Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23841 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 23841 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 27783-2021 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che lo rappresentano e difendono unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 510/2021 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 25/08/2021 R.G.N. 719/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
26/06/2024 dal AVV_NOTAIO Dott. COGNOME.
Oggetto
Licenziamento ex lege n. 92 del 2012
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 26/06/2024
CC
RILEVATO CHE
In data 4.7.2018 la RAGIONE_SOCIALE intimava il licenziamento per giusta causa al dipendente NOME COGNOME, con mansioni da ultimo di addetto al magazzino (carico e scarico delle merci provenienti dai fornitori) sulla base della contestazione di avere ef fettuato il caricamento di bancali ‘EPAL’ e ‘a perdere’ in numero maggiore rispetto a quelli consegnati (con un differenziale complessivo di 149).
Impugnato il recesso, il Tribunale di Treviso dichiarava illegittimo il licenziamento per la irrilevanza disciplinare delle condotte, che erano state riferite solo ad alcuni giorni di quelli contestati, al più punibili, come per la mera negligenza, con una multa.
La Corte di appello di Venezia, con la sentenza n. 510/2021, in riforma della pronuncia di primo grado, rigettava le originarie domande del lavoratore ritenendo legittimo il licenziamento.
I giudici di seconde cure rilevavano che: a) erano ammissibili i documenti relativi alla relazione investigativa e agli atti del procedimento penale relativo ai fatti oggetto dell’addebito disciplinare; b) dalla relazione interna e dalle dichiarazioni rese in sede penale dalla informatrice COGNOME, erano risultate dimostrate le condotte addebitate per quattro operazioni e complessivi dodici ‘EPAL’; c) la tenuità del danno patrimoniale subito non incideva sulla gravità dei fatti connessi attesa la continuità della condotta più volte reiterata; d) la contestazione non era tardiva (31 maggio rispetto alla relazione interna delle guardie giurate del 21.5. e di quella investigativa, commissionata ad una società esterna, del 14 maggio; e) anche la irrogazione della sanzione non era tardiva in quanto l’11.6.2018 si era tenuta l’audizione del lavoratore ed il 20 giugno successivo era stata comunicata la proroga ai sensi del CCNL di categoria (art. 227 co. 2).
Avverso la decisione di secondo grado proponeva ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE affidato a quattro motivi cui resisteva con controricorso la RAGIONE_SOCIALE.
Le parti hanno depositato memorie.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si denuncia la violazione degli artt. 2727, 2729 cc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte distrettuale ritenuto provati gli addebiti mossi per presunzione senza procedere, però, in violazione al disposto di cui all ‘art. 2729 cc ad alcuna valutazione critica in ordine alla gravità, precisione e concordanza degli elementi indiziari posti a base del ragionamento presuntivo.
Con il secondo motivo si eccepisce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 421 e 437 cpc, in materia di poteri istruttori del giudice, a sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per avere la Corte distrettuale, pur a fronte di una prova documentale decisiva (rappresentata da una videoregistrazione dei fatti posti a base del licenziamento) in possesso del datore di lavoro, ritenuto sussistenti gli addebiti sulla base di una prova meramente indiziaria anziché disporre di ufficio l’acquisizione delle videoregistrazioni.
Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 2697 cc, con riferimento alle nozioni, dallo stesso presupposte, di fatto costitutive del diritto azionato in giudizio e di fatto impeditivo della sua efficacia, per non avere la Corte di appello ritenuto, con riferimento ad un licenziamento disciplinare per giusta causa, quale fatto impeditivo la mancanza di un fatto (cd. restituzione differita) la cui sussistenza escludeva, invece, di per sé la configurabilità dell’inadempimento e per avere la Corte d i merito, conseguentemente, onerato il lavoratore, in violazione dell’art. 5 legge n. 604/66, di fornire la prova di tale fatto, anziché di onerare il datore di lavoro della assenza dello stesso.
Con il quarto motivo si censura la violazione dell’art. 2106 cc in ordine al requisito della proporzionalità, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per l’errata valutazione, da parte dei giudici di seconde cure,
del relativo giudizio tra la mancanza addebitata (anche sotto il profilo del danno arrecato) e la sanzione irrogata.
I primi tre motivi, che per la loro connessione logico-giuridica possono essere esaminati congiuntamente, presentano profili di infondatezza e di inammissibilità.
Va preliminarmente sottolineata l’inammissibilità di tutte le doglianze che tendono ad ottenere la revisione del ragionamento decisorio del giudice, non sindacabile in sede di legittimità, in quanto la Corte di cassazione non può mai procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. n. 91/2014; Cass. S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 5024/2012) e non potendo il vizio consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass. n. 11511/2014; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 6288/2011; Cass. n. 6694/2009; Cass. n. 15489/2007; Cass. n. 4766/2006).
Pertanto, con riguardo alle prove, mai può essere censurata la valutazione in sé degli elementi probatori secondo il prudente apprezzamento del giudice (Cass. 24155/2017; Cass. n. 1414/2015; Cass. n. 13960/2014).
Nella fattispecie la Corte territoriale è giunta alla conclusione, in ordine alla dimostrazione di parte degli addebiti, comunque idonei a giustificare il disposto licenziamento, attraverso la valutazione dei seguenti elementi di prova: a) la relazione interna; b) le informazioni rese in sede di indagini preliminari dalla informatrice COGNOME; c) le dichiarazioni del teste COGNOME. La Corte di appello si è poi pronunciata sulle eccezioni sollevate dal lavoratore con riguardo al valore probatorio della relazione e delle sommarie informazioni della COGNOME, ritenendole infondate, e sulla questione riguardante le modalità di conservazione delle videoregistrazioni presso la sede di Milano della società, ove era stata redatta la relazione ivi operando il
responsabile della sicurezza, sottolineando che non era ravvisabile alcun vulnus per il diritto di difesa del lavoratore e che in relazione ad essa non era stata avanzata, nell’interesse dell’incolpato, una istanza di esibizione o un eventuale disconoscimento del materiale probatorio; infine, i giudici di seconde cure hanno precisato che la dedotta questione della procedura dei ‘buoni’, con riguardo ad una restituzione cd. differita, non era stata mai richiamata dal COGNOME quale fatto impeditivo, a giustificazione sul piano operativo della discrepanza tra bancali scaricati e quelli eccedentari caricati, e che quindi l’ipotesi alternativa era rimasta tale e non incideva sulla ricostruzione processuale del fatto: il tutto in un contesto in cui l’attività assegna ta al dipendente era meramente esecutiva. Alla luce di tali considerazioni è stata ritenuta superflua l’istruzione della causa.
Si tratta di accertamenti di merito, argomentati con motivazione esente dai vizi di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, nuova formulazione ratione temporis applicabile, per cui non sono sindacabili in sede di legittimità.
Ciò premesso in punto di fatto, sotto il profilo delle asserite violazioni di legge va osservato quanto segue.
Non è ravvisabile alcun vizio del ragionamento logicogiuridico posto a base della decisione in quanto, nella prova per presunzioni, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 cc, non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’id quod plerumque accidit , sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza (Cass. n. 1163/2020): nel caso in esame, come detto, sono state, invece, valutate specifiche risultanze istruttorie opinate dalla Corte territoriale idonee a ritenere dimostrati i fatti.
Quanto, poi, ad un asserito mancato esercizio dei poteri officiosi ex art. 437 cpc da parte della Corte di appello, deve rilevarsi
che pure tale doglianza è infondata in quanto tale vizio può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento (Cass. n. 27415 del 2018; Cass. n. 5654 del 2017).
Anche la censura, infine, concernente il mancato utilizzo dei poteri istruttori prescritti dall’art. 421 cpc in ordine all’acquisizione della videoregistrazione, è inammissibile perché non si confronta con quanto sopra riportato dalla Corte territoriale in ordine alla rilevanza ed efficacia probatoria dei filmati.
Deve, infine, ribadirsi che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 n. 5 c.p.c., cfr. Cass. n. 13395/2018).
Il quarto motivo è infondato.
In tema di licenziamento per giusta causa, l’accertamento dei fatti ed il successivo giudizio in ordine alla gravità e proporzione della sanzione espulsiva adottata sono demandati all’apprezzamento del giudice di merito, che – anche qualora riscontri l’astratta corrispondenza dell’infrazione contestata alla fattispecie tipizzata contrattualmente -è tenuto a valutare la legittimità e congruità della sanzione inflitta, tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda, con giudizio che, se sorretto da adeguata e
logica motivazione, è incensurabile in sede di legittimità (Cass. n. 26010/2018).
Nel caso de quo la Corte territoriale ha considerato rilevante la condotta sul piano disciplinare e, in particolare, la sua attitudine ad incrinare irrimediabilmente il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, anche tenendo conto della esiguità del valore commerciale dei beni perduti (Cass. n. 12798/2018); ha posto in rilievo la continuità e ripetitività della condotta realizzata evidenziando la lesione dell’affidamento che il datore di lavoro deve nutrire nei confronti del proprio dipendente che aveva approfittato di una posizione lavorativa che gli consentiva una libertà di azione di cui aveva reiteratamente abusato per scopi illeciti.
Tale ricostruzione del disvalore della vicenda, senza dubbio, non può rientrare nella fattispecie astratta del mancato rispetto delle procedure aziendali, come sostiene il ricorrente, che non ha precisato, peraltro, nella articolazione della censura a quale particolare fattispecie sanzionatoria della contrattazione collettiva il comportamento in questione avrebbe potuto essere in astratto sussumibile.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 giugno 2024