Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34557 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34557 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 187-2022 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 243/2021 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 18/10/2021 R.G.N. 34/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
08/11/2024 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
Oggetto
Licenziamento
ex lege n. 92 del 2012
R.G.N. 187/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 08/11/2024
CC
La Corte d’appello di Brescia ha accolto il reclamo della RAGIONE_SOCIALE e, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda di NOME COGNOME volta alla declaratoria di illegittimità del licenziamento per motivo oggettivo intimatogli il 25 luglio 2019.
La Corte territoriale ha premesso che NOME COGNOME lavorava alle dipendenze della società dal 2008, con inquadramento quale impiegato di 1° livello ex CCNL Commercio, insieme al collega COGNOME (anch’egli destinatario di lettera di licenziamento) e alla co llega COGNOME, rimasta in forza all’azienda con orario part time; che con lettera del 25.7.2019 la società ha intimato il licenziamento sulla base della seguente motivazione: ‘ la nuova strategia di mercato della RAGIONE_SOCIALE -che, come le è noto, prevede la vendita dei prodotti del marchio esclusivamente tramite la rete di retail ed il canale e-commerce -ha notevolmente ridotto la necessità dell’esistenza dell’ufficio centrale dedito appositamente agli acquisti, cui Ella era adibito le funzioni di tale ufficio si sono totalmente ridotte da rendere del tutto antieconomico il mantenimento dell’assetto , tanto che le stesse sono in effetti già state riassorbite dalla direzione aziendale che si avvale della collaborazione di una sola dipendente la quale ha peraltro accettato la riduzione del proprio orario lavorativo, con conseguente riduzione dei costi. Oggi l’azienda non è più in grado di avvalersi di un ufficio i cui oneri -rispetto ad un bilancio aziendale che peraltro evidenzia perdite significative -sono decisamente importanti ‘.
La Corte di merito ha dato atto della produzione, da parte della società e in fase di opposizione, dei ‘bilanci previsionali relativi agli anni 2018 e 2019’ nonché dei relativi ‘bilanci contabili’ approvati dall’assemblea e depositati presso la camera di commercio’ ed ha ritenuto che gli stessi ‘seppur prodotti dalla reclamante solo nel giudizio di primo grado e in parte anche nel presente grado unitamente alle note scritte po(tessero) essere presi in considerazione, anche ai sensi dell’art. 437 cpc, stante il carattere meramente integrativo rispetto alla precedente produzione’. Ha
accertato, in base ai ‘bilanci di dettaglio’ e alle deposizioni testimoniali, il progressivo incremento del canale di vendita tramite la rete dei negozi monomarca, il cui fatturato ha raggiunto nel 2019 il 70% del complessivo fatturato. Al fine del nesso causale tra la modifica organizzativa e la posizione del sig. COGNOME ha rilevato che l’attività svolta da quest’ultimo nell’ufficio acquisti comprendeva il rapporto con i fornitori e con il ‘reparto stile’ per l’affidamento del campionario, la verifica della marginalità dei prezzi, l’analisi dei dati di vendita, di redditività e delle giacenze di magazzino; che tali compiti riguardavano le vendite tramite multibrand e negozi monomarca; che la nuova strategia di vendita aveva comportato una diversa organizzazione dei compiti dell’ufficio acquisti, redistribuiti tra l’ufficio stile e prodotto, il responsabile delle vendite sig. COGNOME e la direzione; che nel nuovo contesto era antieconomico il mantenimento dell’ufficio acquisiti nella originaria consistenza, tanto più in ragione dell’esigenza della società di contenimento dei costi per far fronte ad una situazione di crisi dovuta alla drastica riduzione dei ricavi dalle vendite (tanto da aver dovuto licenziare altri dipendenti, dopo COGNOME e COGNOME); che la società non aveva effettuato nuove assunzioni nell’ufficio acquisti, ove era rimasta in forza la COGNOME con riduzione dell’orario, coadiuvata occasionalmente da a ltra collega, pure con orario a tempo parziale, già dipendente della società e addetta all’ufficio prodotto; neppure vi erano state nuove assunzioni nell’ufficio stile -prodotto (che aveva assorbito parte delle attività dell’ufficio acquisti), eccetto NOME COGNOME assunto nel settembre 2019 con le diverse mansioni di web designer, e NOME COGNOME assunta nella stessa data con contratto a tempo determinato per sostituire una dipendente assente.
La Corte ha sottolineato come i motivi di licenziamento accertati in base all’istruttoria svolta non fossero diversi rispetto a quelli enunciati nella lettera del 25 luglio 2019.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME con otto motivi. La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., nullità della sentenza per violazione dell’art. 101 c.p.c. e degli artt. 421 e 437, comma 2, c.p.c. Il ricorrente premette che la Corte d’appello, con decreto del 6.9.2 021, ha disposto lo svolgimento dell’udienza in forma scritta (ai sensi dell’art. 1, comma 1 del decreto-legge n.2 del 2021 che ha prorogato lo stato di emergenza sanitaria da Covid) fissando la data del 7.10.2021 e disponendo che l’udienza ‘sarà sostitui ta dal deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni’, da depositare entro cinque giorni prima dell’udienza; rileva che la società ha prodotto, in allegato alle note scritte, nuovi documenti e, segnatamente, il bilancio 2020, con relativa nota integrativa e relazione sulla gestione, nonché il verbale di approvazione da parte dell’assemblea dell’8.4.2021; osserva che la Corte d’appello (non solo ha utilizzato documenti prodotti per la prima volta col reclamo, cioè i bilanci dal 2008 al 2017, le note integrative, i verbali di approvazione e il LUL novembre 2020), ma ha acquisito e utilizzato la documentazione prodotta in allegato alle citate note scritte sostitutive dell’udienza senza consentire alcun contraddittorio sulla stessa e richiamando erroneamente i poteri di cui all’art. 437 cpc.
Con il secondo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione degli artt. 421 e 437 c.p.c., anche in relazione all’art. 2697 c.c. per avere la Corte d’appello attribuito rilevanza ai documenti tardivamente prodotti (sia in allegato al reclamo e sia unitamente alle note scritte) e ai ‘bilanci contabili di dettaglio’ formati dalla stessa società, aventi natura provvisoria e privi di valore ufficiale.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 324
cpc, per non avere la Corte di merito rilevato che i passaggi motivazionali sulla inidoneità ed anzi irrilevanza della documentazione ex adverso prodotta e sull’esistenza di prova documentale rappresentato dal sito web della RAGIONE_SOCIALE e comprovanti fatti ad essa contrari e contraddicenti le deduzioni svolte nel presente giudizio non erano stati specificamente impugnati dalla controparte, così come la individuazione, da parte del Tribunale di Bergamo, nell’anno 2017 il momento della fase finale del passaggio alla vendita monomarca.
Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 3 e 5 della legge n. 604 del 1966 e dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte di merito dichiarato la legittimità del licenziamento facendo leva, anche, sull’andamento economico negativo della società che non era compreso tra i motivi posti a base della decisione di recesso, correlata dalla datrice unicamente alla nuova organizzazione del lavoro.
Con il quinto motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 e 5 della legge n. 604 del 1966, dell’art. 2735 cc, in relazione all’art. 116 cpc, per avere la Corte di appello interpretato e rimodellato le motivazioni del licenziamento, modificando unilateralmente l’obiettivo prefisso dalla società datrice di lavoro introducendo argomenti non espressi nella lettera di licenziamento.
Con il sesto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 604 del 1966, come modificato dall’art. 1, comma 37 della legge n. 92 del 2012, per avere la sentenza d’appello valut ato la legittimità del licenziamento sulla base di ragioni diverse da quelle indicate nella lettera del luglio 2019, limitate alla adozione di una nuova strategia di mercato che prevede la vendita dei prodotti solo tramite negozi di proprietà o canale e-commerce, considerando invece anche le perdite di bilancio e quindi l’esigenza di riduzione dei costi; inoltre, per avere la Corte di merito giudicato dirimente la maggiore redditività delle vendite dirette monomarca rispetto alle vendite multibrand , che non
costituiva la ragione del recesso, legata unicamente alla riorganizzazione aziendale.
Con il settimo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. e in via subordinata, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e perché viziata da affermazioni inconciliabili. Posto che la nuova strategia di mercato puntava principalmente sulle vendite nei negozi monomarca e che il Tami, come ricostruito dai giudici di appello, si occupava sia delle vendite tramite negozi multibrand e sia delle vendite nei negozi monomarca, non si comprenderebbe la motivazione del licenziamento.
Con l’ottavo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. per non avere i giudici di appello motivato sulla impossibilità di repêchage.
Il primo motivo non è fondato.
La censura che concerne i documenti prodotti per la prima volta col reclamo (i bilanci dal 2008 al 2017, note integrative, verbali di approvazione e il LUL novembre 2020) è inammissibile atteso che il ricorrente non ha allegato di aver sollevato, nel giudizio di reclamo, la relativa questione, con conseguente novità della stessa (v. Cass. n. 23675 del 2013; n. 20703 del 2015; n. 18795 del 2015; n. 11166 del 2018). Inoltre, i suddetti documenti sono stati acquisiti ex art. 437 cpc, con la conseguenza che il relativo esercizio di tali poteri, da parte dei giudici di merito, è insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 22630/2016 ‘ Nel rito del lavoro, l’acquisizione di nuovi documenti o l’ammissione di nuove prove da parte del giudice di appello rientra tra i poteri discrezionali allo stesso riconosciuti dagli artt. 421 e 437 c.p.c., e tale esercizio è insindacabile in sede di legittimità anche quando manchi un’espressa motivazione in ordine alla indispensabilità o necessità del mezzo istruttorio ammesso, dovendosi la motivazione ritenere implicita nel provvedimento adottato’).
Quanto alla dedotta violazione del contraddittorio, deve in linea generale affermarsi che, ove la decisione della causa sia
avvenuta nella forma della c.d. ‘trattazione cartolare’ mediante scambio di sole note scritte, contenenti istanze e conclusioni, senza comparizione successiva in udienza, secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 1, del decreto legge n. 2 del 2021 che ha prorogato lo stato di emergenza sanitaria da Covid fino al 30 aprile 2021, è nulla la decisione della causa che sia fondata su documenti prodotti con le citate note, senza che sugli stessi sia stata assicurata alla parte appellante o reclamante la possibilità di controdedurre, in ossequio al principio del contraddittorio (in tal senso v. Cass. n. 31960 del 2022). Occorre, tuttavia, rilevare che nel caso in esame la decisione dei giudici di appello non si basa sui documenti allegati alle note scritte (bilancio 2020, con relativa nota integrativa e relazione sulla gestione, nonché verbale di approvazione da parte dell’assemblea dell’8.4.2021) bensì sui ‘bilanci di dettaglio’ dal 2008 al 2019, depositati nel giudizio di opposizione, espressamente richiamati dalla sentenza impugnata, i cui dati sono stati considerati confermati ‘dall’istruttoria orale svolta nel giudizio di primo grado’.
Il secondo motivo di ricorso è infondato, per le ragioni già espresse, quanto al rilievo di tardività della produzione dei documenti utilizzati dalla Corte d’appello. Parimenti infondata è la censura di inidoneità, a fini probatori, dei ‘bilanci contabili di dettaglio’, avendo la decisione impugnata precisato che i dati desumibili da tali documenti erano ‘coerenti e in linea con quelli ufficiali dei bilanci approvati dall’assemblea e depositati presso la camera di commercio’, prodotti dalla società col e am messi in ragione del ‘carattere meramente integrativo rispetto alla precedente produzione’), nonché confermati dall’istruttoria orale. La sentenza d’appello, quindi, non ha fatto leva sui documenti nuovi allegati alle note scritte e sui quali non risulta svolto il contraddittorio, bensì su documenti ritualmente acquisiti agli atti e valutati unitamente alle restanti risultanze probatorie, come rientra nella facoltà dei giudici di merito.
Il terzo motivo è anche esso infondato.
E’ opportuno premettere che, come costante orientamento di questa Corte (per tutte, cfr. Cass. n. 30728/2022; Cass. n. 10760/2019; Cass. n. 24783/2018), il giudicato interno non si determina sul fatto ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza rappresentata da fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia. Inoltre, è stato precisato che, in tema di appello, la mancata impugnazione di una o più affermazioni contenute nella sentenza può dare luogo alla formazione del giudicato interno soltanto se le stesse siano configurabili come capi completamente autonomi, risolutivi di questioni controverse che, dotate di propria individualità ed autonomia, integrino una decisione del tutto indipendente, e non anche quando si tratti di mere argomentazioni, oppure della valutazione di presupposti necessari di fatto che, unitamente agli altri, concorrano a formare un capo unico della decisione (Cass. n. 40276/2021, Cass. n. 20951/2022).
Nella fattispecie, deve rilevarsi che i passaggi motivazionali della pronuncia di prime cure, che secondo l’odierno ricorrente erano passati in giudicato in quanto non specificamente impugnati dalla controparte, in realtà costituiscono mere argomentazioni e circostanze, che non si risolvono in questioni indipendenti aventi una propria individualità ed autonomia, le quali restano implicate dall’impugnazione della pronuncia di merito che coinvolge necessariamente anche tutto il ragionamento che la sostiene.
Parimenti infondati sono i motivi dal quarto al settimo.
La Corte d’appello ha interpretato la lettera di licenziamento e, quindi, la motivazione posta a base della decisione di recesso, come avente carattere complesso e tale da includere: la nuova strategia di mercato (di vendita tramite la rete di retail e il canale e-commerce), quale fattore di riduzione e parziale svuotamento dei compiti dell’ufficio acquisti; il riassorbimento di tali residui compiti da parte della direzione aziendale, con la
collaborazione (part time) della dipendente COGNOME; la difficoltà della società, per le perdite significative registrate, di tenere in piedi un ufficio acquisti, come prima strutturato ed avente costi importanti.
In coerenza con tale lettura, la Corte territoriale ha analizzato e valutato la complessiva causale addotta a giustificazione del licenziamento (‘Lo svuotamento delle funzioni dell’ufficio acquisti, da un lato, e la redistribuzione dei relativi compiti prima svolti tra il responsabile delle vendite, l’ufficio stile e prodotto e la direzione dall’altro, hanno reso antieconomico mantenere in vita l’ufficio nella sua precedente composizione. Ciò tanto più che, come si legge nella lettera di licenziamento, la società non stava attraversando un periodo positivo dal punto di vista economico…’). La censura oggetto del motivo in esame non coglie tale percorso interpretativo e motivazionale e quindi non si confronta adeguatamente con esso, assumendo apoditticamente le ragioni di crisi come estranee alla decisione di licenziamento, senza neanche denunciare la violazione dei canoni ermeneutici nell’esegesi operata dalla Corte d’appello.
Contrariamente a quanto assume il ricorrente, la sentenza d’appello non ha individuato la ragione del recesso nella maggiore redditività delle vendite dirette monomarca rispetto alle vendite multibrand , ma ha ampiamente ricostruito ed illustrato gli effetti della nuova strategia di mercato, attraverso l’implementazione delle vendite nei negozi monomarca, in termini di semplificazione della fase di trattativa con i fornitori che ‘in precedenza rappresent ava la parte più impegnativa (per) l’ufficio acquisti’; ha rilevato come ‘l’ufficio acquisti non provvede più a trattare i prezzi dei prodotti con i fornitori né a effettuare previsioni di vendita ma si limita a registrare gli ordini sulla base delle indicazioni del responsabile delle vendite dell’ufficio stile e prodotto’. Il che dà conto del carattere non più indispensabile, e neppure funzionale alla nuova organizzazione aziendale, delle mansioni prima svolte dal Tami.
Da ultimo, va specificato, con particolare riguardo alla censura di cui al settimo motivo (proposta in via subordinata), che, nel processo civile, l’obbligo di motivazione previsto dall’art. 132,
secondo comma, n. 4, c.p.c. deve ritenersi violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc.
Nella fattispecie in esame, invece, da tutto il contesto della gravata pronuncia, per quanto sopra detto, è agevole individuare il criterio logico che ha condotto i giudici di seconde cure alla formazione del loro convincimento, mediante idonea esplicitazione del quadro probatorio ed accurata disamina logico-giuridica che abbiano lasciato trasparire il percorso argomentativo seguito.
L’ottavo motivo di ricorso non è fondato.
Ribadito come l’impossibilità di repêchage sia elemento costitutivo del legittimo esercizio del potere di recesso, deve rilevarsi come i giudici di appello si siano fatti carico dell’onere di prova che sul punto compete a parte datoriale ed hanno dato atto di come le mansioni già svolte dal Tami fossero state redistribuite tra i dipendenti già in servizio e i membri della direzione aziendale e di come nessuna successiva assunzione, in mansioni compatibili col profilo professionale del predetto, fosse intervenuta; essendovi invece prova del coevo licenziamento del sig. COGNOME addetto, insieme al COGNOME, all’ufficio acquisti.
Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per
compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’8 novembre