Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13514 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13514 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 29919-2021 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 266/2021 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 08/07/2021 R.G.N. 961/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/04/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Venezia, confermando la sentenza del Tribunale di Vicenza, ha accertato la
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 04/04/2024
CC
legittimità del licenziamento intimato da RAGIONE_SOCIALE a NOME COGNOME in data 4.6.2018 per mancato superamento del periodo di prova semestrale.
La Corte territoriale -riprodotte ampiamente le argomentazioni poste a fondamento del rigetto dal giudice di prime cure – ha rilevato che il patto di prova apposto al contratto di lavoro doveva ritenersi valido in quanto contenente un chiaro, seppur im plicito, rinvio all’atto di pre-assunzione stipulato fra le parti appena 20 giorni prima (ove erano analiticamente esposte le mansioni assegnate al lavoratore di ‘RAGIONE_SOCIALE‘, unica dizione che risultava, invece, nel contratto di lavoro) che dimostrava la perfetta conoscenza, di entrambe le parti, dei compiti affidati al lavoratore; che non era emerso alcun intento ritorsivo della società, in quanto non era logicamente plausibile che il licenziamento fosse stato determinato unicamente dalla risoluzione del patto di esclusiva tra RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE (non essendo proficua una volontà punitiva della società nei confronti dell’impresa automobilistica) o dalla previsione di un premio di produttività (contenuto solamente nel patto pre-assun tivo, e non nel contratto di lavoro) o dell’apertura, a settembre/ottobre 2018, di una nuova concessionaria (circostanza di cui non è emersa alcuna influenza sul licenziamento); che, infine, mancava qualsiasi prova circa il carattere arbitrario e contrario a buona fede del recesso (né era stato provato che il positivo andamento delle vendite dei primi mesi del 2018 fosse imputabile alla presenza del COGNOME).
Avverso tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi. La società ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2096, 1374, 1346 cod.civ. per avere, la Corte territoriale,
trascurato di verificare se l’oggetto del contratto di lavoro contenente l’indicazione specifica delle mansioni, posto che vi era un generico richiamo alle mansioni di ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘; né l’atto di pre -assunzione poteva integrare il contratto di lavoro poiché in quest’ultimo non vi era alcun riferimento espresso a detto accordo del gennaio 2018, che dunque non poteva ritenersi integrativo e/o sostitutivo di quanto indicato nel contratto di assunzione
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2096 cod.civ. e 107 del CCNL Commercio applicato alla fattispecie, per avere, la Corte territoriale, trascurato che il rinvio, nel contratto di assunzione, al livello di Quadro (assegnato al COGNOME) era del tutto insufficiente in quanto la declaratoria del CCNL è caratterizzata da una genericità tale da non rispondere adeguatamente alla specificità richiesta per l’oggetto su cui deve essere valutato il lavoratore nel periodo di prova; nemmeno nell’impegno all’assunzione sottoscritto dal lavoratore il 10.1.2018 venivano indicate con precisione le attività di RAGIONE_SOCIALE, limitandosi, il ricorrente, con la sottoscrizione della predetta lettera, ad impegnarsi a comunicare la sua intenzione in riferimento alla proposta di collaborazione offerta, non certo a vincolarsi ad un patto di prova avente ad oggetto le mansioni descritte.
Con il terzo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2729, 1345, 1418, 2697 cod.civ., 2 del d.lgs. n. 23 del 2015, 7 della legge n. 300 del 1970 avendo, la Corte territoriale negato ai molteplici elementi indiziari offerti dal lavoratore il valore di prova della natura ritorsiva del licenziamento trascurato il principio di diritto sotteso all’obbligo di specificità della contestazione; invece, la corretta lettura degli elementi forniti al giudice di appello non poteva che portare all’accertamento della dedotta natura illecita del recesso.
Con il quarto motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, nn. 3 e 5, la violazione e falsa
applicazione degli artt. 2697 cod.civ. e 3 del d.lgs. n. 23 del 2015, 7 della legge n. 300 del 1970 avendo, la Corte territoriale trascurato il positivo esperimento del periodo di prova dimostrato dall’incremento delle vendite di RAGIONE_SOCIALE nel 2018 (nel pr imo semestre del 2018 la società, certamente grazie all’attività svolta dal COGNOME, raggiungeva il 100% degli obiettivi assegnati dalla RAGIONE_SOCIALE automobilistica, arrivando addirittura nel mese di febbraio 2018 al risultato del 110 %).
Con il quinto motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., 115,116, 244 cod.proc.civ., avendo, la Corte territoriale, ritenuto di non ammettere le prove formulate dal lavoratore in ordine al positivo esperimento della prova.
Preliminarmente, va rilevata l’inammissibilità di tutti i motivi (secondo, quarto e quinto) articolati secondo il paradigma normativa dell’art 360, primo comma, n. 5, cod.pro.civ.
6.1. I motivi sono inammissibili in quanto trascurano di considerare che il n. 5 dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., che viene invocato a sostegno delle doglianze, per i giudizi di appello instaurati dopo il trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della legge 7 agosto 2012 n. 134, di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, non può essere invocato, rispetto ad un appello promosso nella specie dopo la data sopra indicata (art. 54, comma 2, del richiamato d.l. n. 83/2012), con ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello che conferma la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter, ultimo comma, cod.proc.civ., in base al quale il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme; v. Cass. n. 23021 del 2014; la medesima previsione è inserita, dall’art. 3, comma 27, lett. a), n. 2), d.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, nell’art. 360, quarto comma, cod.proc.civ.).
6.2. In questi casi il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. n. 26774 del 2016, conf. Cass. n. 20944 del 2019), mentre nulla di ciò viene specificato nelle censure.
Per la parte residua, il primo ed il secondo motivo sono, del pari, inammissibili.
7.1. In disparte il decisivo profilo della mancata trascrizione dell’atto negoziale del 10.1.2018 e del contratto di assunzione dell’1.2.2018, le censure articolate ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ. non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata perché il ricorrente insiste sulla insussistenza del carattere integrativo dell’accordo precontrattuale ma nulla deduce sulla interpretazione non solo di entrambi gli atti negoziali ma anche del comportamento concludente delle parti richiamati a fondamento della pronuncia impugnata: la Corte di appello, anche riproducendo ampi stralci della sentenza di primo grado, ha accertato che ‘l’accordo di gennaio costituisce un preliminare del contratto di lavoro di cui il definitivo replica coerentemente gli essenziali contenuti: così per il livello di inquadramento, per l’indicazione delle mansioni mediante la sintetica formulazione di ‘Vw RAGIONE_SOCIALE‘, per la retribuzione lorda (suddivisa in 14 mensilità)’, desumendo tale collegamento negoziale dalla prossimità della stipulazione di entrambi gli atti, dal tenore degli stessi, dalla circostanza che il COGNOME si definiva persona interna al mondo RAGIONE_SOCIALE.
Va rammentato che le valutazioni del giudice di merito in ordine all’interpretazione degli atti negoziali soggiacciono, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione logica e coerente (ex plurimis, Cass. n. 4851 del 2009; Cass. n. 3187 del 2009; Cass. n. 15339 del 2008;
Cass. n. 11756 del 2006; Cass. n. 6724 del 2003; Cass. n. 17427 del 2003), profili che, comunque, non sono sollevati dal ricorrente.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
1. La censura formulata come violazione o falsa applicazione di legge mira in realtà alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità.
9.2. Come insegna questa Corte, il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013;Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).
9.3. L’apprezzamento in ordine alla gravità, precisione e concordanza degli indizi posti a fondamento dell’accertamento effettuato con metodo presuntivo attiene alla valutazione dei mezzi di prova, ed è pertanto rimesso in via esclusiva al giudice di merito, salvo lo scrutinio riguardo alla congruità della relativa motivazione: pur ribadendo che il vizio attinente alla motivazione non è ammissibile in caso di sentenza c.d. doppia conforme, va sottolineato che il percorso argomentativo logico e giuridico sviluppato dalla Corte territoriale è stato ampio ed analitico.
Il quarto ed il quinto motivo di ricorso non sono fondati.
10.1. Questa Corte ha affermato (come sottolineato dalla sentenza impugnata) che il licenziamento intimato nel corso o al termine del periodo di prova, avendo natura discrezionale, non deve essere motivato, neppure in caso di contestazione in ordine alla valutazione della capacità e del comportamento professionale
del lavoratore stesso; incombe, pertanto, sul lavoratore licenziato, che deduca in sede giurisdizionale la nullità di tale recesso, l’onere di provare, secondo la regola generale di cui all’art. 2697 c.c., sia il positivo superamento del periodo di prova, sia che il recesso è stato determinato da motivo illecito e, quindi, estraneo alla funzione del patto di prova (Cass. n. 1180 del 2017).
10.2. In base al combinato disposto degli artt. 2096, terzo comma, cod.civ., e 10 della legge n. 604 del 1966 nel corso del periodo di prova ciascuna delle parti è libera di recedere dal contratto di lavoro senza obbligo di preavviso e di motivazione: in caso di licenziamento intimato nel corso o al termine del periodo di prova incombe al lavoratore stesso, che deduca in sede giurisdizionale la nullità di tale recesso, l’onere di provare, secondo la regola generale stabilita dall’art. 2697 c.c., sia il positivo superamento del periodo di prova, sia che il recesso è stato determinato da motivo illecito e quindi, estraneo alla funzione del patto di prova (Cass. 14 ottobre 2009, n. 21784; Cass. 18 gennaio 2017, n. 1180; Cass. nn. 18268 e 31159 del 2018; Cass. n. 23927 del 2020).
10.3. La Corte di appello si è conformata a tali principi e, una volta escluso il motivo ritorsivo, ha ritenuto correttamente esercitato il potere di recesso datoriale in considerazione (come la lettera di recesso ha esposto) della prestazione lavorativa e dell’inserimento nell’organizzazione aziendale ‘non positivi’, ben potendo riguardare, il licenziamento durante il periodo di prova sia aspetti strettamente professionali sia la complessiva condotta del lavoratore (cfr. sul punto Cass. n. 9948 del 2001). Conseguentemente, la Corte territoriale non ha ritenuto aspetto dirimente la prova, richiesta dal lavoratore, del positivo superamento, in assenza del motivo illecito. 11. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro
200,00 per esborsi, nonchè in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4 aprile 2024.