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Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: analisi

La Cassazione si pronuncia su un caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, confermando l’illegittimità del recesso per mancata prova dell’obbligo di repêchage. L’ordinanza analizza la natura del rapporto di lavoro, distinguendolo dall’agenzia e applicando le tutele per la collaborazione etero-organizzata. Viene inoltre chiarito che precedenti accordi di conciliazione non impediscono l’accertamento della natura del rapporto per i periodi successivi.

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Pubblicato il 23 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento per Giustificato Motivo Oggettivo: La Cassazione sull’Obbligo di Repêchage e la Natura del Rapporto

L’ordinanza n. 26891/2024 della Corte di Cassazione affronta un complesso caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, offrendo importanti chiarimenti su diversi aspetti cruciali del diritto del lavoro. La decisione si sofferma sulla corretta qualificazione del rapporto di lavoro, distinguendo tra agenzia e collaborazione etero-organizzata, sull’efficacia degli accordi di conciliazione e, soprattutto, sull’onere della prova relativo all’obbligo di repêchage a carico del datore di lavoro.

Il caso: da agente a collaboratore, fino al licenziamento

La vicenda riguarda un collaboratore di un’azienda farmaceutica, il cui rapporto era formalmente qualificato come contratto di agenzia. A seguito del recesso comunicato dall’azienda per giustificato motivo oggettivo, il lavoratore ha impugnato il licenziamento. I giudici di merito hanno riqualificato il rapporto, non come agenzia, ma come collaborazione coordinata e continuativa, evidenziando una forte ingerenza organizzativa da parte dell’azienda (etero-organizzazione). La Corte d’Appello, in particolare, pur confermando l’illegittimità del licenziamento, ha riformato la decisione di primo grado, condannando la società al pagamento di un’indennità risarcitoria anziché alla reintegrazione. Entrambe le parti hanno quindi presentato ricorso in Cassazione: l’azienda lamentando, tra le altre cose, l’errata individuazione del tribunale competente e la qualificazione del rapporto; il lavoratore contestando l’applicazione di una tutela meramente indennitaria.

La decisione della Corte di Cassazione e il licenziamento per giustificato motivo oggettivo

La Suprema Corte ha rigettato entrambi i ricorsi, confermando in toto la sentenza della Corte d’Appello. La decisione ribadisce principi fondamentali in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e di qualificazione del rapporto di lavoro. La Corte ha ritenuto infondate le censure della società sia sulla competenza territoriale sia sulla natura del rapporto, confermando che l’attività svolta era quella di informatore scientifico e non di agente commerciale. Ha inoltre respinto le doglianze del lavoratore, chiarendo la portata degli accordi di conciliazione sottoscritti in passato.

Le motivazioni della Corte

La decisione della Cassazione si fonda su un’analisi approfondita di diversi punti giuridici.

Competenza territoriale e foro del lavoratore

La Corte ha chiarito che, ai sensi dell’art. 413 c.p.c., il foro competente nelle cause di lavoro è quello della dipendenza aziendale cui il lavoratore era addetto al momento della cessazione del rapporto. Il limite temporale di sei mesi previsto dalla norma si riferisce alla cessazione della dipendenza stessa, non al venir meno dell’assegnazione del lavoratore a quella sede. Pertanto, il Tribunale individuato dal lavoratore era competente a decidere la causa.

La qualificazione del rapporto: non agenzia ma collaborazione etero-organizzata

Un punto centrale della controversia era la natura del rapporto. La Cassazione ha confermato la valutazione dei giudici di merito, secondo cui l’attività non era riconducibile al contratto di agenzia. L’attività di informatore scientifico, consistente nel persuadere la potenziale clientela (medici) sull’opportunità di utilizzare determinati prodotti, si differenzia da quella dell’agente, che è finalizzata a promuovere la conclusione di contratti. Nel caso di specie, mancava la prova di un’attività sistematica di vendita diretta. Di contro, è stata accertata una pregnante e stabile ingerenza della committente sui tempi e luoghi dell’attività, configurando una collaborazione etero-organizzata, alla quale si applicano le tutele del lavoro subordinato secondo il D.Lgs. 81/2015.

L’efficacia limitata degli accordi di conciliazione

Il lavoratore sosteneva che precedenti accordi conciliativi, che avevano regolato fasi pregresse del rapporto, non potevano precludere l’accertamento della sua natura subordinata. La Corte ha precisato che gli accordi transattivi ex art. 2113 c.c. riguardano solo i diritti già acquisiti e maturati fino a quel momento. Essi, pertanto, non impediscono al giudice di accertare la vera natura del rapporto per il periodo successivo alla loro stipulazione, fino alla data del recesso.

L’onere della prova sull’obbligo di repêchage

Infine, la Corte ha confermato l’illegittimità del licenziamento per la mancata osservanza dell’obbligo di repêchage. In un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, spetta al datore di lavoro dimostrare non solo la sussistenza delle ragioni organizzative alla base del recesso, ma anche l’impossibilità di ricollocare il dipendente in altre mansioni all’interno dell’assetto aziendale. La società non ha fornito tale prova, rendendo il licenziamento illegittimo.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame consolida importanti principi giurisprudenziali. In primo luogo, riafferma che la qualificazione formale data dalle parti a un contratto (es. agenzia) non è vincolante se, nei fatti, la prestazione si svolge con modalità etero-organizzate assimilabili al lavoro subordinato. In secondo luogo, sottolinea la centralità dell’obbligo di repêchage come presupposto di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ponendo a carico del datore di lavoro un rigoroso onere probatorio. Infine, chiarisce che gli accordi conciliativi hanno un’efficacia limitata al periodo che regolano e non possono ‘sanare’ per il futuro una qualificazione del rapporto non conforme alla realtà.

Quando un licenziamento per giustificato motivo oggettivo è illegittimo?
Un licenziamento per giustificato motivo oggettivo è illegittimo quando il datore di lavoro non adempie all’onere di provare sia la sussistenza delle ragioni oggettive (produttive, organizzative) che hanno portato alla soppressione del posto di lavoro, sia l’impossibilità di ricollocare il lavoratore in altre mansioni compatibili (obbligo di repêchage).

Un precedente accordo di conciliazione impedisce di far valere la natura subordinata del rapporto di lavoro per il periodo successivo?
No. Secondo la Corte, gli accordi di conciliazione che regolano diritti già maturati fino alla data della loro stipulazione non precludono l’accertamento della reale natura del rapporto di lavoro per il periodo successivo, fino alla cessazione definitiva.

Come si determina il tribunale competente nelle cause di lavoro se sono passati più di sei mesi dalla fine del rapporto?
La competenza territoriale si radica nel luogo in cui si trovava la dipendenza aziendale a cui il lavoratore era addetto al momento della cessazione del rapporto. Il limite temporale di sei mesi previsto dall’art. 413 c.p.c. non si applica all’assegnazione del lavoratore, ma all’eventuale cessazione della dipendenza aziendale stessa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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