Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31434 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31434 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 27764-2022 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 660/2022 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 16/09/2022 R.G.N. 249/2022;
Oggetto
R.G.N. 27764/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 16/10/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
la Corte d’appello di Messina quale giudice del reclamo ex art. 1 della legge n. 92 del 2012, ha confermato la sentenza di primo grado che, in accoglimento della opposizione della società alla ordinanza resa all’esito della fase sommaria, aveva respinto la domanda di NOME COGNOME intesa all’accertamento della illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli in data 3 agosto 2012 da RAGIONE_SOCIALE sulla base di contestazione che ascriveva al lavoratore di avere, insieme ad altro dipendente, durante il turno lavorativo, abbandonato la propria postazione di lavoro recandosi nei pressi del ‘manifold’ di un serbatoio di benzina da dove aveva prelevato indebitamente del carburante da una tubazione;
per la cassazione della decisione ha proposto ricorso NOME COGNOME sulla base di tre motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso;
entrambe le parti hanno depositato memoria;
Considerato che
con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione degli artt. 116 e 89 c.p.c. con conseguente falsa applicazione dell’art. 5 della legge n. 604 del 1966 e dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970; la sentenza impugnata è censurata: a) per avere valorizzato la circostanza dell’avvenut a sottrazione di carburante dal medesimo collettore da parte del Pellegrino, avvenuta in data 21 giugno 2012, mai oggetto di contestazione, e quindi con violazione del principio di immutabilità della contestazione e
pregiudizio del diritto di difesa del lavoratore; b) per avere affermato che la sussistenza di un ‘ragionevole grado di probabilità’ del verificarsi dell’evento pote va giustificare la comminazione del provvedimento espulsivo pur senza la prova del fatto ma solo sulla base di elementi indiziari, con violazione del criterio di distribuzione dell’onere della prova facente capo inderogabilmente ex art. 5 della legge n. 604 del 1966 al datore di lavoro; c) per l’illegittima applicazione dell’art. 89 c.p.c. , avendo la Corte di merito disposto la cancellazione di un’espressione contenuta nell’atto di reclamo, senza considerare la frase per intero e senza chiarire la pretesa offensività della stessa;
con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 116 c.p.c., determinato dalla illegittima mancata valutazione degli atti e delle prove presenti nel giudizio, non richiamati nella loro complessiva comparazione ai fini della decisione; in particolare si duole della valutazione di inattendiblilità del teste Recupero ed assume, in sintesi, che dal complesso della prova orale emergeva un quadro differente rispetto a quello ricavato dalla sentenza impugnata;
con il terzo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c., denunziando omessa/ non corretta valutazione di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, consistente nella mancata partecipazione del Pellegrino al prelievo di carburante compiuto dal collega COGNOME;
il primo motivo di ricorso presenta plurimi profili di inammissibilità;
4.1. invero, la doglianza che denunzia violazione del principio di immutabilità della contestazione non è pertinente alle effettive ragioni che sorreggono la decisione. Ricordato che il principio di immutabilità della contestazione attiene al complesso degli elementi materiali connessi all’azione del dipendente e può dirsi violato solo ove venga adottato un provvedimento sanzionatorio che presupponga circostanze di fatto nuove o diverse rispetto a quelle contestate, così da determinare una concreta menomazione del diritto di difesa dell’incolpato la violazione il principio (Cass. n. 11540/2020; Cass. n.8293/2019), nel ragionamento decisorio della Corte di merito non è dato rinvenire alcuna violazione del detto principio come sopra ricostruito; nel contesto della motivazione, che ha esaminato in maniera articolata le emergenze di causa, il riferimento ai fatti avvenuti il 21 giugno 2012 è infatti utilizzato in funzione di ulteriore, indiretta, conferma dell’accertamento in ordine alla responsabilità del COGNOME (sentenza, pag. 20), accertamento incentrato esclusivamente sull’addebito relativo all’episodio del 29 giugno successivo, frutto di conclusioni tratte in via autonoma rispetto all’episodio del 21 giugno richiamato sulla base di articolato esame delle complessive emergenze probatorie;
4.2. parimenti è inammissibile la deduzione, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., di violazione dell’art. 2697 c.c., configurabile solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n.
15107/2013, Cass. n. 13395/2018); nella sentenza impugnata non è infatti in alcun modo ravvisabile un sovvertimento dell’onere probatorio, interamente gravante sulla parte datoriale, posto che la decisione è stata fondata sul compendio probatorio e non sull’applicazione della regola residuale dell’art. 2697, in relazione alla quale potrebbe, in tesi, venire in rilievo la violazione del criterio di ripartizione d ell’onere probatorio; neppure è configurabile la violazione dell’art. 2697 per l’utilizzo del ragionamento presuntivo che configura solo una possibile modalità di accertamento -per inferenza probabilistica da elementi indiziari e non in via diretta – della vocenda fattuale alla base della decisione;
4.3. è altresì inammissibile la deduzione di violazione e falsa applicazione dell’art. 89 c.p.c. in quanto il potere del giudice di merito di ordinare la cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive utilizzate negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati davanti al giudice è sottratto, per costante giurisprudenza di questa Corte (v., tra le altre, Cass. n. 27616/2020, Cass. n. 14659/2015), al sindacato di legittimità in ragione del suo carattere ordinatorio e non decisorio;
il secondo motivo di ricorso è inammissibile. Le censure articolate, pur veicolate sub specie di denunzia di vizio di attività del giudice di merito, si risolvono, infatti, nella sollecitazione di un diverso apprezzamento degli elementi alla base della ricostruzione fattuale del giudice di secondo grado, apprezzamento precluso al giudice di legittimità. Per costante giurisprudenza di questa Corte, al giudice di merito spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilità e concludenza nonché scegliere tra le complessive risultanze del processo quelle
ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge ( tra le altre, v. Cass. n. 18119/2008, Cass. n.5489/ 2007, Cass., n. 20455/ 2006, Cass. n. 20322/2005, Cass. n. 2537/2004);
il terzo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile risultando dirimente la considerazione della preclusione alla deduzione del vizio di motivazione scaturente dal disposto dell’art. 348 ter , ultimo comma c.p.c., ricorrendo un’ipotesi di <>, secondo quanto risultante dal confronto tra la sentenza di primo grado trascritta nel ricorso per cassazione e quella qui impugnata, non avendo peraltro l’odierno ricorrente indicato le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse, come suo onere (Cass. n. 5947/2023, Cass. n. 26774/ 2019, Cass. n. 19001/2016, Cass. n. 5528/2014);
all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali ed pagamento,nella sussistenza dei relativi presupposti processuali, dell’ulteriore importo del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre
spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 16 ottobre