Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1342 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1342 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 24963-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
R.G.N. 24963/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 05/12/2023
CC
avverso la sentenza n. 482/2020 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 31/07/2020 R.G.N. 442/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/12/2023 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Fatti di causa
La Corte d’appello di Milano con la sentenza in atti ha rigettato il reclamo proposto dal Credito Emiliano S.p.A. nei confronti della sentenza emessa dal tribunale di Milano che aveva accertato l’illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato a COGNOME NOME in data 16/2/2018 e condannato la società datrice di lavoro alla reintegra del lavoratore ed al pagamento di una indennità risarcitoria detratto l’aliunde perceptum, oltre accessori nella misura indicata.
A fondamento della sentenza la Corte ha osservato, in primo luogo, per quanto riguardava la contestazione relativa alla formazione, che pur a fronte di una contestazione disciplinare ampia nel titolo, nel corpo della stessa non fosse stata indicata alcuna condotta specifica di ‘ scarsa collaborazione e d isponibilità’ da parte del lavoratore limitandosi la contestazione ad indicare la disponibilità ad affiancarlo offerta al lavoratore da parte del superiore gerarchico COGNOME e di altri due colleghi, COGNOME e COGNOME nonché ad elencare in maniera generica alcuni affiancamenti effettuati dai predetti colleghi senza nemmeno quantificarli e collocarli nel tempo. Rilevava inoltre che ‘in ogni caso, dall’istruttoria testimoniale svolta è emerso in maniera pacifica che il ruolo coperto da
COGNOME era di nuova costituzione, che per tale motivo questi aveva difficoltà a svolgere autonomamente alcune attività, che per tale motivo era stato affiancato da alcuni colleghi e anche se in maniera sporadica, che ogni volta che la signora COGNOME si recava in filiale lui le rappresentava la necessità di approfondire aspetti relativi alle procedure informatiche, che aveva partecipato a corsi e videoconferenze proprio per curare la propria formazione, che mai aveva rifiutato l’affiancamento o di svolgere le proprie mansioni nè aveva mostrato scarsa collaborazione.’
Quindi, dopo aver richiamato le testimonianze rese nel giudizio, la Corte di appello ha osservato, quanto all’asserita obbligatorietà dei corsi online, che il CCNL era stato allegato non in maniera integrale ed era privo proprio del capitolo 10º (addestramento formazione criteri di sviluppo professionale di carriera valutazione del lavoratore lavoratrice). Inoltre, in assenza di una qualsiasi indicazione da parte della banca, non era ravvisabile nel codice di comportamento interno un riferimento specifico alla formazione, né tantomeno all’obbligo di formazione online. In ogni caso, come evidenziato dal primo giudice, risultava in maniera documentale che dei trenta corsi previsti entro il 31/12/2017 COGNOME nel periodo da febbraio 2017 al 22/11/2017 ne aveva seguiti undici ed era stato assente a due corsi per malattia e ferie .
Per quanto riguardava gli altri episodi oggetto della contestazione essi dovevano ritenersi tardivi e generici; in
ogni caso non rilevanti, trattandosi soltanto di due episodi non indicativi di una generale negligenza e/o rifiuto di svolgere la prestazione di lavoro da parte del COGNOME .
La Corte osservava ancora che dal testo integrale della contestazione non risultava alcuna contestazione di insubordinazione intesa come rifiuto di collaborare e svolgere la propria attività. Nessun significato disciplinare aveva invece l’atteggiamento di asserita insicurezza nell’utilizzo delle procedure, che era stato ammesso dallo stesso COGNOME che lo aveva sempre imputato al fatto di non aver mai svolto quelle attività. E cio’ era confermato dalla stessa società e da tutti i testi i quali avevano ammesso che il ruolo di GSF era di nuova costituzione.
Infine, secondo la Corte, la ricorrente aveva impostato la contestazione su un ipotetico scarso rendimento del RAGIONE_SOCIALE che era stato correttamente esaminato ed escluso dal primo giudice; anche perché la produttività del lavoratore era stata paragonata a quelli di altri colleghi, ma il dato comparativo utilizzato da Credem non appariva idoneo a valutare la performance del lavoratore; sia in quanto la comparazione era stata attuata fra posizioni esistenti non all’interno della stessa filiale ne’ territorio, sia in quanto la comparazione era stata effettuata dopo soli dieci mesi dall’assegnazione di COGNOME a mansioni per lui nuove ed i suoi risultati erano stati messi appunto a confronto con quelli di colleghi non facenti parte della stessa filiale né assegnati al medesimo territorio.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione Credito RAGIONE_SOCIALE con cinque motivi ai quali ha resistito con controricorso COGNOME NOMECOGNOME
Le parti hanno depositato memorie. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo di ricorso è stato dedotta la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. ed art. 115 c.p.c. in relazione alle circostanze oggetto di contestazione disciplinare e sussistenza degli addebiti disciplinari ex articolo 360 n. 3 c.p.c.
Con il suddetto motivo la ricorrente deduce l’omessa valutazione di elementi di prova di cui la sentenza non avrebbe tenuto conto in relazione a fatti allegati e non contestati ai sensi dell’art. 115 c.p.c. e dunque da ritenersi risultanze probatorie divenute pacifiche. Si faceva riferimento in particolare alle circostanze di prova relative alla istituzione a febbraio 2017 per tutta la banca del ruolo di GSF; alla presentazione del ruolo e alle mansioni assegnate al RAGIONE_SOCIALE; alla formazione, corsi e affiancamento; al rifiuto di contattare la clientela affiancamento, all’assenza di riscontro delle richieste del direttore affiancamento, alla necessità di ricorso ad una risorsa esterna oltre che al lavoro dell’R.D.F. Ricca per smaltire gli arretrati non gestiti dall’odierno resistente affiancamento; ai dati di proposte gestite dal COGNOME e lavorati nel periodo oggetto di
contestazione, oltre che i dati nazionali, territoriali e regionali affiancamento.
1.1.- Il motivo deve ritenersi inammissibile sotto diverse angolazioni.
In primo luogo, perché non rispetta il principio di specificità ed autosufficienza non essendo stato allegato da dove risulti la non contestazione. Ed invero ove con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata “pacifica” tra le parti, il principio di autosufficienza del ricorso impone al ricorrente di indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica ( Cass. n. 10761 del 04/04/2022; n. 24062 del 2017, 15961 del 2007).
1.2. In secondo luogo, lo stesso motivo mira ad offrire una lettura alternativa dei fatti di causa, proponendo in questa sede di cassazione una rivisitazione della quaestio facti attraverso una nuova e generale rilettura delle prove, selezionate dalla ricorrente in termini differenti da quelli adoperati dalla Corte di merito deputata allo scopo. Esso afferisce quindi all’accertamento di merito effettuato dalla Corte di merito, nei temini già detti nelle premesse, in ordine al contenuto delle contestazioni, all’effettiva prestazione resa dal lavoratore ed alle relative circostanze; accertamento che è di pertinenza del giudice di merito ed il cui sindacato è inibito a questa Corte di legittimità , salvo lo specifico vizio denunciabile in cassazione ex art. 360, primo comma, n. 5,
cod. proc. civ., relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
1.3. Ne consegue che, come statuito sul punto dalle Sez. Un. sentenza n. 8053 del 07/04/2014, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. (Cass. n. 27815/2018).
Pertanto, nella sostanza, nonostante la denuncia formale di errori di diritto, in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, come è reso palese dal costante riferimento agli atti di causa, le censure sollevate con il motivo propongono una valutazione ed una selezione del materiale probatorio diversa da quella operata dai giudici del merito, postulando un
sindacato chiaramente inibito in sede di legittimità (Cass 2019 n. 30577).
1.4. Gli stessi riferimenti agli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c. risultano inappropriati. Innanzitutto, perché la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorché motivato, del giudice di merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge (Cass. n.21603 del 2013).
Ed inoltre perché, in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità.
In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e
dunque nei limiti, già evidenziati, consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012 (in termini: Cass. 23940 del 2017; v. più in generale: Cass. n. 25192 del 2016; Cass. n. 14267 del 2006; Cass. n. 2707 del 2004).
1.5. Per di più, la denunciata violazione dell’art. 115 c.p.c. non è dedotta in conformità dell’insegnamento nomofilattico (v. Cass. n. 11892 del 2016) che, a proposito dell’articolo 115 c.p.c., indica che la violazione “può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre’.
1.6. Va inoltre evidenziato che nel caso in esame si verte pure in un caso di ‘doppia conforme’ il che preclude la possibilità di sollevare vizi di omessa valutazione di un fatto decisivo (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, com ma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022), senza indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando
che esse sono tra loro diverse (v. Cass. n. 26774 del 2016; conf. Cass. n. 20944 del 2019).
1.7. Si aggiunga che la deduzione della violazione dell’articolo 2697 c.c. risulta esorbitare dalle modalità che la giurisprudenza consolidata ha assegnato a tale paradigma, statuendo che la violazione della norma si configura solo se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basata sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni.
2.- Con il secondo motivo si deduce l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in relazione alla sussistenza dei fatti contestati e legittimità/validità del licenziamento ex art. 360 c. 1 n.5. c.p.c.
Il motivo è inammissibile, posto che, come già detto, il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. è precluso dalla ricorrenza di una ipotesi di c.d. ‘doppia conforme’ (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le m odifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022), non essendo state indicate le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, e dimostrato che esse sono tra loro diverse (v. Cass. n. 26774 del 2016; conf. Cass. n. 20944 del 2019).
3.Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1367 c.c. nell’interpretazione della lettera di contestazione disciplinare in relazione all’articolo 360 comma 1 numero 3 c.p.c.
Il terzo motivo relativo alla pretesa violazione delle regole di ermeneutica nell’interpretazione della lettera di contestazione è infondato, atteso che la ricorrente non censura realmente una errata applicazione dei criteri interpretativi negoziali previ sti dalla legge, quanto piuttosto il risultato dell’attività ermeneutica in quanto tale , siccome non rispondente a quello desiderato dalla stessa parte.
Com’è noto, anche l’accertamento della volontà negoziale si sostanzia in un accertamento di fatto (tra molte, Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 12360 del 2014), riservato all’esclusiva competenza del giudice del merito (cfr. Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006); tali valutazioni del giudice di merito soggiacciono sì, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato circa la verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, ma la denuncia della violazione delle regole che presiedono all’interpretazione dei contratti non può certo risolversi nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella criticata (tra le innumerevoli: Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 12468 del 2004; Cass. n. 22979 del 2004, Cass. n. 7740 del 2003; Cass. n. 12366 del 2002; Cass. n. 11053 del 2000).
Nella specie, al cospetto dell’approdo esegetico cui è pervenuta la Corte distrettuale, la parte ricorrente, nella sostanza, si limita a rivendicare un’interpretazione alternativa, ad essa più favorevole; ma per sottrarsi al sindacato di legittimità quella data dal giudice al testo negoziale non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di un testo negoziale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n. 10131 e 18735 del 2006).
Nel caso in esame, come ricordato nelle premesse in fatto, la Corte ha effettuato una ricostruzione logica ed argomentata della contestazione elevata al lavoratore; e quella operata dalla Corte risulta appunto un’opzione esegetica fondata sulle prove raccolte in giudizio, conforme ai criteri dettati dalla legge e che, in quanto adeguatamente e coerentemente motivata, si sottrae alle censure sollevate in ricorso.
4.- Con il quarto motivo si prospetta violazione e/o falsa applicazione dell’art.116 c.p.c. in relazione all’omesso esame del doc.15 ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. che avrebbe consentito di provare il fondamento della contestata assenza di collaborazione.
Con tale motivo la ricorrente lamenta l’omesso esame del doc.15 prodotto dalla banca relativamente alla formazione
ricevuta dal signor COGNOME il cui esame sarebbe stato decisivo ai fini della prova dell’avvenuta formazione rispetto alla contestazione di mancata collaborazione da parte del signor COGNOME il quale sebbene messo nelle condizioni di poter beneficiare dei corsi di formazione ha sempre rifiutato di collaborare e imparare ciò su cui era stato ampiamente formato.
5.Con il quinto motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 421 c.p.c. in relazione al doc. 26 prodotto dalla banca ( doc. 19 fascicoletto) ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio sub art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. In tale motivo la ricorrente deduce che sin dal primo atto di costituzione aveva allegato nel doc. 26 i fatti storici relativi ai dati di ‘lavorato’ delle pratiche/segnalazioni generate dai GSF e dei ‘post -It’ al fine di una valutazione della inattività del signor COGNOME e negligente prestazione lavorativa rispetto ai colleghi. La banca aveva allegato anche la natura decisiva dei fatti storici contenuti in tale documento che appunto attestavano l’attività svolta, sede per sede, filiale per filiale, regione per regione, le pratiche assegnate e svolte dal GSF. Ebbene la sentenza de quo ha omesso del tutto di esaminare questo documento erroneamente liquidandolo come non intellegibile.
6.- I motivi 4 e 5 non possono essere accolti. Le censure proposte con i due motivi di ricorso violano anzitutto l’onere di specificità e di autosufficienza del ricorso, di cui agli artt.
366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c.; pur nella versione dell’onere di specificazione modulata in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa COGNOME ed altri c/Italia), secondo i criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti per la parte d’interesse in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (cfr. Cass. 04/02/2022 n. 3612).
Esse difettano inoltre di decisività perché trascurano la valutazione effettuata dalla Corte di merito, ed in termini ampi, sia in materia di formazione, sia in materia di rendimento.
Anche relativamente al doc. n. 26 la Corte di appello non si è limitata a rilevare la inintelligibilità del documento, ma ha bensì rimarcato che mancava a monte persino una spiegazione sulla sua rilevanza fattuale da parte della banca, che nella fattispecie era del tutto assente. Mentre non è risultato fosse stato sollecitato in proposito il potere d’ufficio ex art. 421 c.p.c., di cui viene quindi dedotta la violazione in maniera infondata ed irrituale.
I motivi difettano dunque di specificità e decisività, perchè non si confrontano con le ragioni della decisione e mirano in definitiva a rimettere in discussione il giudizio formulato dalla
Corte sulla rilevanza e pertinenza delle prove che resta una valutazione discrezionale del giudice di merito; e tale potere, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, è censurabile in sede di legittimità non già sotto il profilo della violazione di legge ma eventualmente sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. sentenza n. 21603 2013, sentenza n. 30577 del 2019); non deducibile tuttavia nel caso di specie per la ricorrenza di un’ipotesi di doppia conforme.
7.- In conclusione, sulla scorta delle premesse, il ricorso deve essere respinto; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’u lteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della
legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5 dicembre