Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32431 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32431 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 21362-2022 proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE SAN RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 670/2022 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 04/07/2022 R.G.N. 377/2022;
Oggetto
Licenziamento disciplinare per giusta causa
R.G.N. 21362/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 23/10/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 596/2022, reclamata da NOME COGNOME sentenza che aveva respinto l’opposizione di quest’ultima all’ordinanza dello stesso Tribunale che, nella fase sommaria del procedimento ex lege n. 92/2012, pure aveva rigettato il ricorso della lavoratrice per l’impugnativa del licenziamento disciplinare, intimatole dall’Ospedale San Raffaele s.r.l. il 4.2.2020, a seguito di contestazione rivoltale il 19.12.2019, per addotta giusta causa costitui ta dall’impossessamento di materiale sanitario di proprietà datoriale.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale disattendeva il primo articolato motivo di gravame, con il quale la reclamante denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 2735 c.c. e 2697 c.c., in cui il Tribunale sarebbe, a dire della reclamante, incorso per avere attribuito valenza di confessione stragiudiziale alle dichiarazioni riportate nel verbale di perquisizione del 29.11.2019, benché -a suo avviso -viziato per assenza del difensore e dalla stessa non sottoscritto, oltre che privo di alcun elenco dei beni idonei ad attestare l’oggetto dell’affermato riconoscimento.
2.1. La Corte giudicava infondato anche il secondo motivo di reclamo, a mezzo del quale la decisione del primo giudice veniva censurata per avere ritenuto irrilevante l’assenza di verbali di sequestro probatorio e di restituzione dei beni reperiti, la quale aveva, invece, inficiato -secondo la reclamante -gli
accertamenti sottesi al procedimento disciplinare, per interruzione della ‘catena di custodia’ e conseguente incertezza in ordine alla quantità e qualità del materiale oggetto di addebito.
2.2. Ancora, riteneva che le critiche relative alla legittimità del procedimento disciplinare, oggetto del terzo motivo di gravame, erano anzitutto inammissibili, come correttamente eccepito dalla reclamata, in quanto formulate dalla COGNOME per la prima volta in fase di reclamo e, quindi, tardivamente. La Corte, inoltre, reputava le stesse critiche, in ogni caso, del tutto infondate, risultando la lettera di contestazione del tutto immune dalle censure di genericità, ad essa rivolte nell’atto di reclamo, come desumibile con tutta evidenza dal suo chiaro e dettagliato contenuto testuale.
2.3. Infine, giudicava non condivisibile anche l’ultima doglianza della reclamante, concernente la proporzionalità della sanzione espulsiva.
Avverso tale decisione NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
L’intimata resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento agli artt. 2700, 2735 c.c. e 63 c.p.p. (art. 360 n. 3 c.p.c.) Vizi del verbale di perquisizione e assenza di confessione’.
Con un secondo motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 5 l. n. 604/966 e art. 2697 c.c. Assenza di motivazione in ordine alla titolarità dei beni in capo ad HSE (art. 360 n. 3 c.p.c.)’.
Con un terzo motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 7 l. n. 300/1970, all’art. 18 S.d.L. e all’art. 2119 c.c.’.
Con un quarto motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 l. n. 300/1970 e degli artt. 27 e 28 CCNL con riguardo alla sproporzione della sanzione avuto riguardo agli elementi oggettivi e soggettivi (art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c.)’.
Il primo motivo è complessivamente infondato presentando rilevanti profili d’inammissibilità.
Come di recente ribadito (in Cass. n. 24793/2024), in termini generali, questa Corte ha affermato che la l’utilizzabilità delle prove (di cui all’art. 191 c.p.p.) è categoria propria del rito penale ed ignota al processo civile (cfr., ad es., Cass., sez. lav., 12.11.2021, n. 33809; id., sez. II, 25.3.2013, n. 7466).
6.1. Con precipuo riferimento, poi, alla pretesa violazione dell’art. 63 c.p.p., è consolidato l’indirizzo di legittimità secondo il quale, in base al principio del libero convincimento, il giudice civile può trarre elementi di prova, con adeguato vaglio critico, dalle dichiarazioni auto-indizianti rese nel procedimento penale, atteso che la sanzione d’inutilizzabilità, posta dall’articolo 63 del c.p.p. a tutela dei diritti di difesa in quella sede, non ha effetti fuori di essa (così Cass., sez. II, 12.2.2021, n. 3689, la quale ha evidenziato che l’assenza, nell’ordinamento processuale vigente, di una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, consente al giudice civile di porre, alla base del proprio
convincimento, anche prova cd. atipiche, quali, per l’appunto, le risultanze derivanti dagli atti delle indagini preliminari; e in termini esatti o analoghi Cass. n. 12577/2014; n. 28060/2017; n. 22984/2010).
6.2. Condivisibilmente, perciò, la Corte di merito nella propria motivazione appunto a tale indirizzo di legittimità ha fatto puntuale e motivato riferimento (cfr. facciate 8-9 della sua sentenza).
6.3. La stessa Corte, inoltre, correttamente ha ritenuto che il verbale di perquisizione redatto dai C.C. in data 29.11.2019, come tale, fosse atto che ‘riveste, anzitutto, ex art. 2700 c.c., piena valenza probatoria con riferimento alle circostanze in esso riportate, non avendo formato oggetto di querela di falso la quale, per quanto in ipotesi ancora proponibile, non spiega tuttavia effetto alcuno finché non effettivamente avanzata ed accolta’, riportando poi quanto attestato in tale verbale (cfr. facciat a 7 dell’impugnata sentenza).
6.4. Tali considerazioni, infatti, si riferiscono all’atto in questione, inteso come prova documentale munita di fede privilegiata delle dichiarazioni ammissive dell’attuale ricorrente in quel contesto.
La Corte del resto, contrariamente a quanto deduce la ricorrente, non ha invece attribuito valore di prova piena alle dichiarazioni come tali rese dalla COGNOME in occasione di quella verbalizzazione; ma ha anzitutto verificato che la stessa dichiarazione c onfessoria era stata ‘ripetuta più volte’, stando alle deposizioni raccolte ‘in sede sia civile che penale’ (v. facciate 7-8 della stessa sentenza).
6.5. Inoltre, sempre diversamente da quanto asserisce la ricorrente, la Corte di merito, in base ai principi di diritto dianzi richiamati, si è ritenuta investita del ‘vaglio critico’ di tali emergenze, vaglio critico che ha effettivamente ed ampiamente esercitato in base a tutte le risultanze processuali a disposizione (cfr. facciate 9-14).
Del resto, la stessa ricorrente assume che ‘La ricostruzione dei fatti da parte della Corte d’Appello è dunque stata erronea e omissiva in ordine alla valutazione di alcuni elementi di rilievo e decisivi ai fini del giudizio, emersi in corso di causa’.
Ed effettivamente la massima parte delle considerazioni svolte dalla ricorrente, da un lato, esprime una critica all’apprezzamento probatorio operato dalla Corte di merito, e, dall’altra, propone una diversa valutazione delle emergenze istruttorie, nell’am bito della quale la ricorrente ha introdotto anche un cenno al mezzo di cui all’ ‘art. 360 n. 5 c.p.c.’, in termini non meglio specificati (v. alla fine della facciata 18 del ricorso).
In definitiva, la Corte territoriale non ha violato l’art. 2735, comma primo, c.c. perché, trattandosi di confessione stragiudiziale resa a terzi (e, cioè, i carabinieri verbalizzanti e poi testimoni), essa è stata liberamente apprezzata insieme ad altre emergenze documentali e orali.
Analoghe considerazioni valgono per il secondo motivo.
Nella sentenza gravata, infatti, non si riscontra alcuna illegittima inversione dell’onere probatorio in violazione dell’art.
2697 c.c., né la Corte ha posto a carico della lavoratrice l’onere della prova di cui all’art. 5 L. n. 604/1966.
10.1. Anche in questa censura, del resto, inammissibilmente la ricorrente muove una critica all’apprezzamento probatorio operato dalla Corte di merito (cfr. facciate 20-23 del ricorso), ed alla stessa riservato.
A tanto aggiunge la deduzione di una ‘assenza di motivazione in ordine alla titolarità dei beni in capo a RAGIONE_SOCIALE‘; assenza di motivazione che – in disparte il rilievo che non è fatta valere quale error in procedendo ex art. 360, comma primo, n. 4) o n. 5), c.p.c., assumendo la nullità dell’impugnata sentenza -non si riscontra affatto nei motivi della sentenza impugnata (cfr. di nuovo facciate 9-14 della stessa).
Il terzo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
La ricorrente nell’ambito di tale censura deduce anzitutto che: ‘La sentenza oggetto della presente impugnazione è erronea poiché non ha considerato il vizio di tardività da cui è affetta la procedura disciplinare essendo stata avviata ad oltre tre settimane dal fatto’.
Ora, secondo le Sezioni unite di questa Corte, qualora nel ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per no vità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar moto alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di
tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (così Cass., sez. un., 27.1.2020, n. 1718).
13.1. Ebbene, dall’impugnata sentenza non risulta assolutamente che, sia pure in secondo grado, la ricorrente avesse sollevato la questione della tempestività della contestazione disciplinare, né che la Corte di merito si sia occupata di tale aspetto.
E la ricorrente neanche deduce se, come e quando abbia dedotto detta questione almeno in sede di reclamo, con conseguente inammissibilità del terzo motivo in parte qua .
Quanto, poi, alla parte della censura che si riferisce alla differente questione della genericità della stessa contestazione disciplinare, la ricorrente anzitutto non censura la prima ratio decidendi in rito a riguardo della Corte di merito, che era nel senso dell’inammissibilità per essere state le critiche ‘formulate da COGNOME per la prima volta nella presente fase processuale e, quindi, tardivamente’.
Comunque, la Corte territoriale si è poi espressa nel merito della specificità della contestazione disciplinare, che ha anzitutto riportato nel suo non breve ‘contenuto testuale’, giudicato ‘chiaro e dettagliato’ (v. in extenso facciate 14-15 della sua sentenza).
Secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, posto che la previa contestazione dell’addebito, necessaria in funzione dei licenziamenti qualificabili come disciplinari, ha lo scopo di consentire al lavoratore l’immediata difesa e deve conseguentemente rivestire il carattere della specificità, che è integrato quando sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti
nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari, l’accertamento relativo al requisito della specificità della contestazione costituisce oggetto di una indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimità, salva la verifica di logicità e congruità delle ragioni esposte dal giudice di merito (così Cass., sez. lav., 31.5.2022, n. 17721; id., sez. lav., 12.5.2015, n. 9615). E’ stato, inoltre, specificato che l’apprezzamento del requisito della specificità della contestazione -da condurre secondo i canoni ermeneutici applicabili agli atti unilaterali -è riservato al giudice di merito, la cui valutazione è sindacabile in cassazione solo mediante precisa censura, senza limitarsi a prospettare una lettura alternativa a quella svolta nella decisione impugnata (Cass., sez. lav., 30.5.2018, n. 13667).
Nella specie, la Corte distrettuale, dopo aver apprezzato l’esteso testo della contestazione disciplinare, comprensivo di un nutrito elenco di ‘materiale sanitario ad uso ospedaliero’, ha osservato che: .
16.1. Ebbene, a tale preciso apprezzamento la ricorrente contrappone una propria differente lettura della contestazione disciplinare in termini di genericità, in base a una serie di argomenti estranei al contenuto e all’interpretazione del testo della contestazione scritta, oltre che generici o assertivi.
Deduce, infatti, che ‘Il licenziamento, circostanza non considerata dalla Corte d’appello, è viziato anche in ragione dell’integrazione delle ragioni dell’addebito effettuata senza termini a difesa da RAGIONE_SOCIALE in occasione della lettera di licenziamento, come r ilevato nella sezione che precede’.
Lamenta il mancato .
Asserisce ancora che: ‘A nulla rileva, dunque, che la contestazione disciplinare formalizzata alla Sig.ra COGNOME fosse o meno idonea a mettere in condizione la lavoratrice di rendere le proprie giustificazioni, come sostenuto dalla Corte territoriale’.
17. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
Rileva in tal senso il Collegio che la censura difetta di specificità, perché non si confronta assolutamente con la precipua motivazione resa dalla Corte d’appello circa l’analogo motivo di reclamo ‘concernente la proporzionalità della sanzione espulsi va’ (cfr. facciate 16 -17 della sua sentenza).
18.1. In particolare, la ricorrente non considera che la Corte territoriale, prim’ancora di prendere in esame previsioni contrattuali collettive, aveva subito sostenuto che: ‘L’accertata sottrazione dei rilevanti quantitativi di materiale di proprietà
datoriale costituisce, infatti, grave negazione degli obblighi fondamentali connessi al rapporto di lavoro, idonea a ledere in modo irreparabile il sotteso vincolo fiduciario ed incompatibile con la sua prosecuzione per quanto provvisoria.
Tale valutazione, basata sull’illiceità della condotta, di rilevanza anche penale, prescinde dal valore meramente economico dei beni, precludendo in radice una prognosi favorevole in ordine alla futura correttezza nell’adempimento dei propri obblighi, da parte della lavoratrice.
Risulta, pertanto, irrilevante ogni considerazione in ordine alla perdita di valore determinata dalla sopravvenuta scadenza di parte del materiale o dalla sua parziale inutilizzabilità, tanto più in quanto riconducibili proprio dall’impossessamento compiut o dalla stessa lavoratrice’.
18.2. Non tiene conto, poi, la ricorrente del dato che la Corte territoriale, dopo aver considerato quanto previsto dall’art. 28, 8° comma, lett. d), del CCNL secondo la società datrice applicato al rapporto di lavoro, ha motivatamente spiegato perché ‘neppure il diverso CCNL SANITA’, invocato nell’atto di opposizione, sorregge la tesi sostenuta nel motivo di reclamo in esame’ (v. in extenso facciata 17 dell’impugnata sentenza).
La censura, inoltre, si fonda anche su un differente accertamento fattuale nella parte in cui si assume che il valore complessivo del materiale ‘fosse davvero esiguo’, per giunta in base ad un ‘calcolo’ che la stessa ricorrente dà per ‘approssimativo’ (v. facciata 28 del ricorso).
La ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle
spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del