Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32439 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32439 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 22329-2022 proposto da:
NOME, COGNOME NOME, NOME, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE
– intimata – e sul RICORSO SUCCESSIVO N. 1 SENZA N.R.G. proposto da: COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME, COGNOME, NOMECOGNOME tutti elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO presso lo studio
Oggetto
Licenziamento per giusta causa
R.G.N. 22329/2022
COGNOME
Rep.
Ud.23/10/2024
CC
dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende;
– ricorrenti successivi n.1 –
contro
RAGIONE_SOCIALE
– intimata – e sul RICORSO SUCCESSIVO N. 2 SENZA N.R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente successivo n.2 –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
ricorrente incidentale ai suddetti ricorsi-
nonché contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente al ricorso incidentale – avverso la sentenza n. 3241/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 20/07/2022 R.G.N. 3748/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
con sentenza 20 luglio 2022, la Corte d’appello di Roma ha:
a ) accertato l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato da RAGIONE_SOCIALE con lettera 13 agosto 2020 a NOME COGNOME condannato la società alla sua reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento, in suo favore a titolo risarcitorio, di un’ indennità non superiore a dodici mensilità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori di legge, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali;
b ) rigettato i reclami di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la sentenza di primo grado, di reiezione delle loro impugnazioni, con distinti ricorsi riuniti, dei licenziamenti per giusta causa loro intimati da RAGIONE_SOCIALE s.p.a. il 13 agosto 2020, per avere essi in tre distinte occasioni (il 22 gennaio 2020 COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, insieme ad altro collega; il 28 gennaio 2020 NOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME; il 30 gennaio 2020 Misercola e COGNOME) mutilato la salma, servendosi di vari arnesi, di un cadavere tumulato in una cappella del cimitero Flaminio per riporne i resti in una cassetta ossario a fronte del p agamento di compensi (€ 300,00 nei primi due casi, € 50,00 nel terzo) da parte del titolare (nel primo episodio) o di addetti di tre diverse agenzie di onoranze funebri (nel secondo e nel terzo episodio) e di una congiunta (nel secondo episodio);
in esito ad argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie (DVD acquisiti dalla Procura della Repubblica, procedente nei
confronti dei predetti lavoratori per il reato di vilipendio di cadavere e truffa, i cui files sono stati oggetto di esame da C.t.u. esperita nella fase sommaria del giudizio di primo grado), la Corte territoriale ha accertato (salvo che per NOME COGNOME non fattivamente partecipe del fatto contestatogli, né tenuto quale operatore a compiti di controllo o garanzia nei confronti dei colleghi e neppure percipiente alcun compenso) la sussistenza dei fatti rispettivamente contestati. E ciò per le comprovate evidenti energiche manovre -anche mediante strumenti per operazioni di taglio e separazione per la disarticolazione dei resti dei cadaveri, non ancora mineralizzati, ossia tra loro disgiunti e pronti per la raccolta in cassette ossario -compiute dagli altri lavoratori, integranti giusta causa di licenziamento.
essa ne ha poi negato la tardiva intimazione (il 13 agosto 2020), ricorrendo la particolarità del caso giustificante, a norma dell’art. 21 n. 4 del CCNL di settore applicato, il superamento del termine di trenta giorni per la comunicazione dal completam ento dell’istruttoria (nel caso di specie, indotta dal ricevimento il 5 giugno 2020 da RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE dell’informazione di garanzia dalla Procura della Repubblica), indubbiamente complessa per l’esame delle posizioni dei lavoratori coinvolti sulla base degli atti di indagine della Procura e delle giustificazioni fornite;
con successivi atti (tre: rispettivamente di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME; di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME; di NOME COGNOME) notificati tutti il 19 settembre 2022, i suddetti lavoratori hanno proposto distinti analoghi ricorsi per cassazione con tre motivi, cui la società ha resistito con controricorso
contenente ricorso incidentale con tre motivi nei confronti di NOME COGNOME cui egli ha replicato con controricorso.
i ricorrenti COGNOME e altri, COGNOME e altri, la società controricorrente ricorrente incidentale e il lavoratore controricorrente hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c;
il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380 bis 1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
CONSIDERATO CHE
i ricorrenti principali hanno dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 2719 c.c., 215 c.p.c., nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c., per il fondamento della sentenza su filmati incompleti nei quali non sarebbero state inserite le immagini comprovanti l’innocenza dei lavoratori (primo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 5 legge n. 604/1966, 60, primo comma legge n. 92/2012, 206, 416, 112, 115 c.p.c. e conseguente nullità della sentenza, per mancanza di prova dei fatti contestati, in particolare riferimento alle risultanze di una C.t.u. incompleta in ordine all’esame della riproduzione filmata acquisita, tenuto conto delle contestazioni dei lavoratori e del loro consulente di parte sull’esatta ricostr uzione dei fatti e loro valutazione (secondo motivo);
essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili (come già ritenuto in analoga vicenda da questa Corte, con la sentenza 14 luglio 2023, n. 20402);
non si configura la violazione delle norme di legge denunciate, in assenza di errori di diritto, neppure sotto il profilo del vizio di sussunzione (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25
settembre 2019, n. 23851). I ricorrenti si dolgono piuttosto di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 29 ottobre 2020, n. 23927), oggi peraltro nei rigorosi limiti del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.;
3.1. le censure consistono in una sostanziale contestazione dell’accertamento in fatto della Corte territoriale, congruamente argomentato (dal secondo capoverso di pg. 5 all’ultimo di pg. 7 della sentenza), sul richiamo critico e puntuale delle conclusioni del C.t.u., con illustrazione delle precisazioni fornite alle critiche delle parti, peraltro ritenute generiche, in applicazione corretta del principio secondo cui il giudice del merito, che aderisca alla relazione del consulente tecnico d’ufficio, è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione, qualora siano state avanzate, sia dai consulenti di parte che dai difensori, critiche specifiche e circostanziate alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio (Cass. 2 1 novembre 2016, n. 23637; Cass. 11 giugno 2018, n. 15147; Cass. 6 maggio 2021, n. 11917).
Esse si risolvono in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e ricostruzione della fattispecie operata dalla Corte territoriale, esclusivamente spettanti al giudice del merito, autore di un accertamento in fatto, argomentato in modo pertinente e adeguato a giustificare il ragionamento logico-giuridico alla base della decisione, pertanto insindacabili in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n.
29404; Cass. S.U. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987);
i ricorrenti hanno quindi dedotto nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 18 legge n. 300/1970, 24 CCNL di settore applicato e motivazione apparente, per non avere la Corte capitolina esplicitato quale attività istruttoria complessa sarebbe stata svolta dalla datrice di lavoro sì da giustificare il superamento del termine di trenta giorni per l’irrogazione del licenziamento (terzo motivo);
esso è in parte inammissibile e in parte infondato;
6. il motivo è generico, in violazione del principio di specificità prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c., che ne esige l’illustrazione, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza i mpugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 23 gennaio 2019, n. 1845) per omessa confutazione dell’argomentato apprezzamento del lasso temporale per la comunicazione della sanzione espulsiva, in ordine alla ‘completata … istruttoria’ da esaurirsi ‘entro trenta giorni di calendario dal ricevimento da parte del lavoratore della contestazione scritta’ , alla stregua di ‘caso particolare’ giustificante una deroga del termine previsto dell’art. 21 n. 4 del CCNL di settore applicato.
La Corte ha ciò ritenuto, per il coinvolgimento di quindici lavoratori e la circostanza incontestata ‘in data 17.7.2020’ del ‘l’audizione di COGNOME NOME, NOME COGNOME e COGNOME NOME, oltre che di altri 5 lavoratori (fra cui il Misercola), come emerge dal doc. 10 del fascicolo della fase sommaria di
AMA’ (agli ultimi undici alinea di pg. 9 della sentenza): così avendo valutato le circostanze di fatto in concreto giustificanti o meno il ritardo, compiendo un accertamento tipicamente riservato al giudice di merito (Cass. 2 febbraio 2009, n. 2580; Cass. 10 settembre 2013, n. 20719; Cass. 19 giugno 2014, n. 13955);
7. la controricorrente a propria volta ha dedotto, in via di ricorso incidentale (tempestivamente notificato nel termine semestrale dalla pubblicazione della sentenza, in difetto di prova della sua comunicazione dalla Cancelleria, dedotta dal controricorrente NOME COGNOME, omesso esame di un fatto decisivo in relazione alla ritenuta inapplicabilità al predetto del licenziamento e violazione degli artt. 2119 c.c. e 7 legge n. 300/1970, per avere la Corte d’appello erroneamente escluso, pur dando atto della presenza del lavoratore al fatto illecito disciplinarmente contestatogli, la sua fattiva partecipazione ad esso, essendone sufficiente la compartecipazione morale, in funzione per così dire da ‘palo’, tenuto conto dei suoi videoregistrati allontanamenti dal luogo della disarticolazione del cadavere per poi ritornarvi e del suo cenno di intesa con il caposquadra dopo l’incontro con il rappresentante dell’agenzia funebre per l’incasso del compenso pattuito (primo motivo); violazione degli artt. 2697 c.c., 115, 116 c.p.c. e 132 c.p.c., per apparenza della motivazione, non avendo la Corte indicato gli elementi da cui avrebbe tratto l’estraneità del lavoratore al fatto contestato, non avendola egli dimostrata, nonostante la sua presenza al fatto, avendo anzi ‘con la lettera del 9 giugno 2020’ invocato ‘ la clemenza del datore di lavoro’ e chiesto ‘di essere riammesso in servizio dichiarandosi disposto, in caso di condanna in sede penale, ad accettare i licenziamento con rispetto’ (secondo motivo);
essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono in parte inammissibili e in parte infondati;
non sussiste un fatto storico, di cui sia stato omesso l’esame, trattandosi piuttosto di una inammissibile richiesta di rivalutazione valutazione di risultanze istruttorie, eccedente l’ambito devolutivo del novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053); né ricorre una violazione delle norme di legge solo formalmente denunciate, in assenza di errori di diritto, neppure sotto il profilo del vizio di sussunzione (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851). La ricorrente incidentale si duole piuttosto di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 29 ottobre 2020, n. 23927), oggi peraltro nei rigorosi limiti del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., qui non ricorrenti;
9.1. neppure si configura un vizio di motivazione apparente, comportante nullità della sentenza quale error in procedendo , ricorrente quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass. S.U. 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. 23 maggio 2019, n. 13977; Cass. 1 marzo 2022, n. 6758).
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha infatti reso argomentato e documentato conto dell’estraneità del lavoratore al fatto disciplinare contestatogli (a pg. 8 della sentenza)
9.2. le censure si risolvono allora in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e ricostruzione della fattispecie operata dalla Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987), per esclusiva spettanza al giudice del merito, autore di un accertamento in fatto, argomentato in modo pertinente e adeguato a giustificare il ragionamento logico-giuridico alla base della decisione;
la ricorrente incidentale deduce infine violazione e falsa applicazione dell’art. 18, quarto e quinto comma legge n. 300/1970, per avere la Corte erroneamente applicato la tutela reintegratoria per ‘insussistenza del fatto contestato’, senza una verifica della latitudine del fatto, se meramente materiale, pure in presenza di ‘condotte esistenti ed antigiuridiche’ (terzo motivo);
esso è infondato;
una volta esclusa una compartecipazione al fatto contestato del lavoratore, e quindi la sua commissione, la Corte territoriale ha correttamente applicato la tutela reintegratoria (ultimo capoverso di pg. 8 della sentenza), posto che la nozione di ‘insu ssistenza del fatto contestato’ (art. 18, quarto comma legge n. 300/1970 nel testo novellato) include l’ipotesi della mancata prova della commissione del fatto controverso, da parte del datore di lavoro onerato ai sensi dell’art. 5 legge n. 604 del 1966 (Cass. 15 ottobre 2018, n. 25717);
pertanto, il ricorso principale deve essere rigettato, così come il ricorso incidentale proposto nei confronti del Misercola,
con la regolazione delle spese del giudizio di legittimità secondo il regime di soccombenza, liquidate come in dispositivo e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte
rigetta entrambi i ricorsi principale e incidentale; condanna tutti i lavoratori ricorrenti in solido alla rifusione, in favore della società controricorrente, delle spese di giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 10.000,00 per compensi professi onali; condanna la società ricorrente incidentale alla rifusione, in favore del controricorrente COGNOME, delle spese di giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali; tutto oltre accessori di legge e rimborso per spese generali in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e incidentale, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2024