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Licenziamento per superamento comporto: il certificato

La Corte di Cassazione conferma la legittimità di un licenziamento per superamento del periodo di comporto. La richiesta di aspettativa non retribuita del lavoratore è stata respinta perché il certificato medico non specificava una durata definita della malattia, ma solo la necessità di riposi saltuari. La Corte ha inoltre ritenuto congruo il tempo trascorso tra il superamento del comporto e la comunicazione del licenziamento, riconoscendo al datore di lavoro un ragionevole ‘spatium deliberandi’.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento per superamento comporto: il certificato medico generico non basta

Il licenziamento per superamento del periodo di comporto rappresenta una delle cause di cessazione del rapporto di lavoro più delicate. La legge tutela il lavoratore malato garantendogli la conservazione del posto per un periodo predeterminato, ma cosa succede quando questo limite viene superato? Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione, la n. 6466/2024, offre chiarimenti fondamentali sulla richiesta di aspettativa non retribuita e sulla validità dei certificati medici presentati a supporto.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Aspettativa per Evitare il Licenziamento

Un dipendente di una nota società ferroviaria, prossimo a superare il limite massimo di assenze per malattia, veniva licenziato. Prima che ciò accadesse, il lavoratore aveva tentato di evitare la risoluzione del rapporto chiedendo un periodo di aspettativa non retribuita di 30 giorni, come previsto dal contratto collettivo di settore. A supporto della sua richiesta, aveva presentato un certificato medico che attestava una “sindrome ansiosa reattiva con disturbi del sonno” e specificava la necessità di “periodi di riposo saltuario (al bisogno anche uno o due giorni) e non necessariamente di periodi continuativi”.

La società datrice di lavoro aveva respinto la richiesta, ritenendo il certificato non idoneo a giustificare un’aspettativa continuativa di 30 giorni, e aveva proceduto con il licenziamento. La questione è così giunta fino alla Corte di Cassazione.

L’Interpretazione del CCNL e il licenziamento per superamento comporto

Il nodo centrale della controversia risiede nell’interpretazione di una clausola del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro. Tale clausola permette al lavoratore di richiedere un periodo di aspettativa per motivi di salute, a condizione che sia “commisurato a quanto indicato nella certificazione medica”.

La Corte di Appello, e successivamente la Cassazione, hanno stabilito che questa dicitura impone un requisito di specificità. Il certificato medico non può essere generico, ma deve indicare una prognosi chiara e una durata definita della malattia, che sia coerente con il periodo di aspettativa richiesto. Nel caso di specie, il certificato era vago: non stabiliva una durata precisa ma lasciava di fatto al lavoratore l’arbitrio di decidere quando e per quanto tempo assentarsi (“riposo saltuario al bisogno”).

Secondo i giudici, una certificazione di questo tipo non è sufficiente a fondare il diritto all’aspettativa. Ammettere il contrario significherebbe concedere al lavoratore la facoltà di determinare liberamente la durata e la collocazione dei periodi di riposo, snaturando la finalità dell’istituto, che è quella di consentire la cura per una patologia di durata definita.

La Questione della Tardività del Licenziamento

Un’altra doglianza sollevata dal lavoratore riguardava la presunta tardività del licenziamento. L’azienda aveva infatti atteso poco più di un mese dal superamento del periodo di comporto prima di comunicare la risoluzione del rapporto.

Le Motivazioni della Cassazione

Su questo punto, la Corte ha ribadito un principio consolidato: il datore di lavoro, una volta superato il comporto, non è obbligato a licenziare immediatamente. Gli è concesso un ragionevole spatium deliberandi, ovvero un periodo di tempo congruo per valutare la situazione complessiva, inclusa la possibilità di reinserire il dipendente nell’organizzazione aziendale. La tempestività del recesso non va misurata con un criterio cronologico rigido, ma valutata caso per caso. Nel contesto analizzato, un intervallo di poco più di un mese è stato ritenuto pienamente legittimo e non sintomatico di una rinuncia al diritto di licenziare, neppure se nel frattempo il lavoratore era rientrato in servizio.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame offre due importanti lezioni pratiche. In primo luogo, chiarisce che per ottenere l’aspettativa non retribuita al fine di evitare il licenziamento per superamento comporto, il lavoratore deve produrre una certificazione medica dettagliata, che indichi una prognosi e una durata della malattia coerenti con la richiesta. Certificati generici o che lasciano al dipendente la scelta dei periodi di riposo non sono considerati validi. In secondo luogo, conferma che il datore di lavoro ha a disposizione un lasso di tempo ragionevole per decidere se procedere con il licenziamento, senza che un breve ritardo possa essere interpretato come una rinuncia a tale diritto.

Per chiedere l’aspettativa per malattia è sufficiente un certificato medico generico?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che non è sufficiente. Il certificato deve indicare una durata specifica e definita della malattia, che sia commisurata al periodo di aspettativa richiesto. Non può lasciare al lavoratore la scelta arbitraria di quando e per quanto tempo fruire del riposo.

Il licenziamento per superamento del periodo di comporto deve essere immediato?
No, il datore di lavoro dispone di un congruo ‘spatium deliberandi’ (periodo di riflessione) per valutare la convenienza di proseguire il rapporto di lavoro. Un ritardo, se ragionevole come nel caso di specie (poco più di un mese), non rende illegittimo il licenziamento.

Se il lavoratore torna al lavoro dopo aver superato il periodo di comporto, il datore di lavoro perde il diritto di licenziarlo?
Non necessariamente. Secondo la sentenza, il rientro in servizio non è, di per sé, una circostanza che dimostra in modo inequivocabile la rinuncia del datore di lavoro al potere di licenziare. La valutazione sulla tempestività del recesso va fatta caso per caso, considerando l’intero contesto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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