Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3405 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 3405 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 6015-2023 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4/2023 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 10/01/2023 R.G.N. 606/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/12/2024 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Licenziamento ex lege n. 92 del 2012
R.G.N. 6015/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 17/12/2024
CC
RILEVATO CHE
1. In data 19/06/2020 RAGIONE_SOCIALE contestava al proprio dipendente COGNOME COGNOME, come si legge nella gravata sentenza, i seguenti fatti: « A. Lei insieme al suo fratello NOME ha per anni collaborato consapevolmente con esponenti di vertice della famiglia mafiosa dell’Acquasanta (dapprima i COGNOME e poi i COGNOME per il tramite di fratelli COGNOME), in particolare nel settore della cantieristica navale di Palermo, al punto che è attualmente indagato – unitamente COGNOME COGNOME Giu seppe, Scrima NOME COGNOME, Scrima NOME COGNOME e COGNOME NOME – per i reati di cui agli articoli 81, 110 e 379 cp, e articolo 416 bis c. 1 cp nell’ambito del procedimento penale numero 3275/2019 RGNR (…) ‘per avere, anche in concorso tra loro, non concorrendo nel delitto presupposto di cui all’articolo 416 bis cod. pen., con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, aiutato esponenti di vertice nella famiglia dell’Acquasanta ad assicurarsi i proventi del medesimo delitto di partecipazione al l’associazione mafiosa’. In particolare, insieme a suo fratello, in qualità di soci dell’impresa RAGIONE_SOCIALE, lei si è messo ‘a disposizione gli esponenti di vertice della famiglia COGNOME nel settore della cantieristica navale, di fatto affidando alcune scelte operative gestionali al presidente della cooperativa RAGIONE_SOCIALE. COGNOME NOME, quale referente della consorteria nel settore cantieristico, per aver sottoscritto importanti accordi per la costituzione di nuovi soggetti economici a partecipazione congiunta, quali la RAGIONE_SOCIALE con i quali acquisire ulteriori e diversificati appalti, così agevolando le attività di infiltrazione in tali contesti imprenditoriali e garantendo l’alimentazione della cassa della famiglia mafiosa. Con l’aggravante di aver agito al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa’. B. Lei ha violato anche i valori di integrità ed onestà di cui al punto 2 del Codice Etico del gruppo FS I nostri valori fondamentali e il principio del rispetto della Legalità sancito dal punto 5.1 nello stesso codice Rapporto con tutti gli Stakeholder -Consideriamo il rispetto della legalità e dei valori democratici un prerequisito imprescindibile -ai sensi del quale ‘ Le nostre azioni
devono essere sempre orientate al rispetto della legalità e dei valori dell’ordinamento democratico. A tale fine ci impegniamo a non operare alcuna forma di finanziamento, diretto o indiretto, e a non agevolare in alcun modo gruppi, associazioni o singoli che perseguano finalità illecite o che non siano allineati ai principi etici del nostro GruppoRAGIONE_SOCIALE Lei ha svolto una seconda attività lavorativa, in particolare nel settore della cantieristica navale, senza darne comunicazione all’azienda e senza richiedere ed ottenere la relativa necessaria autorizzazione contravvenendo al principio sancito dal codice etico del gruppo Ferrovie dello Stato italiane al punto 5.4 Rapporto con le persone del gruppo- Evitiamo e Gestiamo i conflitti di interesse . Lei a seguito di 9/10 accordo sottoscritto con la scrivente azienda in data 28/06/2019 dal l’uno 7 2020 svolge la sua prestazione lavorativa in regime di part time di tipo verticale al 50%, con conseguente necessaria riorganizzazione delle attività lavorative dell’unità di sua appartenenza da parte della società, tanto per svolgere attività non autorizzate e soprattutto illecite. D. Le condotte sopra descritte si configurano anche quali violazioni dei doveri di buona fede e correttezza nell’ambito del rapporto di lavoro che ledono gravemente il vincolo fiduciario con il suo datore di lavoro».
La contestazione disciplinare della società premetteva che il COGNOME era stato tratto in arresto in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare del Gip del Tribunale di Palermo del 21/04/2020 per il reato di favoreggiamento reale a vantaggio dell’associazione mafiosa ‘Cosa nostra’ e che dal contesto di tale ordinanza si era appreso delle plurime ingerenze del COGNOME in attività economiche concorrenziali nel settore della cantieristica navale.
In data 14/07/2020 RAGIONE_SOCIALE applicava nei confronti del dipendente COGNOME la misura del licenziamento in tronco per giusta causa.
Impugnato il recesso il Tribunale di Palermo, sia in fase sommaria che in sede di opposizione ex lege n. 92 del 2012, rigettava le domande proposte dal lavoratore.
La Corte di appello di Palermo, con la sentenza n. 4 del 2023, confermava la pronuncia di primo grado.
I giudici di seconde cure, a fondamento della loro decisione, così come il Tribunale, individuavano come circostanza autonomamente rilevante in chiave sanzionatoria il fatto contestato (sub C) di avere svolto attività imprenditoriale in violazione del codice etico adottato nel 2018 le cui disposizioni – già contemplate in analogo documento aziendale del 2012- imponevano ad ogni dipendente di richiedere l’autorizzazione aziendale per qualsivoglia attività economica o collaborazione con terzi soggetti; rilevavano che la circostanza, della quale la stessa società aveva pure ammesso di avere avuto una qualche consapevolezza non era tuttavia idonea a neutralizzare la gravità dell’addebito; specificava che, al di là delle disposizioni aziendali, costituiva una regola di comportamento universalmente presente in ogni organizzazione di lavoro l’imposizione al dipendente di non svolgere attività con interessi economici potenzialmente concorrenti con quelli del datore di lavoro e se del caso di spogliarsi o almeno di sottomettersi al vaglio aziendale mediante la richiesta dell’autorizzazione allo svolgimento delle attività in parola; sottolineavano che il COGNOME, al di là della partecipazione, acquisita mortis causa derivante dall’eredità paterna, nella proprietà di enti, rivestiva un ruolo operativo, con incarichi gestionali in otto società; precisavano che la articolata prova testimoniale finalizzata a dimostrare la conoscenza, in capo ai responsabili locali della RAGIONE_SOCIALE, della detenzione delle plurime partecipazioni societarie, era irrilevante perché non valeva a sminuire il disvalore insito nella posizione di un soggetto che, contemporaneamente all’espletamento di una prestazione lavorativa di responsabilità alle dipendenze del datore di lavoro, manifestava plurimi e differenti interessi occupando incarichi di gestione in diverse realtà societarie, in difetto di autorizzazione ed in un contesto allarmante di relazioni con ambienti delinquenziali nel settore dei cantieri navali di Palermo; concludevano, pertanto, che si era verificata una lesione irrimediabile del vincolo fiduciario che deve intercorrere tra le parti di un rapporto di lavoro.
Avverso la sentenza di secondo grado NOME COGNOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione affidato a sei motivi cui resisteva con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
Le parti depositavano memoria.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo il ricorrente eccepisce, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 cpc, l’omessa pronuncia sulla questione relativa alla tardività della contestazione di addebito, per non essersi pronunciata la Corte territoriale sulla tardività (e quindi sulla violazione del principio di immediatezza) della contestazione di addebito con cui RAGIONE_SOCIALE aveva avviato il procedimento disciplinare poi conclusosi con l’irrogazione della sa nzione espulsiva: questione sollevata nella fase sommaria di primo grado e poi coltivata, da ultimo, in sede di reclamo.
Con il secondo motivo si censura la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 cpc e degli artt. 2730 e 2733 cod. civ. in relazione all’art. 7 della legge n. 300 del 1970 e all’art. 66 del CCNL della Mobilità Area Contrattuale Attività Ferroviarie e Contratto del Gruppo F.S.I. del 16 dicembre 2016, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc; si deduce che la gravata sentenza era, altresì, viziata atteso che la tardività della contestazione di addebito avrebbe dovuto essere ritenuta sussistente dalla Corte territoriale alla luce di quanto ammesso da RFI nei precedenti gradi di giudizio perché esso ricorrente aveva ripetutamente osservato che i fatti in cui la controricorrente aveva individuato la giusta causa di recesso erano noti alla stessa da tempo risalente, con conseguente illegittimità della sanzione adottata per violazione del principio di immediatezza della contestazione.
Con il terzo motivo si obietta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2105 cc, dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970
e dell’art. 66 del CCNL Mobilità Area Contrattuale Attività Ferroviarie e Contratto del Gruppo FSI del 16 dicembre 2016, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che la previsione contenuta al punto 5.4 del Codice etico aziendale codificasse una regola di comportamento universalmente presente in ogni organizzazione di lavoro quale espressione del generale obbligo di fedeltà del lavoratore ai sensi dell’art. 2105 cc; si precisa che dalla contestazione di addebito era emerso che RAGIONE_SOCIALE si era limitata a contestare lo svolgimento di una seconda attività lavorativa, senza dimostrare che gli interessi economici del lavoratore collidessero con quelli aziendali, essendo le partecipazioni societarie di esso ricorrente afferenti a settori distinti da quello di RAGIONE_SOCIALE
Con il quarto motivo si lamenta la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 99, 112 e 115 cpc, in relazione agli artt. 2119 cc, 7 della legge n. 300 del 1970, 5 della legge n. 604/1966 e 2697 cc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, p er essere il gravato provvedimento viziato di ultrapetizione avendo la Corte distrettuale qualificato come ‘profilo dirimente’ la peculiare posizione rivestita da esso COGNOME all’interno delle società di cui possedeva iure hereditario quote di partecipazione, così ritenendo integrata la giusta causa da elementi che il datore di lavoro, invece, non aveva considerato rilevanti al tempo della contestazione di addebito atteso che non era stato mai dedotta la rilevanza sul piano disciplinare delle posizioni dal medesimo rivestite nelle citate società.
Con il quinto motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2119 cc, degli artt. 60, 61, 62 e 64 del CCNL Mobilità Area Contrattuale Attività Ferroviarie e Contratto del Gruppo FSI del 16 dicembre 2016, dell’art. 2106 c nonché dell’art . 18 co. 4 della legge n. 300 del 1970, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per non avere la Corte territoriale valutato il fatto che gli addebiti contestati avrebbero dovuto essere puniti, in virtù delle norme contrattuali collettive applicabili al rapporto di lavoro, con una ben più mite sanzione conservativa.
Con il sesto motivo il ricorrente si duole della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 cc e 5 della legge n. 604/1966, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per non avere la Corte distrettuale valutato che la società datrice di lavoro non aveva fornito in giudizio alcun elemento dimostrativo del danno sofferto, che avrebbe dovuto essere allegato e provato nella sua materialità, ai sensi dell’art. 64 del CCNL, ritenuta rilevante quale sostrato motivazionale del licenziamento.
I primi due motivi, da esaminare congiuntamente perché interferenti, sono infondati.
In primo luogo, deve rilevarsi che non sussiste il denunciato vizio di omessa pronuncia perché la Corte territoriale, avendo deciso nel merito i fatti di cui alla contestazione disciplinare, ha implicitamente rigettato l’eccezione di tardività della conte stazione stessa.
In secondo luogo, con riguardo alla dedotta violazione del principio di immediatezza della contestazione, va osservato che la gravata sentenza, lì dove è stato dato atto che la società aveva ‘una qualche consapevolezza’ delle circostanze delle partecipazio ni azionarie detenute dal RAGIONE_SOCIALE in varie società di famiglia, non si pone in contrasto con i principi di legittimità -secondo cui, in tema di licenziamento disciplinare, l’immediatezza della contestazione va intesa in senso relativo, dovendosi dare conto delle ragioni che possono cagionare il ritardo (quali il tempo necessario per l’accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell’impresa), con valutazione riservata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici (Cass. 23739/08; Cass. 16841/18; Cass. 14726/24)-, in quanto ciò che rileva è il definitivo accertamento e valutazione dei fatti da parte del datore di lavoro che, nel caso de quo , si è avuta solo con l’esame della ordinanza di custodia cautelare del GIP del Tribunale di Palermo del 24.4.2020, in relazione alla quale la contestazione disciplinare del 20.6.2020, emessa a seguito dei dovuti accertamenti in ordine allo svolgimento diretto di attività
imprenditoriali, senza autorizzazione e in ambienti delinquenziali, è sicuramente tempestiva.
Anche il terzo ed il quarto motivo, da scrutinare insieme per connessione logico-giuridica, sono infondati.
Premesso che la contestazione disciplinare concerne anche il profilo dello svolgimento di attività imprenditoriali costituenti una seconda attività lavorativa nel settore della cantieristica navale, come si evince dalla trascrizione integrale della contestazione disciplinare (cfr. ricorso da ultimo cpv pag. 4 al terzultimo cpv pag. 9), senza averne dato comunicazione ovvero ottenuto una specifica autorizzazione, con inevitabili riflessi sulla funzione rivestita dal dipendente negli enti diversi dalla datrice di lavoro, deve rilevarsi che l’obbligo di fedeltà, a carico del lavoratore subordinato, ha un contenuto più ampio di quello risultante dall’art. 2105 cc, dovendosi integrare con i principi di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 cc, sicché il lavoratore deve astenersi da qualsiasi condotta, anche extra-lavorativa o potenzialmente dannosa, che sia in contrasto con i doveri connessi al suo inserimento nella struttura e nella organizzazione dell’impresa o crei situazioni di conflitto con le finalit à e gli interessi della stessa, o sia comunque idonea a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto (Cass. n. 14176/2009; Cass. n. 8711/2017; Cass. n. 26181/2024).
Nel caso in esame, con un accertamento di merito adeguatamente motivato, la Corte territoriale ha ritenuto che il COGNOME, nelle società di cui possedeva quote sociali, svolgeva, altresì, un ruolo operativo attraverso incarichi gestionali e non era mero titolare di acquisti mortis causa , senza alcuna autorizzazione ovvero comunicazione a RAGIONE_SOCIALE così realizzandosi una giusta causa di recesso.
Né è ravvisabile un vizio di ultra-petizione, che si realizza quando il giudice pronunci oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dalle parti attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato (Cass. n. 455/2011, Cass. n. 18865/15; Cass. n. 9002/2018; Cass. n. 8048/2019), in quanto la valorizzazione
del profilo del ruolo assunto dal COGNOME nelle società (ruolo che, come si è detto, veniva in rilievo di riflesso allo svolgimento di altre attività lavorative) costituisce una argomentazione rafforzativa della violazione dell’obbligo di buona fede, nel se nso che, proprio per gli incarichi gestionali rivestiti, era maggiormente ravvisabile il dovere di comunicare o di chiedere alla società datrice di lavoro l’autorizzazione al loro svolgimento.
Anche il quinto ed il sesto motivo, tra loro connessi, sono infondati.
La Corte territoriale ha ritenuto sussistente la giusta causa del recesso, per la non tolleranza della prosecuzione della relazione lavorativa per la lesione irrimediabile del vincolo fiduciario che ne derivava, con un accertamento di merito congruamente motivato e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità.
Va ribadito il fondamentale principio affermato in sede di legittimità (per tutte, Cass. n. 5095/2011; Cass. n. 6498/2012) secondo cui la giusta causa di licenziamento, quale fatto “che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, è una nozione che la legge – allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e sindacabile in cassazione a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece,
una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli “standards”, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale.
La suddetta valutazione di sussistenza della giusta causa rileva anche per le contestate violazioni delle disposizioni contrattuali collettive (art. 64 lett. p del CCNL Mobilità Area Contrattuale Attività Ferroviarie e Contratto del Gruppo FSI del 16 dicembre 2016) in relazione alle quali, dai motivi di reclamo, come riportati nella gravata sentenza, avverso la pronuncia di primo grado, non si evince che vi siano state contestazioni in merito alla sussistenza di previsioni, della contrattazione collettiva che puniscano, in virtù di clausole generali, con sanzioni conservative l’inosservanza delle norme del codice etico; né risulta specificato se e come la specifica questione sia stata eventualmente esaminata dal primo giudice.
Le censure, infine, sulla sproporzione della misura irrogata sono inammissibili perché si verte in attività decisionale riservata al giudice di merito (Cass. n. 26010/2018) così come quelle sulla sussistenza del danno, previsto dalla contrattazione collettiva, che non sono pertinenti né in relazione alla nozione di giusta causa legale né con riguardo alla fattispecie del CCNL (64 lett. p).
Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 dicembre 2024