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Licenziamento per seconda attività: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione conferma il licenziamento per seconda attività di un dipendente di una società di trasporti. Questi svolgeva, senza autorizzazione, un’intensa attività imprenditoriale nel settore della cantieristica navale, con ruoli operativi e in un contesto allarmante. La Corte ha ritenuto irrimediabilmente leso il vincolo fiduciario, specificando che l’obbligo di fedeltà va oltre la mera non concorrenza e che la contestazione disciplinare, avvenuta dopo la piena conoscenza dei fatti emersi da un’indagine penale, era tempestiva. Il licenziamento per giusta causa è stato quindi giudicato legittimo.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento per Seconda Attività: Quando è Legittimo?

Il licenziamento per seconda attività è uno degli argomenti più delicati nel diritto del lavoro. Un dipendente può svolgere un altro lavoro? E se sì, a quali condizioni? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questi interrogativi, confermando la legittimità di un licenziamento per giusta causa inflitto a un lavoratore che, all’insaputa del suo datore di lavoro principale, gestiva complesse attività imprenditoriali.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda un dipendente di una grande azienda del settore trasporti, licenziato dopo che la società è venuta a conoscenza, tramite un’ordinanza di custodia cautelare emessa nei suoi confronti per reati gravi, della sua intensa attività imprenditoriale parallela.

Il lavoratore, infatti, era socio e ricopriva ruoli gestionali operativi in ben otto società attive nel settore della cantieristica navale. Tali attività venivano svolte:

* Senza alcuna comunicazione né autorizzazione da parte dell’azienda datrice di lavoro, in violazione del codice etico aziendale che imponeva tale richiesta.
* In un contesto definito ‘allarmante’ per le relazioni con ambienti delinquenziali emerse nel corso delle indagini penali.

Il lavoratore ha impugnato il licenziamento, sostenendo che la contestazione fosse tardiva (non immediata) e che le sue attività non fossero in concorrenza diretta con quelle del datore di lavoro.

Il Tribunale e la Corte d’Appello hanno entrambi respinto le sue richieste, ritenendo che la condotta avesse irrimediabilmente compromesso il vincolo fiduciario. Il caso è quindi giunto dinanzi alla Corte di Cassazione.

Le Motivazioni della Cassazione sul licenziamento per seconda attività

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del lavoratore, ritenendo infondati tutti i motivi di doglianza e confermando la piena legittimità del licenziamento. Le motivazioni si concentrano su due principi cardine del diritto del lavoro.

Il Principio di Immediatezza della Contestazione

Il lavoratore lamentava che l’azienda fosse a conoscenza da tempo delle sue partecipazioni societarie e che, quindi, la contestazione disciplinare fosse tardiva. La Corte ha chiarito che il principio di immediatezza va inteso in senso relativo. Il termine per la contestazione non decorre da quando il datore di lavoro ha un vago sospetto, ma da quando acquisisce una conoscenza piena e precisa dei fatti nella loro completezza e gravità.

Nel caso specifico, sebbene l’azienda potesse avere una ‘qualche consapevolezza’ generica delle partecipazioni (peraltro ereditate), è stato solo con l’ordinanza di custodia cautelare che ha avuto un quadro completo del ruolo operativo attivo del dipendente e del contesto problematico in cui operava. La reazione dell’azienda, avvenuta poco dopo, è stata quindi considerata tempestiva.

L’Obbligo di Fedeltà e il Vincolo Fiduciario

Questo è il cuore della decisione. La Corte ha ribadito che l’obbligo di fedeltà (art. 2105 c.c.) ha un contenuto molto più ampio della semplice non concorrenza. Esso impone al lavoratore di astenersi da qualsiasi condotta, anche extra-lavorativa, che possa:

* Creare un conflitto di interessi, anche solo potenziale, con l’azienda.
* Ledere l’immagine o gli interessi del datore di lavoro.
* Compromettere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, ovvero quel rapporto di fiducia essenziale per la prosecuzione del rapporto.

Svolgere un’attività imprenditoriale complessa, con ruoli gestionali, senza chiedere l’autorizzazione prevista dal codice etico, costituisce di per sé una grave violazione. Il fatto che ciò avvenisse in un contesto di relazioni con ambienti delinquenziali ha aggravato la posizione del dipendente, rendendo la prosecuzione del rapporto di lavoro intollerabile per l’azienda.

Conclusioni

L’ordinanza in esame offre un importante insegnamento: il licenziamento per seconda attività non è legato solo alla concorrenza diretta, ma alla violazione del più ampio dovere di correttezza e buona fede. Un dipendente che intraprende attività esterne, soprattutto se complesse e potenzialmente rischiose per l’immagine aziendale, ha il dovere di comunicarlo e, se previsto, di chiedere autorizzazione. Omettere tale comunicazione, a prescindere dalla natura dell’attività, può incrinare in modo insanabile la fiducia del datore di lavoro e giustificare un licenziamento per giusta causa.

Svolgere una seconda attività non concorrenziale può giustificare il licenziamento?
Sì, può giustificarlo. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’obbligo di fedeltà del lavoratore va oltre il semplice divieto di concorrenza. Anche un’attività non concorrenziale, se svolta senza l’autorizzazione richiesta e in modo da ledere il vincolo di fiducia con il datore di lavoro (ad esempio, per l’impegno richiesto o per il contesto in cui si svolge), può costituire una giusta causa di licenziamento.

Da quando inizia a decorrere il tempo per la contestazione disciplinare?
Il tempo per la contestazione disciplinare (principio di immediatezza) non decorre da un semplice sospetto, ma dal momento in cui il datore di lavoro ha una conoscenza piena, completa e ragionevolmente certa dei fatti. Nel caso di specie, la piena consapevolezza della gravità della condotta del dipendente è emersa solo dopo aver esaminato un’ordinanza di custodia cautelare, e non da una precedente e generica conoscenza delle sue partecipazioni societarie.

Il codice etico aziendale è vincolante per il dipendente?
Sì. La violazione delle disposizioni di un codice etico aziendale che impongono, ad esempio, di richiedere l’autorizzazione per svolgere attività extra-lavorative, costituisce un inadempimento disciplinarmente rilevante. Nel caso analizzato, la mancata richiesta di autorizzazione è stata considerata un elemento fondamentale nella valutazione della gravità della condotta del lavoratore e ha contribuito a giustificare il licenziamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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