Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23187 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23187 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 12252-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1086/2024 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 14/03/2024 R.G.N. 1760/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
30/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Fatti di causa
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza in atti, ha rigettato il reclamo proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso la
Oggetto
R.G.N. 12252/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 30/04/2025
CC
sentenza con cui il tribunale di Roma ha ritenuto ritorsivo di licenziamento irrogato a NOME COGNOME ed aveva condannato la società a reintegrare la lavoratrice ed a pagarle l’indennità prevista dalla legge.
La Corte d’appello ha rilevato anzitutto che il fatto contestato alla lavoratrice posto a base del licenziamento consisteva nell’aver presentato alla nuova gestione societaria una lettera di referenze recante un contenuto non corrispondente al vero e recante la sottoscrizione del precedente amministratore NOME COGNOME nella consapevolezza del carattere apocrifo della firma posta in calce e della non veridicità del suo contenuto. Inoltre ha rilevato che la società datrice di lavoro avrebbe dovuto provare non solo la materialità della condotta, ma anche l’elemento psicologico ossia la consapevolezza da parte della lavoratrice della falsità tanto del contenuto della lettera di referenze quanto della firma apposta in calce. Tale prova, come ritenuto già dal tribunale, non era stata fornita in giudizio dalla società reclamante.
Inoltre, la lavoratrice COGNOME aveva sempre ammesso di aver redatto personalmente la lettera di referenze in questione, il cui contenuto corrispondeva pure, in base alle prove assunte (documentali e testimoniali), alla realtà delle mansioni effettivamente svolte dalla lavoratrice, sicché andava escluso anzitutto il falso ideologico contestato alla lavoratrice.
Quanto al falso materiale, la Corte ha ritenuto, conformemente a quanto affermato dal tribunale, che la società non avesse fornito la prova della consapevolezza da parte della COGNOME della falsità della firma apposta in calce alla lettera di referenze. Risultava anzi il contrario dalle testimonianze del responsabile dell’amministrazione della società NOME COGNOME e dalla
testimonianza di NOME COGNOME che confermavano le difese della lavoratrice.
In sostanza, risultava dalle deposizioni che la COGNOME aveva ricevuto via mail la lettera di referenze firmata, che la stessa COGNOME aveva ritenuto che fosse stata sottoscritta da NOME COGNOME e che vi era una prassi aziendale per cui in assenza del COGNOME i documenti venivano fermati da altri lavoratori.
Per quanto riguardava la insussistenza del profilo ritorsivo la Corte ha rilevato la sopravvenuta carenza di interesse ad impugnare sotto tale aspetto, perché le parti avevano dato concordemente atto che la lavoratrice avesse optato in data 20.9.2022 per l’indennità sostitutiva della reintegra e che la stessa aveva ricevuto il pagamento di 10 mensilità della retribuzione globale di fatto, essendo decorsi 10 mesi dalla data del licenziamento alla data dell’esercizio del diritto di opzione, oltre a 15 mensilità di retribuzione per l’indennità sostitutiva della reintegra.
Ciò comportava che, anche in caso di eventuale conferma della natura ritorsiva del licenziamento riconosciuta dal tribunale nella sentenza reclamata, la tutela sarebbe stata sempre la stessa.
Avverso la sentenza ha proposto il ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE sulla base di due motivi ai quali ha resistito con controricorso NOME COGNOME
Le parti hanno depositato memorie prima dell’udienza. Il Collegio ha autorizzato il deposito della motivazione nel termine di 60 giorni dalla decisione.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 2119 e 2106 c.c. con riferimento all’articolo 360,
numero 3 c.p.c., nonché con riferimento all’articolo 360, numero 5 c.p.c. per avere la Corte omesso di esaminare il fatto decisivo per il giudizio, cioè la retrodatazione da parte della controricorrente della lettera di referenze (elaborata in data 17/2/2021) alla antecedente data del 23/9/2020, da far sottoscrivere al precedente legale rappresentante della società onde precostituirsi la prova dello svolgimento di mansioni riconducibili al superiore livello di inquadramento del CCNL. Si sostiene che la Corte d’appello non ha attribuito alcun rilievo ad una decisiva ed assorbente circostanza riferita al fatto che la COGNOME con condotta dolosa aveva predisposto la prova documentale dello svolgimento di mansioni superiori inviandola al collega di lavoro Bergamasco in data 17 febbraio 2021, costituita dalla lettera di referenze da far sottoscrivere ad NOME COGNOME precedente legale rappresentante della società retrodatandola al 23/9/2020.
1.1.- In primo luogo, laddove si reclama l’omessa valutazione di fatti decisivi, si tratta di censura inammissibile posto che la ricorrente denuncia l’esistenza del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. in una ipotesi preclusa dalla ricorrenza di una cd. ‘doppia conforme’ (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022), senza indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. n. 26774 del 2016; conf. Cass. n. 20944 del 2019).
In secondo luogo non risulta che quella denunciata sia una circostanza decisiva. La Corte ha valutato tutti i fatti e la retrodatazione non è un fatto diverso, nuovo e autonomo da quelli valutati.
La ricorrente ha sempre ammesso di aver redatto la lettera per intero ad esclusione della firma ed il nucleo essenziale del fatto è rappresentato dalla contestazione disciplinare.
2.- Col secondo motivo, si deduce la violazione degli articoli 1345, 1418 c.c. e 18, commi 1 e 2 della legge n. 300 del 70 in relazione all’articolo 360 n. 3 in quanto la Corte d’appello, una volta accertata la sussistenza della giusta causa di licenziamento per i motivi detti avrebbe dovuto affermare per ovvia conseguenza il principio di diritto sulla base del quale la comprovata legittimità del licenziamento escludeva in radice la sussistenza della ritorsività del recesso.
Il motivo è inammissibile perché non si confronta con la ratio decidendi atteso che la Corte d’appello ha ritenuto assorbito il motivo sul licenziamento ritorsivo affermando che fosse venuto meno l’interesse a pronunciarsi sulla ritorsività, perché le parti avevano dato concordemente atto che la lavoratrice avesse optato in data 20.9.2022 per l’indennità sostitutiva della reintegra e che la stessa avesse ricevuto il pagamento di 10 mensilità della retribuzione globale di fatto, essendo decorsi 10 mesi dalla data del licenziamento alla data dell’esercizio del diritto di opzione, oltre a 15 mensilità di retribuzione per l’indennità sostitutiva della reintegra.
Inoltre il motivo non ha una sua autonoma valenza, essendo chiaro che se fosse stato accolto il primo motivo sull’esistenza della giusta causa, non c’era ragione di pronunciare sul secondo o sul licenziamento ritorsivo.
3.- In base alle argomentazioni svolte il ricorso deve essere complessivamente rigettato; le spese di giudizio seguono la soccombenza.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in euro 5.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie, oltre accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 30.4.2025.