Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5628 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 5628 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 03/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 18256-2022 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo STUDIO LEGALE RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 8/2022 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 28/01/2022 R.G.N. 53/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
03/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 18256/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 03/12/2024
CC
RILEVATO CHE
La Corte d’Appello di Campobasso, con sentenza n. 8/2022, ha confermato la decisione del Tribunale di Campobasso, che aveva rigettato l’impugnativa proposta dal dott. NOME COGNOME avverso il licenziamento intimatogli il 2 agosto 2016 da RAGIONE_SOCIALEgià Fondazione di Ricerca e Cura Giovanni Paolo II), motivato da una riorganizzazione aziendale volta alla soppressione del ruolo di Direttore Amministrativo.
La Corte territoriale ha ritenuto provata la legittimità del provvedimento, escludendo la natura ritorsiva e discriminatoria del recesso e riconoscendo la giustificazione oggettiva basata sulla riorganizzazione aziendale, consistita nella necessità di sopprimere la direzione per far confluire le attività connesse presso la direzione generale; ha ritenuto, inoltre, che la consulenza assegnata ad un esterno per la gestione del personale non comprovasse la insussistenza della ragione organizzativa, considerato che al consulente erano state assegnate solo alcune delle funzioni attribuite alla ricorrente, peraltro con un contratto a termine.
Per la cassazione della predetta sentenza propone ricorso il dott. NOME COGNOME articolando tre motivi di impugnazione, cui resiste RAGIONE_SOCIALE con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie. Al termine della camera di cons iglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., il ricorrente lamenta la violazione articolo dell’art. 111 costituzione, degli all’art. 132 c.p.c, nonché la violazione dell’art. 115 c.p.c. e la nullità della sentenza per omesso esame di fatti decisivi, deducendo che la Corte d’Appello non avrebbe considerato il verbale del Consiglio di
Amministrazione del 7 aprile 2016, dal quale emergevano dati che smentivano le criticità economiche indicate a giustificazione del licenziamento, provando l’insussistenza di una reale riorganizzazione aziendale e dimostrando la pretestuosità della soppressione del ruolo.
Con il secondo motivo , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e 5 , c.p.c., il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c., comma 1, n. 4; dell’articolo 115 c.p.c.; del l’art. 15 della L. n. 300 del 1970, dell’art. 1345, della Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 54 del 2006, in tema di parità di trattamento nell’ambiente di lavoro, della Direttiva n. 78 del 2000 recepita in Italia dal Decreto Legislativo n. 216 del 2003.
Avrebbe errato la corte omettendo di valutare adeguatamente il carattere discriminatorio del licenziamento subito dal ricorrente, in ragione della sua vicinanza politica al Presidente della Regione Molise, limitandosi a ritenere che la sussistenza di una giustificazione formale escludesse la possibilità di un intento discriminatorio.
Avrebbe, ancora, errato la corte equiparando nella motivazione il licenziamento ritorsivo al licenziamento discriminatorio, poiché solo per il primo è richiesta la prova del motivo unico e determinante, mentre per il secondo è sufficiente dimostrare un trattamento deteriore legato all’appartenenza a una categoria protetta, a prescindere dall’event uale presenza di una giustificazione formale.
Per tal via la corte avrebbe anche violato il regime probatorio in materia di discriminazioni, che una volta che il lavoratore fornisca elementi indiziari che suggeriscano la discriminazione (art. 28 D.Lgs. 150/2011) comporta l’onere della prova liberatoria a carico del datore; nel caso di specie gli indizi sottovalutati sarebbero stati la coincidenza temporale tra il
licenziamento e la ripresa dei contrasti politici con la dirigenza datoriale.
Infine la corte avrebbe omesso l’esame di circostanze che rendevano plausibile la natura discriminatoria del licenziamento, come il suo isolamento nell’ambiente lavorativo dopo il ritorno dall’aspettativa politica ignorando le prove testimoniali offerte dal ricorrente, limitandosi a riaffermare la legittimità della riorganizzazione aziendale.
Con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si denuncia la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., nonché della normativa contrattuale collettiva applicabile al rapporto di lavoro (CCNL Dirigenza sanitaria, professionale, tecnica e amministra) e degli artt. 40, comma 9, 27, 28 e 29 del CCNL 9.6.2000 SPTA (normativa sulla dirigenza sanitaria, professionale, tecnica e amministrativa).
Avrebbe errato la Corte d’Appello ritenendo che la soppressione della posizione di Direttore Amministrativo giustificasse il licenziamento del ricorrente, senza considerare l’autonomia del contratto a tempo indeterminato rispetto all’incarico dirigenziale a termine, che avrebbe imposto al datore di lavoro di assegnare al dirigente un altro incarico tra quelli previsti dalla normativa contrattuale.
In particolare, osserva il ricorrente, richiamando la disciplina collettiva, che la mancata conferma dell’incarico dirigenziale non estingue il rapporto di lavoro, salvo il caso di recesso per giusta causa o per gravi responsabilità dirigenziali (art. 30, 29 e 35 CCNL) e, segnatamente, in base all’art. 30 CCNL 3.11.2005, il dirigente non confermato in un incarico deve essere assegnato ad altro incarico compatibile.
Il ricorso è infondato
4.1. E’ inammissibile il primo motivo di ricorso con cui il ricorrente, dolendosi promiscuamente di violazioni di legge,
errori processuali e vizi di motivazione (modalità non rispettosa del canone di specificità dei motivi di impugnazione, cfr. Cass. SS.UU. n. 26242 del 2014; Cass. n. 14317 del 2016), contesta l’effettività della riorganizzazione dolendosi dell’omesso esame del verbale del Consiglio di Amministrazione del 7 aprile 2016 e del piano aziendale.
Ed infatti, deduce il vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., trascurando di considerare che la disposizione non può essere evocata, ai sensi dell’art.348 ter, u.c., c.p.c., nel caso in cui la sentenza di appello confermi la decisione di primo grado (cfr. Cass. n. 23021 del 2014); in tal caso il ricorrente, per evitare l’inammissibilità del motivo , deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v., ex multis, Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 20944 del 2019; Cass. n. 268 del 2021; Cass. n. 29002 del 2021; Cass. n. 25027 del 2021).
Il ricorrente, in particolare, sollevando il problema dell’omesso esame di documento suddetto che avrebbe smentito la necessità di una riorganizzazione, rivelando un andamento positivo, propone una diversa valutazione delle prove documentali rispetto a quella fornita (concordemente) dai giudici di primo grado nella globale valutazione della vicenda.
D’altra parte, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, il travisamento del contenuto oggettivo della prova può essere fatto valere unicamente attraverso l’impugnazione per revocazione, qualora ricorrano i presupposti dell’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre se il vizio lamentato attiene alla lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, lo stesso deve essere dedotto ai sensi dell’art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c., solo in presenza di un’omissione totale o di un’erronea valutazione delle
risultanze istruttorie tale da determinare una decisione priva di fondamento logico-giuridico (Cass. SS.UU. n. 5792 del 2024). Né, pur deducendo la violazione dell’art. 115 c.p.c., il ricorrente riporta le richieste probatorie non ammesse, o dimostra che l’omessa considerazione del documento avrebbe determinato un esito decisivo della controversia (Cass. n. 11457 del 2007; Cass. n. 16214 del 2019).
La censura, in definitiva, si fonda su una diversa valutazione delle scelte imprenditoriali del datore di lavoro, che rientra nella discrezionalità aziendale e non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il caso in cui si dimostri che le motivazioni addotte siano meramente pretestuose o discriminatorie (Cass. n. 7217 del 2021) e si rivela non conforme alla giurisprudenza di questa corte che, anche a Sezioni unite, ha ribadito l’inammissibilità di censure che “sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione”, travalicando “dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 c.p.c., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti” (cfr. Cass. SS.UU. n. 33476 del 2019 e n. 33373 del 2019)
4.2. Il secondo motivo è del pari infondato. La sentenza impugnata, argomentando sulla giustificatezza del recesso da parte della Fondazione, così come accertata già dal primo giudice, ha correttamente escluso la possibilità di ravvisare nel caso di specie un licenziamento ritorsivo, per mancanza di prova del motivo illecito determinante ex art. 1345 c.c..
La doglianza in esame, in caso di cd. doppia conforme, richiama con inammissibile promiscuità le censure contenute sia nel n. 3)
che nel n. 5) del comma 1 dell’art. 360 c.p.c.. per dolersi sostanzialmente di errores in procedendo e, comunque, si sottrae al rispetto dei principi di specificità del ricorso per cassazione.
Ed infatti pur dolendosi che la corte non abbia esaminato gli specifici motivi di reclamo con i quali sottoponeva la natura discriminatoria per ragioni politiche del licenziamento, non riproduce nel ricorso la parte dell’atto di reclamo ove tale censura fu concretamente sottoposta, semplicemente limitandosi a richiamarla, in contrasto con l’insegnamento di questa corte che ha stabilito che ‘In tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso’ (SS.UU. Cass. n. 34469del 2019, sulla scorta di Cass. SS.UU. n. 7701 del 2016).
4.3. Infine è infondato il terzo motivo di ricorso con il quale il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., nonché dell’art. 40 del CCNL 8/6/2000, sostenendo che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che la soppressione della funzione dirigenziale ricoperta escludesse il diritto del dirigente ad essere ricollocato in altro incarico, nonostante tale diritto fosse previsto dal contratto collettivo.
Tale censura è priva di fondamento. La Corte d’Appello ha correttamente interpretato il contratto dirigenziale, escludendo che accanto ad esso coesistesse un distinto rapporto di lavoro a tempo indeterminato, e ha accertato che la cessazione dell’incarico è avvenuta per giustificato motivo oggettivo, ritenendo che l’esigenza organizzativa sottesa alla soppressione del ruolo dirigenziale costituisse una motivazione adeguata e legittima alla risoluzione del rapporto.
Il ricorrente, formulando la censura in esame, omette di trascrivere il testo del contratto di lavoro a tempo indeterminato e della lettera di incarico dirigenziale triennale, che pure allega nei punti 7 e 9 del ricorso. Tale omissione comporta un difetto di autosufficienza del motivo, in contrasto con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito sono inammissibili se il ricorrente si limita a richiamarli genericamente senza trascriverli e senza indicarne la precisa collocazione nel fascicolo processuale (Cass. SS.UU. n. 34469 del 2019; Cass. SS.UU. n. 7701 del 2016).
Quanto poi alla violazione dell’invocato CCNL Dirigenza Sanitaria, Professionale, Tecnica e Amministrativa, la cui applicazione al rapporto è pure contestata dalla Fondazione resistente, il ricorrente, che si duole della violazione, riporta poi (pag. 27) una norma contrattuale che ha un tenore non sovrapponibile alla vicenda in esame, in quanto relativa all’ipotesi di revoca dell’incarico o mancata conferma ( caso in cui il dirigente è mantenuto in servizio con altro incarico), mentre nel caso di specie pacificamente si verte in un caso di riorganizzazione dell’att ività, a fronte della quale la Corte d’appello correttamente ha osservato ‘È pur vero che, scaduto il triennio di durata dell’incarico, non sarebbe venuto meno il rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la Fondazione, essendo, tuttavia, evidente che al Lastoria, proprio per la posizione apicale rivestita, l’incarico non poteva che essere rinnovato, non evincendosi dall’organigramma prodotto in atti e dallo stesso Piano aziendale 2015-2018 che vi fossero all’interno dell’ente posizioni assimilabili a quella del ricorrente. Se ne desume che la riorganizzazione aziendale attuata all’interno della Fondazione non poteva che investire, anche in ragione
dell’ottica di riduzione dei costi che l’aveva ispirata, il rapporto di lavoro a tempo indeterminato del Lastoria’ .
A fronte di tali puntuali osservazioni, con le quali la doglianza non si confronta, non deducendo con precisione in che modo e con quali argomentazioni la Corte d’Appello avrebbe violato la normativa contrattuale collettiva invocata, il ricorso si traduce nella formulazione in termini generici e assertivi di una diversa valutazione rispetto a quella, correttamente argomentata, fornita dalla corte.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio, il 3 dicembre 2024
La Presidente Dott.ssa NOME COGNOME