Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13310 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13310 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 18299-2024 proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 63/2024 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 01/03/2024 R.G.N. 552/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO che
Oggetto
R.G.N. 18299/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 15/04/2025
CC
RILEVATO che
1.Con sentenza in data 1 marzo 2024, la Corte d’appello di Torino ha respinto l’impugnazione proposta da NOME COGNOME avverso la decisione del Tribunale di Ivrea che aveva rigettato il ricorso dalla medesima proposto per l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatole dalla datrice di lavoro RAGIONE_SOCIALE con conseguente condanna della società al pagamento in proprio favore dell’importo di euro 64.948,71 a titolo di indennità di preavviso, dell’importo di euro 62.585,75 a titolo di indennità supplementare ex a rt. 22 CCNL Dirigenti Aziende Produttrici di Beni e Servizi, nonché della somma di euro 39.116,10 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale per il demansionamento asseritamente subito.
2. In particolare, il giudice di secondo grado , condividendo l’ iter decisorio del primo giudice, sulla base delle evidenze processuali di primo grado, ha ritenuto giustificato il licenziamento intimato e l’asse nza del lamentato demansionamento.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso NOME COGNOME affidandolo a tre motivi.
3.1. Resiste, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE
Entrambe le parti hanno presentato memorie.
CONSIDERATO che
Con il primo motivo di ricorso si deduce, con riguardo alla ritenuta sufficiente specificità della contestazione disciplinare elevata nei confronti della lavoratrice, la violazione dell’art. 2697 cod. civ., nonché dell’art. 7 L. n. 300/70, l’omessa motivazione relativa alla suddetta specificità, con conseguente lesione degli artt. 112 e 132 co. 2, n. 4, cod. proc. civ. e la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
1.1.Con il secondo motivo, si censura la decisione impugnata sempre con riguardo alla ritenuta assenza di genericità della contestazione allegandosi, altresì, l’omessa motivazione circa le circostanze, emerse in corso di causa, che avrebbero determinato la conformità al dettato nor mativo di cui all’art. 7 L. n. 300/70 nonché la ritenuta adeguatezza dello spatium deliberandi al fine di ritenere la tempestività della contestazione proposta, l’erronea inversione dell’onere probatorio circa la prova della
tempestività della contestazione ed ancora la violazione, al riguardo, degli artt. 112, 115, 116 e 132 cod. proc. civ. , nonchè l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.
1.2. Con il terzo motivo si allega violazione degli artt. 2697 cod. civ., 1362 e 1363 cod. civ. e 5 L. n. 604/66 nonché dell’art. 2119 cod. civ., quanto all’onere della prova circa l’insussistenza di una giusta causa di recesso, nonché degli artt. 2729 e segg. cod. civ. quanto agli elementi posti a base della de cisione, nonché l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (circa gli aumenti dei costi dell’impresa) sempre ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.
I tre motivi, da esaminarsi congiuntamente per ragioni logico – sistematiche, oltre ad essere inammissibilmente formulati in modo promiscuo, tale da incidere sull’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure denunciando violazioni di legge o di contratto e vizi di motivazione senza che nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità (v., in particolare, sul punto, Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 17931 del 2013; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 20355 del 2008; Cass. n. 9470 del 2008), nella sostanza, contestano l’accertamento operato dalla Corte territoriale in ordine alla ritenuta legittimità del licenziamento, criticando sotto vari profili la valutazione dalla stessa compiuta con doglianze intrise di circostanze fattuali.
2.1. Quanto alla dedotta violazione dell’art. 360, co. 1, n. 5, cod. proc. civ., p arte ricorrente omette di considerare che il presente giudizio di cassazione, ratione temporis , è soggetto non solo alla nuova disciplina di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, cod. proc. civ., in base alla quale, le sentenze possono essere impugnate “per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti” , ma anche a quella di cui all’art. 348 ter , ult. co. cod. proc. civ., secondo cui il vizio in questione non può essere proposto con il ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che confermi la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado, ossia non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d, doppia conforme (v. sul punto, Cass, n. 4223 del 2016; Cass. n. 23021 del 2014).
Conseguentemente, non possono trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità tutte quelle censure che attengono alla ricostruzione della vicenda storica come operata dai giudici di merito,
anche in ordine alla tempestività della procedura disciplinare, e che lamentano una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo della critica alla valutazione giudiziale delle risultanze di causa, sia perché formulate in modo difforme rispetto ai principi enunciati da Cass. SS.UU. n. 8053 del 2014, che ha rigorosamente interpretato il novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. limitando la scrutinabilità al c.d. ‘minimo costituzionale’, sia nella parte in cui quanto attingono questioni di fatto in cui la sentenza di appello ha confermato la pronuncia di primo grado.
2.2. Con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 2697 cod. civ., va rilevato che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, ( ex plurimis, Sez. III, n. 15107/2013) la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma e che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie.
2.3. Quanto alla lamentata lesione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ., giova evidenziare che l’interpretazione del regolamento contrattuale è attività riservata al giudice di merito, pertanto sottratta al sindacato di legittimità salvo che per il caso della violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale, tuttavia, non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (sul punto, ex plurimis, Cass. n. 11254 del 10/05/2018).
2.4. In particolare, poi, con riguardo alla dedotta violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., va rilevato che una questione di violazione e falsa applicazione di tali norme non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960).
2.5. Con riguardo, inoltre, alla denunzia di omessa pronuncia, va rilevato che, nel giudizio di legittimità, deve essere tenuta distinta l ‘ ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda da
quella in cui si censuri l ‘ interpretazione che ne abbia offerto il giudice di merito: nel primo caso, infatti, si verte in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c. e si pone un problema di natura processuale per la soluzione del quale la Corte di Cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti, onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta; nel secondo, invece, l’interpretazione della domanda e la individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento dei fatti riservato, come tale, al giudice di merito e, in sede di legittimità va solo effettuato, nei limiti di quanto legislativamente consentito, il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (fra le altre, Cass. 7.7.2006 n. 15603; Cass. 18.5.2012 n. 7932; Cass. 21.12.2017 n. 30684).
In particolar modo, poi, deve reputarsi principio consolidato della giurisprudenza di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28072 del 2021) quello secondo cui la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi.
Ne consegue che, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di specificità dei motivi di impugnazione, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi.
2.6. Quanto, infine, alla dedotta violazione dell’art. 2119 cod. civ., v a rilevato che, secondo l’insegnamento di questa Corte ( fra le altre, Cass. n. 13534 del 2019 nonché, in terminis, Cass. n. 7838 del 2005 e Cass. n. 18247 del 2009), il modulo generico che identifica la struttura aperta delle disposizioni di limitato contenuto ascrivibili alla tipologia delle cd. clausole generali, richiede di essere specificato in via interpretativa, allo scopo di adeguare le norme alla realtà articolata e mutevole nel
tempo. La specificazione può avvenire mediante la valorizzazione o di principi che la stessa disposizione richiama o di fattori esterni relativi alla coscienza generale ovvero di criteri desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali ma anche dalla disciplina particolare, collettiva, come nel caso in esame, in cui si colloca la fattispecie. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro errata individuazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge ( ex plurimis, Cass. n. 13453 del 2019 cit., Cass. n. 6901 del 2016; Cass. n. 6501 del 2013; Cass. n. 6498 del 2012; Cass. n. 25144 del 2010).
Conseguentemente, non si sottrae al controllo di questa Corte il profilo della correttezza del metodo seguito nell’individuazione dei parametri integrativi, perché, pur essendo necessario compiere opzioni di valore su regole o criteri etici o di costume o propri di discipline e/o di ambiti anche extragiuridici, “tali regole sono tuttavia recepite dalle norme giuridiche che, utilizzando concetti indeterminati, fanno appunto ad esse riferimento” (per tutte v. Cass. n. 434 del 1999), traducendosi in un’attività di interpretazione giuridica e non meramente fattuale della norma stessa (cfr. Cass. n. 13453 del 2019 cit., Cass. n. 5026 del 2004; Cass. n. 10058 del 2005; Cass. n. 8017 del 2006).
Nondimeno, va sottolineato che l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. compiuta dal giudice di merito è sindacabile in cassazione a condizione, però, che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori.
Sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice del merito, opera l’accertamento della concreta ricorrenza, nella fattispecie dedotta in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e sue specificazioni e della loro attitudine a costituire giusta causa di licenziamento. Quindi occorre distinguere: è solo l’integrazione a livello generale e astratto della clausola generale che si colloca sul piano normativo e consente una censura per violazione di legge; mentre l’applicazione in concreto del più specifico canone integrativo così ricostruito, rientra nella valutazione di fatto devoluta al giudice del merito, “ossia il fattuale riconoscimento della riconducibilità del caso concreto nella fattispecie generale e astratta” (in termini ancora Cass. n. 18247/2009 e n. 7838/2005 citate).
Questa Corte precisa, pertanto, che “spettano inevitabilmente al giudice di merito le connotazioni valutative dei fatti accertati nella loro materialità, nella misura necessaria ai fini della loro riconducibilità – in termini positivi o negativi – all’ipotesi normativa” (così, in motivazione, Cass. n. 15661 del 2001, nonché la giurisprudenza ivi citata).
2.7. Tale distinzione, operante per le clausole generali condiziona la verifica dell’errore di sussunzione del fatto nell’ipotesi normativa, ascrivibile, per risalente tradizione giurisprudenziale (v. in proposito Cass. SS.UU. n. 5 del 2001), al vizio di cui al n. 3 dell’art. 360, comma 1, c.p.c. (di recente si segnala Cass. n. 13747 del 2018).
2.8 . Nel caso di specie, appare evidente che la censura, veicolata per il tramite dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., in realtà corre lungo i binari della censura fattuale in quanto mira ad una diversa ricostruzione della fattispecie oltre che ad una inammissibile diversa valutazione delle risultanze istruttorie di primo grado.
Parte ricorrente, infatti, pur denunciando, apparentemente, una violazione di legge, chiede in realtà alla Corte di pronunciarsi sulla valutazione di fatto compiuta dal giudice in ordine alle conclusioni raggiunte con riguardo alla sussistenza della ritenuta violazione del vincolo fiduciario, mentre le argomentazioni da essa sostenute si limitano a criticare sotto vari profili la valutazione compiuta dalla Corte d’Appello, con doglianze intrise di circostanze fattuali mediante un pervasivo rinvio ad aspetti di mero fatto, tentandosi di portare di nuovo all’attenzione del giudice di legittimità una valutazione di merito, inerente il contenuto dell’accertamento compiuto circa gli accadimenti posti a base del licenziamento.
Va premesso l’inconferente richiamo alle disposizioni di cui agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., atteso che parte ricorrente lamenta esclusivamente una erronea interpretazione delle prove offerte, delle quali, tuttavia, suggerisce un diverso apprezzamento, meramente contrapponendo alla motivazione della Corte la propria diversa interpretazione, senza apportare elementi che possano indurre a reputare la prima implausibile.
In particolare, il giudice di secondo grado, rilevato che anche il Tribunale aveva ritenuto, in fatto, le circostanze pacifiche tra le parti, ha condiviso l’ iter decisorio del primo giudice, in ordine alla rilevanza
degli addebiti mossi alla Mauro e, ricostruendo puntualmente la dinamica degli accadimenti contestati alla ricorrente, ha posto in rilievo, segnatamente, i seguenti addebiti : 1) aver elaborato dati, documenti e piani di cash flow contraddittori e inesatti senza fornire alcuna spiegazione in ordine all’analisi finanziaria effettuata né offerto soluzioni per affrontare la crisi di liquidità prospettata; 2) non aver consegnato ad Intesa San Paolo la documentazione necessaria per ottenere il rinnovo del fido di 1.000.000 per RAGIONE_SOCIALE e la linea di anticipo fatture per USD 2.000.000 necessaria a Baomarc Mexico; 3) non aver predisposto la contabilità analitica della società.
La Corte, condividendo la motivazione di primo grado proprio a partire dalla specificità della contestazione, ha ritenuto che dalla lettera ricevuta dalla ricorrente risultassero in modo ben chiaro le mancanze alla stessa addebitate e come la stessa si fosse dalle medesime puntualmente difesa e tale valutazione deve ritenersi sottratta al sindacato di legittimità.
Del pari non passibile di diversa valutazione in questa sede, la ritenuta giustificatezza, non essendo le censure volte ad evidenziare un errore nella sussunzione da parte della Corte d’appello, bensì, esclusivamente, una diversa valutazione in ordine alle giustificazioni rese dalla lavoratrice la quale, nella propria lettera difensiva, aveva sostenuto la correttezza delle analisi svolte a fronte di un crollo vertiginoso evidenziato dalla circostanza che, a distanza di un solo mese, i dati comunicati alla società controllante e relativi all’assetto finanziario di RAGIONE_SOCIALE erano mutati radicalmente, passando da una situazione di equilibrio finanziario ad uno scenario di grave crisi di liquidità. Tale situazione, secondo entrambi i giudici di merito, non trovava adeguata giustificazione nel mero aumento dei costi delle materie prime, nel sopraggiungere di difficoltà di approvvigionamento nonché nella cessazione di alcune commesse.
L’assenza di eventi catastrofici e la mancata indicazione, da parte della ricorrente, di qualsivoglia ipotesi di possibile soluzione per far fronte all’imminente crisi, hanno indotto entrambi i giudici a ritenere di palmare evidenza la significativa negligenza della Mauro.
Del pari conforme l’interpretazione offerta, in primo e in secondo grado, circa la tempestività della contestazione, alla luce dello spatium deliberandi da riconoscersi alla società.
Tali valutazioni, non implausibili, devono ritenersi sottratte al sindacato di legittimità.
4. Alla luce delle suesposte argomentazioni, deve concludersi che parte ricorrente, nel formulare le proprie censure mediante ricorso per cassazione, non si è conformata a quanto statuito dal Supremo
Collegio in ordine alla apparente deduzione di vizi ex artt. 360 co. 1 nn.3 e 5 e, cioè, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l ‘ apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr., SU n. 34476 del 2021).
Il ricorso, deve, quindi, essere dichiarato inammissibile.
5.1. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
S ussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del comma 1quater dell’art.13 d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 8000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, d atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Cosi deciso nell’Adunanza camerale del 15 aprile 2025
La Presidente
NOME COGNOME