Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9743 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 9743 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 358-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio LEGALE RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliata presso gli indirizzi PEC degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 615/2022 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 31/10/2022 R.G.N. 389/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME
Oggetto
Licenziamento per giusta
causa
R.G.N. 358/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 18/12/2024
CC
NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Venezia, in accoglimento del primo motivo del reclamo proposto dalla I.M.RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza del Tribunale di Vicenza n. 174/2022 la quale aveva revocato l’ordinanza del medesimo Tribunale resa nella fase sommaria del procedimento ex lege n. 92/2012, dichiarava la nullità di detta sentenza e della sua successiva integrazione; nel merito, in accoglimento della domanda proposta da COGNOME NOME, così provvedeva: a) annullava il licenziamento intimato in data 11 agosto 2020 a detta lavoratrice dalla società datrice di lavoro e condannava quest’ultima alla reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro e al pagamento in suo favore di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, pari ad € 2.932,32 dal giorno del licenziamento sino a quello della retribuzione globale di fatto, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria dalla data di maturazione al saldo; b) condannava altresì il datore di lavoro al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento, fino a quello della effettiva reintegrazione; c) accertava l’illegittimità della sospensione cautelare disposta nei confronti della lavoratrice e condannava RAGIONE_SOCIALE a corrispondere in suo favore la somma di € 305,37 a titolo di risarcimento del danno economico patito per l’effetto, oltre interessi e rivalutazione dalla data di maturazione dei titoli al saldo.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, riferiti i motivi di reclamo della società, giudicava fondato il primo con il quale si deduceva la nullità della sentenza resa dal Tribunale
in sede di opposizione.
La stessa Corte, nel ritenere fondata la domanda attorea e da accogliere per quanto di ragione in ordine all’illegittimità del licenziamento, rilevava che la contestazione disciplinare, contenendo l’espresso riferimento agli artt. 52 e 54 lett. c) (‘ quando tale infrazione sia gravemente colposa perché suscettibile di provocare incidenti alle persone, agli impianti, ai materiali ‘) del CCNL Gomma e Plastica, è relativa non alla circostanza di aver fumato all’interno dei locali aziendali, ma a quella di aver messo in pericolo, attraverso quell’attività vietata, la sicurezza di persone, impianti o materiali; il che trovava conferma nella lettera di licenziamento.
3.1. Osservava, allora, la Corte che non era condivisibile l’ordinanza del sommario nella parte in cui aveva ritenuto di valutare la pericolosità della condotta ex post e in astratto. La condotta doveva essere qualificata secondo la previsione sanzionatoria sopra richiamata in ragione di un pericolo in concreto per mutuare la tradizionale classificazione penalistica dovendosi effettuare, pertanto, una valutazione ex ante e in concreto (c.d. prognosi postuma).
3.2. E in tale prospettiva considerava che sul punto il C.T.U. aveva condivisibilmente escluso la sussistenza di un pericolo.
Riteneva, quindi, che la condotta contestata non sussisteva, onde ne conseguiva il riconoscimento della c.d. tutela reale ‘debole’ di cui al 4° comma dell’art. 18 l. n. 300/1970, nei termini specificati in dispositivo, richiamando a riguardo una decisione di legittimità.
Avverso tale decisione la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
L’intimata ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.: ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 L. 300/70, dell’art. 2 della L. n. 604/66 e degli artt. da 1362 a 1371 c.c.’. Deduce che la Corte d’appello, laddove degli articoli in rubrica indicati.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.: ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2375, 2094, 2104, 2105, 2106 e 2119 c.c., degli artt. 52, 53 e 54 del CCNL Gomma Plastica, nonché degli artt. 19 e 20 del D.lgs. n. 81/2008 e dell’art. 18, comma 4, L. 300/70’. Rileva che la Corte d’appello ha considerato che: ‘L’ipotesi normativa della ‘insussistenza del fatto contestato’ comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare’. E deduce che, ‘nel caso di specie, nessuno dei due requisiti risulta integrato’. Assume che la Corte d’appello ha fatto
malgoverno dell’art. 2735 c.c. laddove ha omesso di riconoscere la portata confessoria delle giustificazioni rese dalla lavoratrice, con cui ha: – ammesso di aver trasgredito il divieto di fumo; – ammesso di essere pienamente al corrente ‘ che non si (poteva) fumare, oltretutto perché si lavorano prodotti ad alto grado alcolico ‘; – ammesso di aver compiuto una ‘ mancanza disciplinare grave ‘. Sostiene, ancora, che le mancanze addebitate alla sig.ra COGNOME si pongono in evidente violazione anche degli artt. 19 e 20 del d.lgs. n. 81/2008.
Con il terzo motivo denuncia ex art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c.: ‘omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, avendo la società avanzato critiche specifiche e circostanziate in relazione alle risultanze della CTU, rimaste prive di precisa risposta argomentativa nonché omesso esame di un fatto decisivo del giudizio per non avere la Corte in alcun modo valutato l’inserimento del bagno all’interno dell’area a rischio nel DVR allegato dalla società’.
Il primo motivo è infondato, presentando profili d’inammissibilità.
Come già accennato in narrativa, la valutazione del caso della Corte territoriale muoveva dal rilievo che: , e che tanto trovava .
Osserva allora il Collegio che la censura ora in esame è ìnammissibile per difetto di specificità nella parte in cui vi si lamenta globalmente ed indiscriminatamente la violazione o la falsa applicazione di tutti i criteri ermeneutici legali di cui agli artt. 1362-1371 c.c. (applicabili agli atti unilaterali come la contestazione disciplinare e l’atto di recesso solo per il tramite di cui all’art. 1324 c.c. nei limiti di compatibilità), senza specificare anche nello svolgimento della doglianza quale di tali canoni sarebbe stato violato e perché.
La doglianza è, comunque, priva di fondamento perché la ricorrente non pone in dubbio che, prima, la contestazione disciplinare e, poi, la nota di licenziamento contenessero i passi che la Corte di merito ha richiamato nella sua motivazione. Anzi, per quanto riguarda la contestazione disciplinare, ne riporta in ricorso (a pag. 18) il testo integrale dal quale si trae conferma che in limine vi si faceva ‘particolare riferimento agli artt. 52 e 54 lettera c)’ del ‘C.C.N.L. Gomma e Plastica applicato in Azienda’. Nel seguito del testo trascritto dalla stessa ricorrente si desume che alla lavoratrice era, tra l’altro, contestato in fatto che ‘in quel momento si stava svolgendo proprio vicino al bagno un’operazione di ripasso con svuotamento di liquido disinfettante per mani ad alto grado alcolico’.
Analogamente, per quanto riguarda la lettera di licenziamento (a pag. 19 del ricorso), la ricorrente ne riporta l’intero contenuto testuale, compresa la parte trascritta dalla Corte d’appello, e nota questo Collegio che il passo anteriore a quello trascritto dalla Corte tornava a fare ‘particolare riferimento all’art. 54 2 -lettera c) del vigente CCNL Industria Gomma e Plastica’.
Pertanto, non è assolutamente condivisibile l’assunto della ricorrente, secondo il quale ‘la Corte d’Appello avrebbe dovuto valutare -al netto degli articoli citati all’interno della lettera di contestazione -i fatti materiali ivi contestati (doc. 1 fasc. 1° fase), oggetto di espresso richiamo nella lettera di licenziamento’ (così a pag. 18 del ricorso).
8.1. Invero, già i fatti materiali contestati non consistevano nella nuda ‘circostanza di aver fumato all’interno dei locali aziendali’, come esattamente considerato dai giudici del reclamo, in quanto la datrice di lavoro nella lettera di contestazione esponeva precise circostanze di fatto, di tempo e di luogo indicative dell’assunta pericolosità in concreto della condotta addebitata alla lavoratrice.
E nello stesso senso, ovviamente, depone il precipuo richiamo in essa (replicato nella nota di licenziamento) all’art. 54, comma 2, lett. c), del CCNL di settore, che, tra le ‘infrazioni’, che possono determinare l’ ‘immediata rescissione del rapporto’ (cfr. comma 1 dell’articolo, rubricato ‘Licenziamento per mancanze’), contempla l’ ‘inosservanza del divieto di fumare quando tale infrazione sia gravemente colposa perché suscettibile di provocare incidenti alle persone, agli impianti, ai materiali’; e, come si è visto, per l’appunto quest’ultima parte del disposto contrattuale collettivo veniva
ripresa nella lettera di licenziamento.
Si osserva, inoltre, che la giurisprudenza di questa Corte, anche risalente, quando ha affrontato casi nei quali venivano in considerazione norme collettive che in vario modo sanzionavano l’inosservanza del divieto di fumare o comunque precipui divieti a riguardo, hanno sempre sottolineato la necessità che il giudice di merito (in particolare per valutare la sussistenza della giusta causa di licenziamento quale nozione legale) valuti le circostanze concrete che hanno caratterizzato il comportamento del lavoratore incolpato (cfr. Cass., sez. lav., n. 12841/2020, cit. dalla Corte territoriale), o che vi sia rischio di incendio (Cass. n. 14481/2015, pure richiamata dalla stessa); oppure l’esposizione a pericolo di persone e cose (Cass. n. 7291/2004; n. 2465/1989 in caso analogo a quello che ci occupa; n. 6325/1979).
Pertanto, la valutazione del caso, da parte della Corte territoriale, da un lato, è del tutto aderente al tenore letterale anzitutto della contestazione disciplinare, e, dall’altro, è stata correttamente impostata – in un ordinamento giuridico che tuttora non prevede un divieto generalizzato di fumare -nel senso di verificare se la condotta addebitata in fatto alla lavoratrice, in sé incontestata, fosse tale da indurre pericolo in concreto, cioè ‘suscettibile di provocare incidenti alle persone, agli impianti, ai materiali’.
Anche il secondo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
In particolare, non chiarisce la ricorrente perché reputi violati o falsamente applicati gli artt. 2104, 2105, 2106 c.c., gli artt. 52, 53 e 54 del CCNL; ma anche rispetto agli artt.
19 e 20 d.lgs. n. 81/2008, la ricorrente si limita a riportarne parzialmente il testo senza spiegare perché li ritenga violati (cfr. pagg. 2122 del ricorso); il che induce l’inammissibilità della censura in parte qua .
Nel merito giuridico della doglianza, giova ricordare che, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, anche di recente confermato, nella nozione di insussistenza del fatto contestato, di cui all’art. 18, comma 4, l. n. 300/1979 novellato, sono comprese l’ipotesi di assenza ontologica del fatto e quella di fatto che, pur sussistente, sia tuttavia privo del carattere di illiceità (cfr. ex multis Cass. n. 18070/2023; n. 30543/2022; n. 3076/2020; n. 31529/2019; n. 12102/2018), oppure le ipotesi in cui il fatto contestato sia sostanzialmente irrilevante sotto il profilo disciplinare o non imputabile al lavoratore (Cass. n. 36729/2021; n. 12174/2019).
13.1. Ebbene, la Corte d’appello, dopo aver escluso in linea di fatto che il comportamento della lavoratrice avesse provocato una situazione di pericolo in concreto nei termini addebitati sulla base dell’accertamento tecnico operato dal consulente d’ufficio nominato in prime cure, ha fatto riferimento per l’appunto a tale orientamento di legittimità (v. tra la pag. 19 e la pag. 20 e la nota 2) in calce a quest’ultima), che contiene il passaggio motivazionale specificamente censurato dalla ricorrente.
La ricorrente, nell’ambito del secondo motivo, assume che la Corte d’appello avrebbe ‘fatto malgoverno dell’art. 2735 c.c. laddove ha omesso di riconoscere la portata confessoria delle giustificazioni rese dalla Lavoratrice’, nei termini sopra riassunti e riportate in modo testuale alla fine dello svolgimento del primo motivo di ricorso (cfr. pag. 20 di tale
atto).
14.1. La ricorrente non si confronta, però, con l’effettiva ratio decidendi della Corte territoriale.
Invero, quest’ultima aveva dato conto che l’allora reclamante, nell’ambito del secondo motivo d’impugnazione, aveva tra l’altro dedotto che il giudice di primo grado ‘non ha considerato che i fatti contestati sono stati ammessi dalla lavoratrice in sede di giustificazioni’ (v. § 3.2.1. a pag. 10).
14.2. Tuttavia, la Corte di merito, come si trae chiaramente dalla sua motivazione in fatto e in diritto, non ha assolutamente posto in discussione la materialità del fatto contestato, ma ne ha escluso l’illiceità, e quindi in questa chiave ha ritenuto ‘l’insussistenza del fatto contestato’.
Anche il terzo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
In termini generali, giova premettere che, in tema di consulenza tecnica d’ufficio, il giudice ha ampio potere discrezionale: può infatti disporre l’eventuale rinnovazione delle indagini peritali, la sostituzione del consulente, la richiesta di chiarimenti sulla relazione già depositata, disporre un supplemento o un’integrazione delle indagini, la rinnovazione in toto o in parte delle attività peritali; e per tale ampia discrezionalità, che in particolare connota l’esercizio del potere del giudice di rinnovare la consulenza tecnica, non è esercitabile alcun sindacato in sede di legittimità (Cass. n. 24487/2019).
Di recente, è stato considerato che l’art. 195 c.p.c. prevede, all’ultimo comma, che il consulente tecnico d’ufficio
deve trasmettere la sua relazione alle parti costituite nel termine stabilito dal giudice con ordinanza resa all’udienza in cui è intervenuto il conferimento dell’incarico e il relativo giuramento, che le parti possono trasmettere al consulente le proprie osservazioni sulla relazione entro l’apposito termine fissato dal giudice con la medesima ordinanza e che entro il successivo termine ivi fissato dal giudice il consulente deve depositare in cancelleria la relazione, le osservazioni delle parti e una sintetica valutazione sulle stesse. Pertanto, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito accogliere o rigettare l’istanza di riconvocazione del consulente d’ufficio per chiarimenti o per in supplemento di consulenza, cosicché non costituisce error in procedendo la decisione del giudice che ritenga di non dare corso all’appendice del procedimento consulenziale con la richiesta di chiarimenti (in tal senso Cass. n. 698/2023).
17. La ricorrente si riferisce al consolidato indirizzo di questa Corte, per il quale, se, in via generale, il giudice di merito che aderisce alle conclusioni del consulente tecnico esaurisce l’obbligo di motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, non dovendo necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili, ove, invece, le censure all’elaborato p eritale si rivelino non solo puntuali e specifiche, ma evidenzino anche la totale assenza di giustificazioni delle conclusioni dell’elaborato, la sentenza che ometta di motivare la propria adesione acritica alle predette conclusioni risulta affetta da nullità (così, da ultimo, Cass. n. 15804/2024).
Ebbene, il motivo in esame si appalesa infondato proprio alla stregua di tale orientamento.
18.1. La ricorrente stessa, infatti, neppure deduce di aver formulato critiche puntuali e specifiche all’elaborato peritale, una volta depositato, oppure, in precedenza, nell’ambito del contraddittorio tecnico con il consulente ex art. 195, comma terzo, c.p.c. novellato (né deduce attualmente, o di averlo fatto in sede di reclamo, la violazione di tale ultima norma).
18.2. Assume, piuttosto, che all’udienza del 4.2.2022 (innanzi al primo giudice), come risultava dal relativo verbale, il suo difensore aveva chiesto ‘ che il ctu sia sentito a chiarimenti per la mancata considerazione dell’attività in corso al momento del fatto nei locali attigui al bagno, cioè il ripasso con svuotamento di liquidi disinfettanti con elevato grado alcolico ‘ (così a pag. 23 del ricorso).
18.3. Ora, a prescindere dalla considerazione che la ricorrente neppure deduce in questa sede se o come il giudice dell’opposizione si fosse pronunciato su tale richiesta di chiarimenti, per quanto detto il non aver dato corso a quest’ultima non integra alcun error in procedendo deducibile nella presente sede di legittimità, stante l’ampia discrezionalità dei giudici di merito a riguardo.
18.4. Le critiche, poi, che la ricorrente attualmente rivolge al parere peritale (cfr. pagg. 24-26 del ricorso) non possono essere ovviamente prese in considerazione in questa sede di legittimità, non essendo stato dedotto, prima che dimostrato, che fossero state a tempo debito formulate durante i gradi di merito e in termini puntuali e specifici.
Nell’ambito del terzo motivo, inoltre, si sostiene in
particolare l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ‘per non avere la corte in alcun modo valutato l’inserimento del bagno all’interno dell’area a rischio nel dvr allegato dalla società’.
Deduce in particolare la ricorrente che ‘la valutazione del rischio è stata condotta ex ante , sulla base di una relazione redatta da una società indipendente (doc. 12 fasc. 2° fase) ed è esitata nella inclusione del reparto riempimento -di cui il bagno fa parte -tra le aree a rischio incidente rilevante ai sensi del d.lgs. 105/2015, il che presuppone la necessità di un rispetto incondizionato ed assoluto del divieto di fumo’, e che ‘La ragione dell’inclusione del bagno all’interno dell’area RIR (doc. 15 e 16 fasc. 2° fase) risiede proprio nella sua vicinanza ai reparti di miscelazione e riempimento (vicinanza, peraltro, confermata anche dalla CTU)’.
19.1. Osserva il Collegio che il dedotto vizio non può reputarsi sussistente, perché l’inserimento del bagno nell’area a rischio, che si assume dimostrato dai richiamati documenti, non si può ritenere un fatto ‘decisivo’.
Invero, la Corte territoriale, in base a puntuale e diffusa motivazione, a sua volta, resa sulla scorta di apposita C.T.U., comprensiva di sopralluogo del consulente, ha comunque escluso la sussistenza di un pericolo in concreto all’atto della condotta contestata (tra l’altro ponendo in luce che la lavoratrice in quel frangente si trovava all’interno del gabinetto con le porte in alluminio, ossia, in materiale ignifugo, sia del bagno che del gabinetto, entrambe chiuse, e che parte datoriale non aveva indica to all’interno del bagno prescrizioni e accorgimenti che riguardano gli ambienti con pericolo di
esplosione (v. in extenso pagg. 18-19 della sentenza).
La ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore dei difensori della controricorrente, dichiaratisi anticipatari, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge, e distrae in favore dei difensori della controricorrente.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 18.12.2024.
La Presidente NOME COGNOME