Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20508 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 20508 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 14310-2021 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2692/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/11/2020 R.G.N. 1360/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
24/04/2024 dal AVV_NOTAIO Dott. COGNOME.
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 24/04/2024
CC
RILEVATO CHE
Nella gravata sentenza si legge che NOME COGNOME, dipendente di RAGIONE_SOCIALE con mansioni di portalettere presso il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE con rapporto a tempo determinato, aveva impugnato una serie di contratti a termine e il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con una prima pronuncia n. 4795/02, aveva dichiarato la nullità del termine apposto al primo contratto stipulato per il periodo 17.2.98/30.4.1998, con conseguente riammissione in servizio e obbligo di corrispondere le retribuzioni dal 24.3.2003.
La Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza n. 6077/09, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva accertato la validità del primo contratto e dichiarato la nullità del termine apposto al secondo (periodo 22.6.1998/30.9.1998) con le relative conseguenze.
NOME, nelle more, era stata riammessa in servizio, con le medesime mansioni per le quali era stata assunta, sino al 7.7.2017 quando la Corte di cassazione, con la sentenza n. 15208/2017, aveva cassato la decisione di secondo grado con rinvio alla Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE, dichiarando la legittimità dei due contratti. Nel frattempo, nel 2014, in costanza del rapporto di lavoro, la dipendente era stata trasferita presso il CDP di Fiumicino.
All’esito del giudizio di rinvio la Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza del 10.9.2018, ha dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato dal 20.10.98 al 30.1.99, ordinando la riammissione in servizio della lavoratrice e dichiarando la esistenza di un unico rapporto dal 20.10.98: tale sentenza è divenuta definitiva.
La società aveva invitato, pertanto, la COGNOME a presentarsi nel posto di lavoro indicato nel contratto dichiarato nullo (RAGIONE_SOCIALE presso il RAGIONE_SOCIALE), dove è stata riammessa in servizio e, successivamente, in base alle norme di cui all’Accordo con le OOSS del 14.2.2014, è stata trasferita dove erano disponibili i posti e, cioè, presso il RAGIONE_SOCIALE, in Emilia-RAGIONE_SOCIALEgna, luogo più vicino alla originaria sede di lavoro.
Non essendosi presentata la COGNOME presso la nuova sede lavorativa, attesa la assenza ingiustificata dal 24.8.2018 sino al 10.1.2019, veniva licenziata, per giusta causa, per assenza ingiustificata dal servizio.
Impugnato il recesso, il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, sia in fase sommaria che in sede di opposizione ex lege 92 del 2012, ha respinto le domande della lavoratrice.
La Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza oggi impugnata, ha confermato la pronuncia di prime cure rilevando la correttezza dell’operato di RAGIONE_SOCIALE e precisando che il luogo dove la COGNOME doveva essere riammessa in servizio non era Fiumicino, ove era stata trasferita nelle more del contenzioso, ma RAGIONE_SOCIALE, originaria sede di lavoro del contratto dichiarato nullo, essendo il trasferimento stato travolto dalle pronunce giudiziarie susseguitesi che avevano dichiarato la legittimità dei primi due contratti di lavoro, senza che fosse ipotizzabile alcuna violazione del principio del giudicato; ha poi ritenuto la Corte distrettuale che la contestazione dell’addebito era stata tempestiva e legittimi sia il disposto trasferimento che l’adottato licenziamento.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME affidato a quattro motivi cui ha resistito con controricorso l’intimata società.
Le parti hanno depositato memorie.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in tema di giudicato esterno ex artt. 324 cpc e 2909 cc, in relazione agli effetti ex tunc della declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro a tempo determinato stipulato inter partes e decorrente dal 20.10.1998 accertato con sentenza della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE n. 3025 del 2018, rapporto nel corso del quale, nell’anno 2014, era intervenuto il
trasferimento della sede lavorativa di essa dipendente dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE alla sede nel RAGIONE_SOCIALE di Fiumicino, in relazione all’art. 360 n. 4 cpc; la violazione del combinato disposto di cui agli artt. 2697 cc e 115 e 116 cpc in tema di onere della prova ed omesso esame delle risultanze istruttorie e dei fatti non contestati in ordine alla insussistenza nel periodo suddetto corrispondente all’arco temporale di cui al terzo contratto di lavoro inter partes – di un rapporto di mero fatto ai sensi dell’art. 2116 cc, con consequenziale falsa applicazione dei principi e delle norme in tema di effetti espansivi esterni ex art. 336 cpc della riforma della sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE n. 7797/2003 a seguito della sentenza della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE n. 6077/2009 e dell’annullamento di tale ultima decisione a seguito della sentenza della Corte di cassazione n. 15208/2017, in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 4 cpc. Si deduce, in sostanza, che la Corte distrettuale aveva erroneamente ritenuto che, l’intervenuto giud icato sul terzo contratto di lavoro inter partes , ossia formatosi sul fatto storico dell’esistenza, validità e vigenza di tale rapporto, non interferiva con le vicende relative inerenti il trasferimento della sede di lavoro di essa ricorrente, ritenendolo indipendente da tale contratto, perché asseritamente fondato su un rapporto di mero fatto e che, dunque, la sede lavorativa, al tempo della riammissione in servizio disposta dalla società resistente in data 16.24/7/2018 era rimasta ancora quella che risult ava indicata nell’originario contratto di assunzione a termine della ricorrente presso il RAGIONE_SOCIALE nel RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, disconoscendo quell’ultima sede di impiego in cui ella risultava impiegata preso il CDP di Fiumicino.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in tema di identificazione delle sede lavorativa e di trasferimento del lavoratore con riferimento alla insussistenza delle ragioni tecniche, organizzative e produttive, segnatamente la violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 1182 e 2103 cc relativamente al luogo della prestazione lavorativa al tempo della riammissione in servizio nel RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE a seguito della sentenza della Corte di appello di
RAGIONE_SOCIALE n. 3025/2018 e al trasferimento della ricorrente nella sede lavorativa posta nel RAGIONE_SOCIALE di Langhirano; la violazione e falsa applicazione delle norme in tema di ermeneutica contrattuale in relazione all’Accordo sindacale sottoscritto tra RAGIONE_SOCIALE e e OO.SS del 14.7.2014, avuto riguardo al criterio della volontà delle parti stipulanti legittimanti l’iter di riammissione in servizio dei lavoratori a seguito della decisione dell’AGO di conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato, oltre che in tema di comportamento delle parti ed obblighi di buona fede e correttezza, a mente del combinato disposto di cui agli artt. 1362 e ss. cc 1175 e 1375 cc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc. Si precisa che erroneamente la Corte distrettuale aveva convalidato e ritenuto legittimo il trasferimento di essa lavoratrice nel RAGIONE_SOCIALE di Langhirano senza svolgere alcuna indagine sulle comprovate ragioni che lo avrebbero giustificato.
Con il terzo motivo la ricorrente la violazione delle norme e dei principi in tema di illegittimità del licenziamento intimato per giusta causa ex art. 2119 cc e ex art. 54 comma VI lett. l) del CCNL del personale non dirigente di RAGIONE_SOCIALE del 30 novembre 2017, nonché la violazione delle tutele di cui all’art. 18 legge n. 300 del 1970 per insussistenza del fatto contestato, sotto il profilo materiale e giuridico, inerente la condotta addebitata ad essa ricorrente; in subordine, per difetto di tempestività del recesso datoriale e di proporzionalità della sanzione espulsiva irrogata da RAGIONE_SOCIALE; la violazione e falsa applicazione dell’art. 1460 cc in relazione all’eccezione di inadempimento sollevata da essa COGNOME all’esito del provvedimento di riammissione in servizio e di trasferimento nel RAGIONE_SOCIALE di Langhirano, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc.
Con il quarto motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in tema di nullità delle disposizioni datoriali aventi ad oggetto i plurimi trasferimenti di essa COGNOME e del licenziamento impugnato, per causa illecita e/o motivo illecito determinante, nonché in frode alla legge; in particolare, la violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt.
1344, 1345, 1418 cc in relazione alla mancata riammissione in servizio da parte di RAGIONE_SOCIALE della lavoratrice nella sede di lavoro in Fiumicino cui era applicata al momento del richiamo in servizio nel RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE all’esito della decisione della C orte di appello di RAGIONE_SOCIALE n. 3025/2018; la violazione delle norme e dei principi in tema di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale in relazione alla condotta arbitraria di RAGIONE_SOCIALE lesiva del fondamentale diritto al lavoro della dipendente inteso come mezzo di estrinsecazione della personalità del lavoratore, nonché dell’immagine e della professionalità della stessa, ineluttabilmente mortificate dal mancato esercizio delle prestazioni tipiche della qualifica di appartenenza; per l’effett o, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2043,2059, 2087 cc e degli artt. 1226 e 2056 cc, in tema di liquidazione equitativa del danno, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc.
Il primo motivo è infondato.
La gravata sentenza, che ha ritenuto ininfluente ed inefficace il trasferimento della sede di lavoro della dipendente avvenuto durante il rapporto lavorativo il cui titolo era stato dichiarato nullo con pronuncia successivamente cassata, è conforme all’or ientamento di legittimità secondo cui l’atto di ricostituzione del rapporto lavorativo, avvenuto in esecuzione di sentenza (indifferentemente di reintegra ex art. 18 St. lav. ovvero di riammissione in servizio per effetto della ritenuta illegittimità del termine) successivamente riformata o cassata, viene travolto insieme con quest’ultima, in applicazione dell’effetto espansivo esterno di cui all’art. 336, comma 2, c.p.c., che priva di titolo il prosieguo del rapporto dopo che ne sia venuta meno, a monte, l’originaria statuizione di ripristino, senza che sia necessario un atto di recesso da parte del datore di lavoro (Cass. n. 29918/2018; Cass. n. 14103/2018). Ciò perché la avvenuta cassazione della sentenza -in virtù della quale era stato costituito il rapporto lavorativo nell’ambito del quale era stato disposto il trasferimento a Fiumicino -ha travolto non solo le statuizioni riformate ma anche gli atti da essa dipendenti.
Inoltre, è ugualmente conforme ai principi di questa Corte (Cass. n. 11180/2019; Cass. n. 23595/2018 secondo cui nell’ipotesi di accertamento della nullità del termine apposto al contratto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto a riammettere in servizio il lavoratore nelle precedenti condizioni di luogo e di mansioni, salvo adottare un provvedimento di trasferimento nel rispetto di quanto previsto dall’art. 2013 c.c.) la statuizione della gravata sentenza che ha ritenuto conforme a legge il ripristino del rapporto di lavoro nella sede e con le stesse mansioni previste nel contratto a termine dichiarato nullo.
Alcuna violazione del principio del giudicato esterno asseritamente formatosi tra le parti, stante, come si è detto, l’effetto cd. espansivo della sentenza di nullità del terzo contratto a termine, ovvero delle altre citate disposizioni di legge, è ravvisabile nella fattispecie in esame, per cui è da ritenersi corretto quanto affermato dalla Corte territoriale sul fatto che il luogo in cui doveva essere ripristinato il rapporto di lavoro non era Fiumicino ma il CPD di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Est.
Anche il secondo ed il quarto motivo, da esaminare congiuntamente per la loro interferenza, sono parimenti infondati.
La riammissione in servizio presso il CPD di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Est, come sopra detto, è giuridicamente corretta in quanto rappresentava la sede di servizio del contratto a termine dichiarato nullo.
Quanto, poi, al successivo trasferimento presso il RAGIONE_SOCIALE di Langhirano (RAGIONE_SOCIALE in Emilia-RAGIONE_SOCIALEgna in ossequio alle norme di cui all’Accordo con le OOSS del 14.2.2014), la Corte territoriale ha svolto un accertamento di merito, esente dai vizi di cui all’art 360 co. 1 n. 5 cpc, di talché è insindacabile in sede di legittimità, in virtù del quale è stato ritenuto che il suddetto trasferimento era stato disposto sulla base di comprovate esigenze aziendali, determinate sia a mezzo di un preventivo accordo con le RAGIONE_SOCIALE, sia sulla base della documentazione versata in atti, che
comprovava l’eccedentarietà e l’impossibilità di adibire la lavoratrice presso il CPD di RAGIONE_SOCIALE.
Il non avere la COGNOME dato seguito al provvedimento di trasferimento, senza alcuna valida giustificazione (come accertato in sede di giudizi cautelari di primo e di secondo grado), rendendosi assente ingiustificata dal 24.8.2018 al 10.1.2019, ha poi determinato il licenziamento ritenuto legittimo dai giudici di seconde cure.
Tale statuizione è conforme ai principi di questa Corte secondo cui, in tema di trasferimento adottato in violazione dell’art. 2103 c.c., l’inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione lavorativa in quanto, vertendosi in ipotesi di contratto a prestazioni corrispettive, trova applicazione il disposto dell’art. 1460, comma 2, c.c., alla stregua del quale la parte adempiente può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze concrete, non risulti contrario alla buona fede e sia accompagnato da una seria ed effettiva disponibilità a prestare servizio presso la sede originaria, con valutazione rimessa al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se espressa con motivazione adeguata ed immune da vizi logico-giuridici (Cass. n. 434/2019; Cass. n. 11408/2018).
Conseguentemente, ne deriva che la legittimità dei disposti provvedimenti di trasferimento e licenziamento esclude ogni profilo di ritorsività o discriminatorietà dei due atti, come esattamente rilevato dalla Corte distrettuale, in ossequio al principio secondo cui, in tema di licenziamento nullo perché ritorsivo, il motivo illecito addotto ex art. 1345 c.c. deve essere determinante, cioè costituire l’unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale; ne consegue che la verifica dei fatti allegati dal lavoratore, ai fini all’applicazione della tutela prevista dall’art. 18, comma 1, St. lav. novellato, richiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del licenziamento (Cass. n. 9468/2019); per i profili discriminatori, invece, la lavoratrice non ha fornito alcuna
prova ( cfr. Cass. n. 14753/2000: ‘L’onere di provare la sussistenza del motivo illecito del licenziamento, quale è quello discriminatorio, grava – in applicazione della regola generale sulla ripartizione dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 cod. civ. – sul lavoratore che lo alleghi a fondamento della domanda di reintegrazione, tenendo conto però che tale onere può essere assolto anche attraverso presunzioni, che, per poter assurgere al rango di prova, debbono essere “gravi, precise e concordanti’ ).
Il terzo motivo presenta, infine, profili di inammissibilità e di infondatezza.
Sulla legittimità del trasferimento e del licenziamento già si è detto in precedenza scrutinando i motivi sopra esaminati.
Sulla tempestività della contestazione la Corte territoriale si è adeguata al principio di legittimità secondo cui, in materia di licenziamento disciplinare, l’immediatezza della contestazione va intesa in senso relativo, dovendosi dare conto delle ragioni che possono cagionare il ritardo, quali il tempo necessario per l’accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell’impresa, fermo restando che la valutazione delle suddette circostanze è riservata al giudice del merito (Cass. n. 16841/2018).
Nella fattispecie, i giudici di seconde cure, con un accertamento di merito adeguatamente motivato, hanno ritenuto che la contestazione disciplinare, emessa il 12.12.2018, era stata effettuata in un tempo che, alla luce della grandezza e della complessa articolazione della società, era certamente non eccessivo né tanto meno aveva leso i diritti di difesa della lavoratrice: il tutto in un contesto in cui la società aveva atteso prima la pronuncia cautelare, ad essa favorevole, sulla legittimità del trasferimento rifiutato dalla dipendente.
Sulla asserita mancanza di proporzionalità della sanzione applicata rispetto alla condotta, deve ribadirsi che, in tema di licenziamento per giusta causa, l’accertamento dei fatti ed il successivo giudizio in ordine alla gravità e proporzione della sanzione
espulsiva adottata sono demandati all’apprezzamento del giudice di merito, che anche qualora riscontri l’astratta corrispondenza dell’infrazione contestata alla fattispecie tipizzata contrattualmente -è tenuto a valutare la legittimità e congruità della sanzione inflitta, tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda, con giudizio che, se sorretto da adeguata e logica motivazione, è incensurabile in sede di legittimità (Cass. n. 26010/2018).
Nel caso de quo la Corte territoriale ha svolto ogni valutazione sulla gravità dei fatti e sulla proporzionalità della sanzione specificando che il rifiuto della COGNOME di iniziare a svolgere la propria prestazione presso il RAGIONE_SOCIALE ove era stata destinata era senz’altr o contrario a buona fede e rappresentava un grave inadempimento, proprio per la circostanza di essersi protratto nel tempo e che aveva, pertanto, legittimato la società a recedere dal rapporto sulla base delle previsioni del contratto collettivo: invero, proprio ai sensi della disposizione contrattuale richiamata nella doglianza (art. 54 comma VI lett. l) del CCNL del personale non dirigente di RAGIONE_SOCIALE del 30.11.2017, è previsto il licenziamento senza preavviso per assenza arbitraria dal servizio per un periodo superiore ai sessanta giorni consecutivi.
Si è in presenza, pertanto, di una valutazione esaustiva svolta dalla Corte di appello che ha esaminato ogni profilo sulla gravità e proporzionalità del licenziamento e che resiste alle censure articolate nel motivo.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE, nella camera di consiglio del 24 aprile 2024