disatteso in relazione ai motivi precedenti in quanto da una parte deve ritenersi legittima l’intimazione del licenziamento in relazione alla esclusione della graduatoria anche dopo la cessazione di un contratto a termine per fatti commessi nel corso del rapporto ed emersi successivamente; e per altro verso deve ritenersi la legittimità dello stesso licenziamento senza necessità di esame dei fatti in quanto i giudici hanno accertato la decadenza dalla impugnazione non essendo stato comunque mai impugnato il
secondo licenziamento.
6.- Con il sesto motivo si sostiene la nullità del procedimento e della sentenza ex articolo 360 numero 5 c.p.c. per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti posto che nessuna considerazione vi è stata circa i contratti stipulati tra le parti e la situazione concreta oggetto di controversia posto che i cardini della questione si riferivano innanzitutto al rapporto di lavoro che era stato illegittimamente formalizzato negli anni come rapporto a tempo determinato sebbene in assenza dei requisiti specifici richiesti dalla normativa in materia.
6.1. Il sesto motivo deve ritenersi inammissibile perché è inconfigurabile il dedotto omesso esame di un fatto (anzi di più fatti, sicché nessuno ex se decisivo: Cass. 13676/16; Cass. 13625/18) storico nei termini previsti dall’art. 360 n. c.p.c. novellato (Cass. SU 8053/14). Il ricorrente mira piuttosto a contestare la valutazione delle risultanze istruttorie ed a rivisitare il merito insindacabili in sede di legittimità.
Esso presenta altresì profili di infondatezza perché riguarda la nullità dei contratti a termine su cui come già detto è intervenuta pronuncia di decadenza in primo grado, non impugnata in appello pur in presenza di dichiarata soccombenza.
7.- Sulla scorta delle superiori argomentazioni il ricorso essere pertanto rigettato; parte ricorrente deve essere condannata, in ragione della soccombenza, al pagamento delle spese del presente giudizio processuali in favore del controricorrente liquidate come da dispositivo.
Al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore del controricorrente che liquida in € 4000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 9.10.2024