Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26241 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 26241 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 5872-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME , domiciliata in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1627/2021 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 21/12/2021 R.G.N. 995/2021;
Oggetto
Licenziamento
R.G.N. 5872NUMERO_DOCUMENTO2022
COGNOME.
Rep.
Ud. 11/09/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/09/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Milano, nell’ambito del procedimento ex lege n. 92 del 2012, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado con cui era stato giudicato illegittimo il licenziamento disciplinare del 14 febbraio 2020 intimato dalla società RAGIONE_SOCIALE a NOME COGNOME con condanna della società alla reintegrazione e al pagamento dell’indennità risarcitoria prevista dal novellato art. 18 St. lav. per aver condiviso, su di una chat contenuta in una pagina Facebook , un post ritenuto diffamatorio e lesivo dell’immagine e della onora bilità dell’azienda;
la Corte territoriale, in estrema sintesi, ha condiviso col primo giudice l’assunto che il post avesse un ‘significato consolatorio’ in favore di una persona che aveva espresso rammarico per non era stata assunta da RAGIONE_SOCIALE, ritenendo che ‘in principalità lo scopo della mittente era proprio quello di rendere meno grave la delusione della lavoratric e’; ha letto la frase addebitata ‘nell’ottica di una comunicazione volta a sminuire la rilevanza di un posto di lavoro non ottenuto’, senza ‘una portata offe nsiva della società, del suo management e del personale in generale’; ha argomentato come il post non contenesse ‘un’affermazione compiuta, chiara, univoca ed integralmente percepibile dal lettore data la genericità delle parole e il mancato riferimento ad un nominativo specifico’, concludendo che ‘non può avere alcun contenuto diffamatorio nei confronti della società reclamante o di suoi dirigenti o dipendenti, il nome dei quali non emergeva dal post stesso’;
avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la soccombente società con un unico articolato motivo, cui ha resistito l’intimata con controricorso;
RAGIONE_SOCIALE ha anche comunicato memoria; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
1. col motivo di ricorso si denuncia, ai sensi del numero 3 dell’art. 360 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c., in riferimento all’art. 21 Cost., agli artt. 1175, 1375, 2094, 2104, 2106, 2119 C.C., nonché all’art. 18 della l . n. 300 del 1970 e, infine, all’art. 213 del CCNL del commercio, ‘conseguente all’erronea valutazione della sussistenza materiale e giuridica del fatto contestato alla dipendente’; si argomenta diffusamente sulla portata diffamatoria e offensiva del commento della lavoratrice, evidenziando in particolare l’irrilevanza dello stato soggettivo rappresentato dal preteso intento consolatorio che avrebbe animato la dichiarante;
il Collegio reputa che il ricorso non possa trovare accoglimento;
i giudici d’appello, in adesione di quanto già ritenuto in primo grado, hanno spiegato le ragioni per cui, interpretando il contenuto del post , hanno negato la portata offensiva della frase contestata, in relazione alle circostanze concrete in cui la stessa è stata pronunciata;
tale valutazione involge apprezzamenti di merito che non consentono un sindacato a questa Corte;
sia perché ogni rivalutazione dei fatti è preclusa dalla ricorrenza nella specie di una cd. ‘doppia conforme’ (cfr. art. 348 ter,
ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022);
sia perché sono noti i limiti del sindacato di legittimità nelle ipotesi di giusta causa e di giustificato motivo soggettivo di licenziamento (per i quali si rinvia, ai sensi dell’art. 118, comma 1, disp. att. c.p.c., a Cass. n. 13064 del 2022 ed alla giurisprudenza ivi citata; conf. v. Cass. n. 20780 del 2022 e, da ultimo, Cass. n. 107 e n. 4502 del 2024);
inoltre, è consolidato il principio secondo cui il superamento dei limiti di continenza e pertinenza stabiliti per un esercizio lecito della critica rivolta dal lavoratore nei confronti del datore costituisce valutazione rimessa al giudice di merito (v. Cass. n. 1379 del 2019; conf. Cass. n. 35922 del 2023; Cass. n. 19621 del 2023; Cass. n. 2520 del 2023; Cass. n. 33803 del 2022);
conclusivamente, il ricorso deve essere respinto, con spese secondo soccombenza e liquidazione come da dispositivo, con attribuzione all’AVV_NOTAIO che si è dichiarato antistatario;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’u lteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 5.000,00, oltre esborsi
pari ad euro 200,00, spese generali al 15% ed accessori secondo legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale dell’11 settembre