Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 35128 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 35128 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 1407-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio legale COGNOME RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME, COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
Oggetto
Licenziamento per giusta causa
R.G.N. 1407/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 13/11/2024
CC
avverso la sentenza n. 3897/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/11/2021 R.G.N. 1322/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
con sentenza 2 novembre 2021, la Corte d’appello di Roma ha annullato il licenziamento per giusta causa intimato il 29 aprile 2019 da RAGIONE_SOCIALE ad NOME COGNOME e condannato la società alla sua reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori di legge e alla regolarizzazione della sua posizione retributiva: così riformando la sentenza di primo grado, di nullità del licenziamento siccome ritorsivo e comminato per un fatto inesistente, con la condanna della società alla sua reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria, commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, dal giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegrazione;
criticamente ricostruito l’ iter della vicenda tra le parti (licenziamento del lavoratore, impiegato presso la sede di Roma, il 21 luglio 2017 in esito a procedura di licenziamento collettivo avviata con lettera del 14 marzo 2017; ordinanza del 19 ottobre 2018 del Tribunale di Roma di reintegrazione del predetto, con ripresa del suo servizio il 29 novembre 2018 presso la nuova sede di Assago; comminazione il 26 febbraio 2019 -per contestato rifiuto di sottoposizione a visita medica di idoneità, oltre che per il rischio da videoterminale, anche per quelli elettrico e in altezza -della sanzione disciplinare della
sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per due giorni, non impugnata né contestata come recidiva quale elemento costitutivo dell’addebito disciplinare, ma alla stregua di criterio di proporzionalità del licenziamento per giusta causa annullato; annullamento del trasferimento del lavoratore ad Assago con sentenza del 4 marzo 2019 del Tribunale di Roma), la Corte territoriale ha negato la sussistenza della giusta causa del recesso datoriale. Essa ha escluso, infatti, la ricorrenza dell’inadempimento cont estato come insubordinazione, non avendo il lavoratore opposto alcun rifiuto all’assegnazione di mansioni, mai formalizzata né specificata nel contenuto. Tuttavia, non ha ritenuto la natura ritorsiva del licenziamento, in quanto non desumibile dall’illustr ato andamento del rapporto tra le parti;
sicché, ha rimodulato la tutela risarcitoria come sopra indicato;
con atto notificato il 29 dicembre 2021, la società ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c., cui il lavoratore ha resistito con controricorso;
il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380 bis 1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
CONSIDERATO CHE
la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 c.c., 48 CCNL Telecomunicazioni e per avere la Corte territoriale omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (ben deducibile non ricorrendo l’ipotesi di ‘doppia conforme’ per la diversità delle ragioni addotte dalle due Corti di merito a base della negazione dell’inadempimento del lavoratore, consistente nel rifiuto
dell’assegnazione sul progetto RAN2 cliente W3 con il gruppo di NOME COGNOME), quali le circostanze di fatto deponenti per detto rifiuto e travisato la prova documentale datoriale ( mail del 5 aprile 2019, di conferma del dottor NOME COGNOME coordinatore del progetto in questione, al lavoratore del suo inserimento in esso) di formali disposizioni ricevute, sia oralmente sia per iscritto, dal lavoratore dell’assegnazione di lavoro rifiutata: con integrazione pertanto, tenuto anche conto della recidiva contestata, della giusta causa del licenziamento intimato e della grave insubordinazione ai superiori a norma dell’art. 48 del CCNL (primo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c., 2697 c.c. e vizio di motivazione, per omessa ammissione della prova testimoniale reiteratamente dedotta su ‘fatti dotati di assoluto grado di decisività’ (secondo motivo);
essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;
è noto che l’attività di integrazione del precetto normativo compiuta dal giudice di merito sia sindacabile in sede di legittimità, a condizione che la contestazione del suo giudizio valutativo non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza del predetto giudizio rispetto agli standards , conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (Cass. 10 luglio 2018, n. 18170, in motivazione sub p.to 6.1; Cass. 6 settembre 2019, n. 22358, in motivazione sub p.to 3.1; Cass. 8 agosto, n. 22472, in motivazione sub p.to 3); non essendo invece sindacabile il concreto accertamento, sottostante il corretto procedimento di sussunzione del fatto contestato quale giusta causa di licenziamento, tuttavia escluso nel caso di specie dall’apprezzamento della Corte territoriale ;
3.1. la Corte territoriale ha esattamente applicato i principi di diritto in ordine all’opponibilità del rifiuto del lavoratore della prestazione richiesta alla stregua di eccezione di inadempimento, ai sensi dell’art. 1460 c.c. (richiamati al secondo capoverso di pg. 6 della sentenza), congruamente argomentato (nella scansione agli ultimi tre capoversi di pg. 6 della sentenza), pedissequamente ripresi, ‘come correttamente evidenziato nella sentenza reclamata e nella precedente ordinanza resa all’esito della fase sommaria del giudizio’ (così agli ultimi due alinea del secondo capoverso di pg. 6 della sentenza), con evidente inammissibilità dei vizi motivi dedotti sub specie di omesso esame di fatti per la ricorrenza di ipotesi di ‘doppia conforme’ (non avendo la ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo dedotto ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., fondatamente dimostrato la diversità delle ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello: Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass. 6 agosto 2019, n. 20994; Cass. 13 aprile 2021, n. 9656; anzi avendo la seconda richiamato quelle della prima).
Peraltro, essi sono stati pure esaminati dalla Corte capitolina con critica ed argomentata interpretazione dei documenti da cui risultanti (dal primo al quinto capoverso di pg. 5 della sentenza), pertanto insindacabile in sede di legittimità, in quanto spettante al giudice di merito che l’ha pure congruamente giustificata;
4. non si configurano poi, più specificamente, le violazioni: a ) dell’art. 115, per cui occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i
fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.; b ) né dell’art. 116 medesimo, ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo ‘prudente apprezzamento’, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutarla secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. S.U. 30 settembre 2020, n. 20867; Cass. 9 giugno 2021, n. 16016; Cass. 17 maggio 2023, n. 13518).
Ma neppure è stato violato l’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne sia onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395). E nemmeno, infine,
sussiste un travisamento del contenuto oggettivo della prova, che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio e trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c.; ma se il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio deve essere fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5 c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale (Cass. S.U. 5 marzo 2024, n. 5792); 5. le censure si risolvono allora, nella sostanza, in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e della ricostruzione della fattispecie operata dalla Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987), per esclusiva spettanza al giudice del merito, autore di un accertamento in fatto, argomentato in modo pertinente e adeguato a giustificare il ragionamento logico-giuridico alla base della decisione; 6. per le suesposte ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e le spese del giudizio regolate secondo il regime di soccombenza, con il raddoppio del contributo unificato, ove processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre spettante nella ricorrenza dei presupposti 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 13 novembre 2024