Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13696 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13696 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24014-2022 proposto da:
NOBILI NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 636/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/04/2022 R.G.N. 3531/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
LICENZIAMENTO
PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO
R.G.N. 24014/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 03/04/2025
CC
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Roma, confermando il provvedimento del giudice di primo grado, ha respinto la domanda proposta da NOME COGNOME con qualifica di dirigente, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE s.p.a. tesa alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato il 17.12.2016 per adozione di un nuovo modello organizzativo nel quale non era stato possibile trovarle un inserimento.
La Corte territoriale – premesso che la doglianza relativa al mutamento di rito (che il Tribunale aveva disposto, dal rito c.d. Fornero al rito ordinario) non era supportata dalla indicazione di alcuno specifico pregiudizio subito ed era pertanto infondata -ha rilevato (conformemente al giudice di prima istanza) che la società aveva provato la riorganizzazione aziendale che aveva determinato la soppressione del posto assegnato alla dirigente (responsabile della gestione dei progetti speciali), scelta economico-organizzativa non censurabile nei suoi profili di opportunità; ha rilevato che nessun elemento consentiva di ritenere preordinata l’emarginazione della dirigente; ha ritenuto inammissibile, in quanto fatto nuovo, la circostanza che la dott.ssa COGNOME fosse già scomparsa dagli organigrammi aziendali dal 7.5.2014 (deduzione non contenuta nel ricorso ex art. 414 c.p.c., bensì rappresentata, tardivamente, come sottolineato già dal Tribunale, nelle note integrative ex art. 426 c.p.c.).
Avverso tale sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi. La società ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. art. 360 cod.proc.civ., primo comma, nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 18, comma 1, della legge n. 300 del 1970, 1, commi 47 e 48 della legge n. 92 del 2012 nonchè nullità del procedimento con riguardo alla trattazione del giudizio di appello secondo il rito ordinario e non secondo il rito c.d. Fornero (nonostante l’introduzione, in primo grado, ai sensi dell’a rt. 1, comma 47, della legge n. 92 del 2012), pur a fronte della prospettazione dell’attribuzione della qualifica di pseudodirigente (con conseguente applicazione delle tutele dettate dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970). Ciò ha determinato il pregiudizio di aver perso la fase di opposizione nonché di non aver potuto godere della corsia preferenziale riservata alla trattazione delle cause avviate con il c.d. rito Fornero.
Con il secondo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2095, 2103, 2697 c.c. e 112, 115, 116, 421 c.p.c. per il totale malgoverno delle basilari regole processua li che hanno condotto al rigetto dell’impugnativa del licenziamento. Il giudice di primo grado ha totalmente disatteso le istanze istruttorie e non ha esaminato la documentazione prodotta e sul punto (dedotto come motivo di appello) la sentenza impugnata ha adottato una motivazione superficiale, senza procedere alle incombenze istruttorie.
Con il terzo motivo di ricorso si denunzia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 5, avendo, la Corte territoriale, ritenuto assorbito il tema della qualificazione pseudo-dirigenziale della lavoratrice, nonostante allegazioni e
documenti provassero che la dott.ssa COGNOME è stata privata di procure e poteri di rappresentanza, del potere di impegnare autonomamente somme di denaro, è stata assegnataria di incarichi analoghi a quelli affidati a personale non dirigente, è stata totalmente privata di mansioni e/o attività da svolgere, è scomparsa dagli organigrammi aziendali sin dal 7.5.2014.
Con il quarto motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., 18, comma 1, della legge n. 300 del 1970 nonché omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, nn. 3 e 5, avendo, la Corte territoriale, erroneamente ritenuto provata la riorganizzazione aziendale posta alla base del licenziamento, sulla esclusiva valutazione della documentazione prodotta dalla società.
Con il quinto motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, c.p.c., n. 3, avendo, la Corte territoriale, erroneamente ritenuto che la lavoratrice avesse introdotto solamente in grado di appello un fatto nuovo (ossia la mancanza di un nesso causale fra il nuovo modello organizzativo e la soppressione della posizione dirigenziale, chiaramente apprezzabile sotto il profilo del collegamento temporale tra la dedotta riorganizzazione e la soppressione della posizione dirigenziale), elemento introdotto nelle note autorizzate redatte nel primo grado di giudizio dopo il mutamento del rito.
Il primo motivo di ricorso non è fondato.
6.1. Questa Corte ha affermato che la violazione della disciplina relativa all’introduzione della causa mediante il rito c.d. Fornero può essere dedotta come motivo di impugnazione solo se la parte indichi il concreto pregiudizio alle prerogative processuali derivatole dalla mancata adozione del predetto rito, con
conseguente interesse alla relativa rimozione, non potendosi ravvisarsi tale pregiudizio nella privazione di “una fase processuale”, considerato che il rito ordinario rappresenta la massima espansione della cognizione integrale, idonea a consentire il migliore esercizio del diritto di difesa (Cass. n. 6754 del 2020, proprio con riferimento all’adozione del rito ordinario invece del rito c.d. Fornero); è stato, inoltre, sottolineato che nel caso di mutamento di rito la mancata assegnazione alle parti di un termine perentorio per l’eventuale integrazione degli atti mediante memorie o documenti vizia il procedimento, fino a poter determinare la nullità della sentenza, qualora la suddetta omissione abbia in concreto comportato pregiudizi o limitazioni del diritto di difesa (in tal senso già Cass. n. 511 del 2001; in senso conforme, più di recente, Cass. n. 14186 del 2017); ad integrazione dell’orientamento innanzi indicato, è stato recentemente puntualizzato (proprio con riferimento al caso di passaggio dal rito speciale cd. Fornero al rito ordinario del lavoro) che la mancata assegnazione di detto termine, a cui faccia seguito l’immediata decisione della causa con motivazione contestuale, determina ex se la nullità della decisione per l’impedimento frapposto alla possibilità delle parti di svolgere con completezza il diritto di difesa, cosicché l’indicazione di uno specifico pregiudizio processuale in concreto derivato dal rito adottato non è necessaria per far valere tale invalidità, al cui accertamento il giudice di appello non può far seguire la rimessione della causa al primo giudice ex art. 354 c.p.c., essendo tenuto a deciderla nel merito previa assegnazione del predetto termine (Cass. n. 5196 del 2024).
6.2. Nel caso di specie, il ricorrente non lamenta la mancata assegnazione, da parte del Tribunale, di un termine per l’integrazione degli atti (nel passaggio dal rito c.d. Fornero al
rito del lavoro) e, anzi, fa cenno (al pari della sentenza impugnata) al deposito di note integrative ai sensi dell’art. 416 c.p.c., con esclusione, pertanto, di un automatico profilo di nullità della sentenza; né ha indicato concreti e specifici danni subiti dalla trattazione della causa con rito ordinario che abbiano pregiudicato il suo diritto di difesa e il diritto al contraddittorio.
Il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso sono inammissibili.
7.1. Le censure formulate come violazione o falsa applicazione di legge o come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio -vizio il cui esame peraltro risulta impedito dalla presenza di una « doppia conforme » – mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità.
7.2. Come insegna questa Corte, il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013;Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).
7.3. Le censure sono, inoltre, prive di decisività posto che, accertata la soppressione del posto di lavoro della lavoratrice, è irrilevante esaminare la qualifica della stessa e le mansioni di fatto svolte, mansioni che, in ogni caso, la Corte territoriale ha
verificato essere state concordate tra le parti con scrittura privata transattiva stragiudiziale e prive di preordinazione ad una (dedotta) emarginazione (pag. 7 della sentenza impugnata).
Il quinto motivo di ricorso è inammissibile.
8.1. In disparte il profilo dell’erroneo paradigma normativo utilizzato dal ricorrente (che chiede alla Corte di censurare la dichiarazione di inammissibilità, per tardività, di un fatto consistente nella ‘ scomparsa della dott.ssa COGNOME dagli organigrammi aziendali sin dal 7.5.2014′ e, dunque, segnala un error in procedendo, ex art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.), la denuncia di un error in procedendo , che attribuisce alla Corte di cassazione il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali non dispensa il ricorrente dall’onere di indicare in modo specifico (come in caso di error in iudicando, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.) i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, provvedendo, inoltre, alla allegazione degli stessi o quantomeno a indicare, ai fini di un controllo mirato, i luoghi del processo ove è possibile rinvenirli (fra le più recenti Cass. n. 20998 del 2019, Cass. 2453 del 2018, Cass. n. 15367 del 2014, Cass. S.U. n. 8077 del 2012).
8.2. Nel caso di specie, il ricorrente, oltre a trascurare di descrivere analiticamente l’ iter processuale (la successione delle udienze tenute, i termini assegnati) che ha seguito il giudice di primo grado per mutare il rito (da rito c.d. Fornero a rito ‘speciale’ del lavoro, caratterizzato da un sistema di preclusioni e decadenze) e trattare la ca usa, trascrive una parte delle ‘note autorizzate redatte nel primo grado di giudizio’ nel quale non compare il fatto storico di cui lamenta la mancata valutazione (oggetto di statuizione di inammissibilità per tardività, pag. 8
della sentenza impugnata), consistente – come già indicato nella ‘ scomparsa della dott.ssa COGNOME dagli organigrammi aziendali sin dal 7.5.2014′ , circostanza di cui peraltro non si apprezza la decisività .
In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 3 aprile 2025.