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Licenziamento post Facebook: quando è illegittimo?

La Corte di Cassazione conferma l’illegittimità di un licenziamento per un post su Facebook. I giudici hanno ritenuto che il commento, condiviso in una chat per consolare una persona non assunta, non avesse contenuto diffamatorio. La valutazione del carattere non offensivo del messaggio, data la sua genericità e l’assenza di riferimenti specifici, è un apprezzamento di merito non sindacabile in sede di legittimità, portando al rigetto del ricorso dell’azienda.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento post Facebook: La Cassazione chiarisce i limiti della critica

Un commento su una chat di Facebook può costare il posto di lavoro? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26241/2024, è tornata a pronunciarsi su un caso di licenziamento post Facebook, stabilendo principi importanti sul confine tra diritto di critica e obbligo di fedeltà del lavoratore. La decisione conferma che non ogni espressione potenzialmente sgradita all’azienda giustifica la massima sanzione espulsiva, ma è necessario un’attenta analisi del contesto e del reale contenuto offensivo del messaggio.

I Fatti del Caso: Un Post e la Reazione Aziendale

Una lavoratrice di un’importante società di ristorazione veniva licenziata per aver condiviso un post su una chat di Facebook. L’azienda riteneva che il contenuto del messaggio fosse diffamatorio e lesivo della propria immagine e onorabilità. Il commento era stato pubblicato in una conversazione per esprimere solidarietà a una persona che si era rammaricata per non essere stata assunta dalla stessa società.

La Decisione dei Giudici di Merito

Sia il Tribunale di primo grado sia la Corte d’Appello hanno dichiarato illegittimo il licenziamento. I giudici hanno stabilito che il post non avesse una reale portata offensiva. Secondo le corti, il messaggio aveva un “significato consolatorio” e il suo scopo principale era quello di “rendere meno grave la delusione della lavoratrice” non assunta. La frase contestata è stata interpretata come un tentativo di sminuire l’importanza del posto di lavoro mancato, piuttosto che un attacco diretto all’azienda, al suo management o al personale. La genericità delle parole e l’assenza di riferimenti a persone o ruoli specifici sono stati elementi chiave per escludere il contenuto diffamatorio.

Il licenziamento post Facebook secondo la Cassazione

L’azienda, non soddisfatta delle decisioni precedenti, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, sostenendo che i giudici avessero errato nel valutare la sussistenza materiale e giuridica del fatto contestato. Tuttavia, la Suprema Corte ha respinto il ricorso, confermando l’illegittimità del licenziamento.

L’Interpretazione del Messaggio è un Apprezzamento di Merito

Il Collegio ha chiarito che l’interpretazione del contenuto di un post e la valutazione della sua portata offensiva sono attività che rientrano nell’apprezzamento dei fatti, riservato ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). La Corte di Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici precedenti, a meno che non vi siano vizi logici o giuridici evidenti, che in questo caso non sono stati riscontrati.

Il Limite della “Doppia Conforme”

Inoltre, la Cassazione ha richiamato il principio della cosiddetta “doppia conforme”. Quando due sentenze di merito giungono alla stessa conclusione, come in questo caso, le possibilità di contestare la ricostruzione dei fatti in Cassazione sono ulteriormente limitate. Questo principio serve a garantire la stabilità delle decisioni e a circoscrivere il ruolo della Suprema Corte alla sola verifica della corretta applicazione delle norme di diritto.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri. In primo luogo, l’interpretazione del post come non offensivo, data la sua finalità consolatoria e la sua genericità, è una valutazione di fatto incensurabile in sede di legittimità. I giudici di merito hanno spiegato in modo coerente perché il messaggio non contenesse “un’affermazione compiuta, chiara, univoca ed integralmente percepibile dal lettore” come diffamatoria. In secondo luogo, la Cassazione ribadisce un principio consolidato: stabilire se il lavoratore abbia superato i limiti della continenza e della pertinenza nel suo diritto di critica è una valutazione rimessa al giudice di merito, il cui giudizio, se adeguatamente motivato, non può essere messo in discussione.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Lavoratori e Aziende

Questa ordinanza rafforza un importante principio: per giustificare un licenziamento disciplinare, il comportamento del lavoratore deve essere valutato nel suo contesto specifico. Un post sui social network, anche se critico, non è automaticamente una giusta causa di licenziamento. È necessario che il contenuto sia oggettivamente offensivo e diffamatorio, superando i limiti della critica legittima. Per le aziende, la sentenza è un monito a non reagire in modo sproporzionato, valutando attentamente la reale gravità delle espressioni usate dai dipendenti prima di procedere con la massima sanzione. Per i lavoratori, rimane fondamentale esercitare il diritto di critica nel rispetto dei principi di continenza e correttezza, per non incorrere in sanzioni disciplinari.

Condividere un post critico su Facebook può giustificare un licenziamento?
Non necessariamente. Secondo la sentenza, il licenziamento è legittimo solo se il post supera i limiti del diritto di critica, risultando oggettivamente diffamatorio e lesivo per l’azienda. La valutazione dipende dal contenuto specifico, dal contesto e dall’intenzione comunicativa.

Quale elemento è stato decisivo per considerare il post non diffamatorio?
L’elemento decisivo è stato il contesto e lo scopo del messaggio. I giudici hanno ritenuto che il post avesse un “significato consolatorio” verso una persona non assunta e fosse volto a “sminuire la rilevanza di un posto di lavoro non ottenuto”, piuttosto che a offendere l’azienda. La genericità delle parole e l’assenza di riferimenti a persone specifiche hanno contribuito a escluderne la natura diffamatoria.

Perché la Corte di Cassazione non ha riesaminato i fatti del caso?
La Corte di Cassazione non ha riesaminato i fatti perché il suo ruolo è quello di giudice di legittimità, non di merito. Può solo verificare la corretta applicazione della legge, non ricostruire gli eventi. Inoltre, in questo caso specifico, si applicava il principio della “doppia conforme”, che limita ulteriormente la possibilità di contestare la valutazione dei fatti quando le decisioni di primo e secondo grado sono identiche.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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