Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33291 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 33291 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 2302-2022 proposto da:
NOME COGNOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
ricorrente incidentale nonché contro
COGNOME
ricorrente principale – controricorrente incidentale avverso la sentenza n. 270/2021 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 11/11/2021 R.G.N. 238/2021;
Oggetto
R.G.N. 2302/2022
COGNOME
Rep.
Ud.19/11/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Fatti di causa
1.- La Corte d’appello di Ancona, con la sentenza in atti, ha respinto il reclamo principale proposto da COGNOME NOME ed accolto in parte quello incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE e, pertanto, in parziale riforma della impugnata sentenza, ha condannat o COGNOME NOME al pagamento della somma di € 415.123,46 €, oltre alle spese processuali in favore della datrice di lavoro RAGIONE_SOCIALE
Ha rilevato la Corte che al procedimento instaurato da COGNOME NOME avverso il licenziamento per giusta causa ai sensi dell’art. 1, commi 48 e ss. della legge n. 89/2012 nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, già sua datrice di lavoro, erano stati riuniti il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE nei confronti del lavoratore e quello di risarcimento del danno o di manleva proposto da RAGIONE_SOCIALE ( società appartenente al Gruppo COGNOME del quale faceva parte RAGIONE_SOCIALE nei confronti del medesimo COGNOME (quest’ultimo derivante da una precedente separazione di processi disposta in altro procedimento); inoltre nello stesso procedimento di licenziamento era stata azionata la domanda riconvenzionale di danno proposta da RAGIONE_SOCIALE nei confronti del lavoratore.
2.- COGNOME NOME era stato licenziato per giusta causa a seguito delle accuse a lui rivolte, secondo una prima contestazione effettuata il 20.4. 2016, per aver modificato al ribasso i prezzi di vendita di prodotti in favore di un unico specifico cliente, la società RAGIONE_SOCIALE mediante una condotta messa in atto durante un lungo lasso di tempo consistita nella correzione, nella fase finale della
vendita, del prezzo degli articoli venduti rispetto al listino aziendale. A tale contestazione faceva seguito quella del 5/5/2016 che rappresentava, secondo la Corte di merito, una specificazione della precedente essendo state dettagliatamente indicate le singole fatture in relazione alle quali era stata eseguita la denunciata operazione nonché specificate le modalità materiali attraverso le quali la stessa era stata posta in essere.
In ogni caso, ad avviso della Corte d’appello, la modifica della contestazione non aveva avuto rilievo alcuno essendo stato concesso un nuovo termine ex art. 7 Statuto dei lavoratori per la garanzia di difesa.
3.- In relazione alla prova dei listini aziendali disattesi dal Gaudino per favorire la società Orsini, la Corte d’appello sosteneva che i testi escussi e i documenti prodotti avevano chiarito quale fosse stata la reale condotta messa in atto dal lavoratore “consistita nell’aver modificato unicamente in favore del cliente menzionato e senza autorizzazione dei superiori gerarchici, i prezzi dello scatolame prodotto, preventivamente fissati con listino generale – cioè per quelle (scatole da magazzino) il cui prezzo era calcolato al metro quadro – oppure di volta in volta, vale a dire per le scatole particolari, di numero inevitabilmente più ridotto rispetto alle prime’.
‘Ne poteva sostenersi, come aveva fatto il ricorrente, che ciò era stato fatto in considerazione del margine di trattabilità dei prezzi, laddove invece, secondo il teste COGNOME, i prezzi erano determinati dal sistema informatico che li calcolava automaticamente. Precisando che per le scatole particolari il prezzo era determinato attraverso l’immissione del sistema delle loro caratteristiche e dimensioni, mentre per quelle di magazzino da vendere al metro quadro il prezzo veniva fissato dallo stesso titolare dell’azienda che verificava la quantità di
materia prima; una volta calcolato, il prezzo veniva indicato al COGNOME quale responsabile commerciale, con il compito di esporlo ai clienti compreso il titolare della COGNOME, nella fase di vendita dei prodotti.
Tale circostanza, oltre ad emergere dalle dichiarazioni testimoniali della COGNOME e dell’altro testo escusso, COGNOME, risultava inequivocabilmente della trascrizione del verbale di riunione del 2/10/2015 nel quale si leggeva in vari passaggi la lamentela manifestata da NOME COGNOME, amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE nei confronti del COGNOME riguardante la vendita alla Orsini di una scatola il cui prezzo originario era fissato in euro 2,60, fatturato, però, dopo l’intervento del lavoratore, in soli euro 0,60: a fronte di tale lamentela il ricorrente nulla opponeva riconoscendo anzi di aver spesso operato in tal modo in favore del cliente indicato (cfr trascrizione da pagina 7 in poi).’
4.- Pertanto, secondo la Corte di appello, andava condiviso il ragionamento assolutamente lineare del primo giudicante il quale, per un verso, aveva spiegato come da più punti della trascrizione risultasse l’ammissione del Gaudino su quanto contestatogli dal datore di lavoro, ossia di aver effettuato sulle bolle di vendita modifiche al ribasso del prezzo originario (cfr. pagina 6,14, 18,28, 29,30, 31,37, 41,73).
Per altro verso, le modifiche in oggetto, tutte di notevole rilevanza ed a vantaggio del cliente COGNOME aventi come unico referente il COGNOME medesimo, non dipendevano dalle mutazioni dei prezzi di listino (cfr. pagine 29, 30,31, 41, 55, 57, 8 e nemmeno da prassi aziendali in favore di detto cliente ) visto che qualche correzione di prezzo era intervenuta in passato saltuariamente e solo per importi minimi, non paragonabili certo all’entità e nel numero a quelli contestati a ricorrente (cfr pag. 25, 26, 27, 28, 29, 30) .
Il fatto che il COGNOME utilizzasse programmi informatici in uso alla azienda con la possibilità dei vertici societari di visionare e controllare il suo operato non escludeva la sua responsabilità, quand’anche i fatti fossero avvenuti con la diretta volu ta o colposa collaborazione di altro personale addetto ai controlli.
Era inoltre dimostrato che le operazioni contestate al COGNOME erano state rese possibili dal sistema informatico allora in uso che permetteva una modifica del prezzo successiva alla conferma di vendita attraverso un intervento sulla bolla di consegna recepita poi in automatico dalla fattura .
Era pure provato che l’accesso al sistema informatico al fine di effettuare le indicate modifiche era avvenuto in maniera abusiva da parte del COGNOME il quale per quanto emerso non aveva alcuna autorizzazione ad accedere a quella parte del sistema che permetteva tali operazioni .
5.- Per quanto riguardava la tempestività della contestazione disciplinare, avvenuta il 20.4.2016 ed il 5.5.2026, andava considerato che dalla trascrizione dell’incontro avvenuto il 2/10/2015 si ricavava la complessità della vicenda, la necessità di ulteriori approfondimenti contabili al fine di meglio delineare l’entità del danno subito e la effettiva sussistenza della responsabilità del lavoratore riconducibile ad un comportamento che successivamente si è scoperto protratto per alcuni anni.
Pertanto, in considerazione di quanto evidenziato e tenuto conto dei notevoli quantitativi di merce venduta ad opera del lavoratore, non appariva intempestiva la contestazione disciplinare intervenuta a distanza di poco più di sei mesi dal momento in cui il datore di lavoro si era accorto della esistenza di anomalie in ordine alle vendite effettuate, per mezzo del RAGIONE_SOCIALE alla società RAGIONE_SOCIALE
6.Relativamente alla domanda riconvenzionale la Corte d’appello ha osservato che era stata rituale la riunione del procedimento con quello di licenziamento in quanto questo si fondava sui medesimi fatti costitutivi posti a fondamento della domanda convenzionale .
Ciò posto, andava accolto il motivo di gravame incidentale in relazione al quantum dovuto dal lavoratore a titolo risarcitorio.
La condotta infedele del lavoratore era consistita secondo le prove in atti nella abusiva modifica nella bolla di consegna, a ribasso, del prezzo del prodotto venduto, con la conseguenza che la successiva fattura, emessa in automatico dal sistema gestionale della Ondulato, permetteva al cliente di pagare una somma inferiore rispetto a quella indicata dal listino di cui all’ordine iniziale effettuato.
Il danno indicato conseguente all’inadempimento del lavoratore rappresentava una perdita per la datrice di lavoro che era rimasta privata di quanto la cliente COGNOME si era già impegnata a versare a titolo di corrispettivo dei prodotti ordinati.
I documenti prodotti dalla reclamante incidentale e la perizia di parte, genericamente contestati dal lavoratore, avevano permesso di accertare che le differenze di prezzo non incassato in conseguenza della opera infedele del lavoratore ammontavano per il periodo indicato ad euro 593.033,51 così quantificato quindi il danno emergente subito dalla reclamante incidentale.
Il Collegio riteneva tuttavia che tale somma dovesse essere decurtata nella misura del 30% in ragione delle problematiche che notoriamente nelle compravendite commerciali sono solite sorgere nei periodi successivi alla loro esecuzione (ad esempio per prodotti difettosi, per consegne incomplete, eccetera) che portano a uno sconto sul prezzo finale – situazioni che in questo
caso presumibilmente, non sono state sollevate dall’acquirente al fine di evitare più approfonditi controlli con il rischio di scoperta del sistema congegnato in suo favore dal COGNOME – sia perché è molto probabile che gli ordinativi siano stati numericamente superiori visto il prezzo vantaggioso ottenuto per mezzo del lavoratore infedele.
Pertanto andava riconosciuta in favore della società la somma di € 415.123,46.
7.- Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME con dodici motivi ai quali ha resistito RAGIONE_SOCIALE con controricorso contenente ricorso incidentale con due motivi, ai quali ha resistito il lavoratore con controricorso a ricorso incidentale. Le parti hanno depositato memorie prima dell’udienza ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo di ricorso si deduce ex articolo 360 n.3 c.p.c. , violazione o falsa applicazione degli articoli 7-18 legge 300/1970 nonché degli articoli 2104, 2105, 2119 c.c. posto che contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata andava riconosciuta la mancanza del carattere di specificità della contestazione degli addebiti rivolta al COGNOME; in quanto la contestazione originaria era stata seguita da altra di natura inammissibilmente integrativa che aveva inciso in modo determinante sulla tipologia del comportamento inizialmente addebitato.
1.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile posto che mira in realtà al riesame della valutazione effettuata sulla specificità della contestazione, motivatamente riconosciuta dal giudice del merito in conformità a legge; v. sul punto Cass. n. 13667/2018:
‘ In tema di licenziamento disciplinare, la contestazione
dell’addebito ha lo scopo di consentire al lavoratore incolpato l’immediata difesa e deve, conseguentemente, rivestire il carattere della specificità; l’apprezzamento di tale requisito – da condurre secondo i canoni ermeneutici applicabili agli atti unilaterali – è riservato al giudice di merito, la cui valutazione è sindacabile in cassazione solo mediante precisa censura, senza limitarsi a prospettare una lettura alternativa a quella svolta nella decisione impugnata’.
Inoltre il motivo non censura l’autonoma ratio decidendi con la quale nella sentenza impugnata si osservava che ‘in ogni caso la modifica della contestazione non aveva avuto rilievo essendo stato concesso un nuovo termine ex articolo 7 Statuto dei lavora tori per la garanzia di difesa’.
Col secondo motivo si deduce ex articolo 360 n. 3 c.p.c. violazione o falsa applicazione degli articoli 1324 e 1362 e segg. c.c. in relazione agli atti unilaterali, nella specie la missiva di contestazione disciplinare e l’intimazione di licenziamento. La Corte non aveva utilizzato il criterio dell’intenzione del datore di lavoro nella interpretazione dei cosiddetti listini aziendali controfirmati dal cliente; né il criterio ermeneutico del senso letterale non essendo stato mai letteralmente contestato che la alterazione dei prezzi fosse a iscriversi al parametro contenuto nei listini elettronici.
2.1. Il motivo è inammissibile perché meramente assertivo a fronte della plausibilità dell’interpretazione operata della Corte e della sua rispondenza ai criteri ermeneutici negoziali. Come è noto, anche l’accertamento della volontà negoziale si sostanzia in un accertamento di fatto (tra molte, Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 12360 del 2014), riservato all’esclusiva competenza del giudice del merito (cfr. Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006); le valutazioni del giudice di merito soggiacciono sì, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato circa la verifica del
rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, ma la denuncia della violazione delle regole che presiedono all’interpretazione dei contratti non può certo risolversi nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella criticata (tra le innumerevoli: Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 12468 del 2004; Cass. n. 22979 del 2004, Cass. n. 7740 del 2003; Cass. n. 12366 del 2002; Cass. n. 11053 del 2000).
3.- Col terzo motivo si deduce la violazione, ex articolo 360 numero 4 c.p.c. , in relazione agli articoli 111, comma 6 Costituzione, 132 comma 2 numero 4, 115 c.p.c. , vizio di motivazione anche per travisamento della prova per avere la Corte d’appello affermato: a) che le due contestazioni rivolte al lavoratore rispettivamente in data 20.4.2016 e 5.5.2016 fossero da intendersi la seconda come specificazione della prima; b) che la responsabilità del ricorrente si desumerebbe dall’azione messa in atto c onsistita nell’aver modificato i prezzi unicamente a favore del cliente menzionato senza autorizzazione dei superiori gerarchici.
4.- Col quarto motivo si deduce ex articolo 360 numero 4 CPC in relazione agli articoli 111, 6 Costituzione, 132 comma 2, numero 4, 115 c.p.c., vizio di motivazione per travisamento della prova per avere la Corte d’appello affermato la responsabilità del ricorrente, escludendo l’assenza di prassi aziendali in favore di detto cliente visto che qualche correzione di prezzo era intervenuta in passato saltuariamente e solo per importi minimi non per paragonabili di certo all’entità nell’entità e nel numero a quelli contestati al ricorrente. L’informazione probatoria utilizzata ai fini del decidere sarebbe stata invece decisivamente contraddetta da plurimi atti processuali (testimonianza NOME, testimonianza d’NOME, trascrizione passo riunione del 2/10/2015 pagina 88-89;
esito relazione peritale del 12/1/2017 a firma COGNOME ; i listini aziendali controfirmati dal cliente).
In tale contesto la sentenza gravata appariva meritevole della censura sollevata perché la motivazione evidenziava un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili; mentre le risultanze richiamate costituivano evidenza inconfutabile della sussistenza di emergenze probatorie che pur assunte nel corso del giudizio non sono state oggetto di valutazione da parte della Corte ovvero che il dato probatorio assunto quale premessa per giungere all’affermazione di responsabilità assurgesse in realtà a prova di fatto inesistente.
4.1. I motivi terzo e quarto devono considerarsi entrambi inammissibili.
4.1. Anzitutto per la promiscuità dei vizi che sono stati dedotti e per la loro attinenza con la ricostruzione dei fatti e del merito della causa, nella parte in cui mirano, in realtà, alla rivisitazione degli accertamenti di fatto di cui offrono una ricostruzione alternativa a quella motivatamente adottata dai giudici di merito (in ordine all’asserita esistenza di una prassi aziendale in uso e consolidata da anni che aveva ad oggetto la modificazione dei prezzi delle merci con la condivisione dei responsabili delle diverse funzioni aziendali). Si tratta piuttosto di un tentativo di rimettere in discussione l’accertamento operato dal giudice di primo e secondo grado senza tener conto che ‘l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non
incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006,: conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014).
4.2. In secondo luogo non esiste alcun vizio di motivazione, né affermazioni inconciliabili in relazione ai listini di vendita: la motivazione adottata dai giudici di merito è chiara, razionale e lineare, posto che il lavoratore, secondo la sentenza impugnata,
modificava abusivamente il prezzo nella bolla di consegna. La motivazione contenuta nella sentenza consente quindi di individuare con completezza il percorso logico seguito dal giudice, senza palesare contraddizioni o illogicità manifeste o insuperabili, giustificando sul piano argomentativo la decisione assunta.
4.3. Va considerato altresì che lo scrutinio sulla motivazione è consentito, quale violazione dell’art. 132 c.p.c. ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4 c.p.c., nei limiti di garanzia del minimo costituzionale e con esclusione del controllo sulla sufficienza della motivazione stessa (cfr., per tutte, Cass. s.u. 8053/2014); laddove le deduzioni del ricorrente si risolvono invece in una censura sul merito, preclusa in cassazione.
4.4. Neppure esiste il vizio del travisamento della prova perché la Corte d’appello ha fondato la responsabilità del lavoratore sull’ammissione da parte del medesimo ricorrente dei fatti contestatigli e sul rilievo che egli interveniva alla fine – senza essere autorizzato, abusivamente e di nascosto – sulle bolle di consegna relative soltanto alle vendite con il cliente RAGIONE_SOCIALE
l’importo delle quali, modificato dal lavoratore, veniva poi recepito automaticamente nella fattura successiva.
4.5. Pertanto, le stesse questioni sollevate nei motivi non sono neppure decisive ai fini della causa e non sono state neppure dedotte in modo rituale, posto che viene invero evocato il ‘travisamento della prova’ al di fuori dei limiti posti dalle Sezioni unite di questa Corte che hanno chiarito: « Il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c. , a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale » (Cass. SS.UU. n. 5792 del 2024); concorso dei presupposti di legge che nella specie non ricorre, sia per quanto riguarda il vizio di cui al n. 4 dell’articolo 360 c.p.c., atteso che la motivazione impugnata certamente supera sul punto la soglia del cd. ‘minimum costituzionale’ e non presenta alcuna inconciliabilità sul piano logico, sia in ordine al vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., denunciato nella specie senza il rispetto degli enunciati prescritti da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014.
5.- Con il quinto motivo si lamenta la violazione, ex articolo 360 numero 5 c.p.c., per l’omesso esame circa un fatto decisivo per giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, posto che le pronunce di merito erano state emesse su presupposti fattuali differenti in merito ai listini ed alle risultanze del controllo
elettronico ricavabile direttamente dal sistema gestionale di riferimento per la determinazione dei prezzi di vendita. In ogni caso la Corte d’appello aveva omesso di esaminare una serie di atti, ovvero quanto emergeva dalla relazione peritale di parte, dalla prestata acquiescenza di controparte, dal fatto storico relativo alla falsità delle firme attribuite ad COGNOME, dal contenuto di due listini controfirmati, dal contenuto di passi della trascrizione del colloquio; dal contenuto delle risultanze emerse nel corso della prova testimoniale.
5.1. Il quinto motivo è inammissibile perché non rispetta il requisito della chiarezza e specificità; esso richiama plurimi elementi probatori la cui valutazione sarebbe stata omessa ex art 360 n. 5 c.p.c. con una deduzione che già di per sé non dimostra l’esistenza del vizio consistente nell’omessa valutazione di un fatto storico decisivo nei termini sopra indicati (Cass. SU n. 8053/14). Il motivo mira piuttosto alla contestazione ed alla rivalutazione delle risultanze istruttorie ed alla rivisitazione merito, insindacabile in sede di legittimità (Cass. 13676/16; Cass. 13625/18). Costituisce invero ius receptum che le censure motivazionali non conferiscono al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda, bensì la sola facoltà di controllare – sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale le argomentazioni svolte dal giudice di merito, cui “spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (ex multis, Cass. n. 742/2015).
5.3. In ogni caso la dedotta violazione non può sussistere perché la Corte ha valutato i fatti storici ascritti al ricorrente in relazione alla determinazione dei prezzi ed al suo intervento nella fase finale dell’operazione di vendita. La Corte di appello ha dato conto di avere esaminato gli elementi forniti ed ha effettuato una adeguata e completa disamina della realtà fattuale, dandone conto e rendendo, così, possibile il controllo sulla logicità del ragionamento sviluppato per giungere alla rassegnata decisione.
Col sesto motivo si deduce ex articolo 360 n. 4 in relazione agli articoli 111, comma 6 Costituzione, 132 comma 2 numero 415 c.p.c., vizio di motivazione anche per travisamento della prova avendo la Corte d’appello affermato che, nonostante l’uso di sistemi aziendali e la effettiva percezione dei suoi comportamenti da parte di altri operatori e superiori gerarchici, non avrebbe comunque impedito al ricorrente di adottare il comportamento censurabile.
Il motivo è inammissibile perché non si confronta né confuta la ratio decidendi . La Corte d’appello ha affermato infatti altro; e cioè che il lavoratore faceva il suo intervento di manipolazione dei prezzi in modo abusivo accedendo ad una parte del sistema al quale non aveva autorizzazione ad accedere. Soprattutto la Corte non ha mai affermato che il datore di lavoro aveva avuto effettiva percezione dei comportamenti in questione. Non esiste nemmeno alcun travisamento della prova, né alcun difetto di motivazione nei termini già chiariti nella disamina del terzo e del quarto motivo.
7.- Con settimo motivo si sostiene ex articolo 360 numero 4 c.p.c. la violazione degli articoli 111 comma 6 Costituzione 132 comma 2 n. 4, 115 e 191 e seguenti c.p.c. , nonché vizio di motivazione, con riguardo alla questione relativa agli accessi nel sistema informatico per il quale il ricorrente aveva chiesto
l’ammissione di una c.t.u. mentre la Corte avrebbe omesso ogni motivazione sul diniego della c.t.u.; salvo un generico rigetto di tutte le prove richieste dal ricorrente per difetto del requisito della indispensabilità della decisione.
7.1. Il motivo è inammissibile posto che per giurisprudenza consolidata l’ammissione delle prove appartiene al potere discrezionale del giudice di merito e nel caso di specie il diniego è stato correttamente motivato avendo la Corte sostenuto, a fronte della richiesta di assumere le prove non assunte in primo grado, che difettasse il requisito della indispensabilità della prova ai fini della decisione perché l’istruttoria svolta fin dalla fase sommaria compresa l’amplissima produzione documentale aveva permesso di accertare adeguatamente i fatti che avevano dato origine alla controversia.
8.- Con l’ottavo motivo si deduce violazione o falsa applicazione ex articolo 360 numero 3 e c.p.c. degli articoli 7-18 legge 300 del 70, negli articoli 2104, 2105 2119, degli articoli 1175 e 1375 c.c., dell’articolo 2697 c.c. nonché della disposizione pattizia ex articolo 39 CCNL dal momento che il fatto ex articolo 18 l.300/70 deve essere interpretato nel senso di ricomprendervi sia la sua materialità ma anche l’elemento soggettivo ad esso intrinsecamente connesso. Nel caso di specie, ricondotta la materialità del comportamento del ricorrente alla reale esecuzione delle direttive e delle disposizioni aziendali risultava la carenza dell’ elemento soggettivo sia in termini di dolo che di colpa, che la Corte d’appello non aveva approfondito adeguatamente. Lo stesso dicasi per le mancate considerazioni della normativa collettiva dell’articolo 39 del CCNL in relazione alle cosiddette sanzioni conservative. Inoltre la Corte era incorsa in una violazione o falsa applicazione di legge per avere disatteso il motivo afferente la carenza di tempestività del licenziamento nonostante i dati documentali consentissero di
approdare a tale conclusione atteso che la società datrice al 2/10/2015 dimostrava di possedere la certezza di tutti gli elementi fattuali della vicenda, come si ricavava dagli stralci della trascrizione della rammentata riunione.
8.1. Il motivo è inammissibile sotto svariati profili. Anzitutto per la eterogeneità delle tre distinte censure – che riguardano la sussistenza dell’elemento soggettivo, la violazione del criterio della proporzionalità, la carenza di tempestività della contestazione avvenuta a sei mesi di distanza dall’incontro del 2/10/2015 – accorpate nello stesso motivo in violazione del principio di specificità.
8.2. Le stesse censure sono comunque inammissibili perché riguardano gli accertamenti di fatto; ed inoltre perché non si confrontano con le rationes decidendi posto che l’elemento soggettivo è stato ritenuto presente ( avendo la Corte fatto riferimento ad una reiterata condotta abusiva, non autorizzata e fraudolenta); la proporzionalità è stata pure positivamente apprezzata avendo la Corte correttamente rilevato in conformità alla nozione di giusta causa ed alla portata dell’art. 2119 c.c. che l’aver co ngegnato il sistema descritto, ingannando il datore di lavoro e favorendo uno dei suoi clienti, con grave danno economico, rappresentava un grave violazione del legame fiduciario. Anche l’accertamento sulla tempestività della contestazione è stato operato dalla Corte ed esso è in linea con la consolidata giurisprudenza in materia di relatività della medesima nozione.
8.3. Per quanto riguardava la tempestività della contestazione disciplinare -effettuata il 20.4.2016 ed il 5.5.2026 – andava considerato, secondo la Corte territoriale, che dalla trascrizione dell’incontro avvenuto il 2/10/2015 si ricavava la complessità della vicenda, quindi la necessità di ulteriori approfondimenti contabili al fine di meglio delineare l’entità del danno subito e la
effettiva sussistenza della responsabilità del lavoratore riconducibile ad un comportamento che successivamente si è scoperto protratto per alcuni anni . E tale giudizio di fatto non può essere censurato in cassazione se non negli stretti limiti di cui agli art. 360 n. 5 c.p.c. nel caso di specie neppure ritualmente evocati nel giudizio.
9.- Con il nono motivo di ricorso si deduce ex articolo 360 n. 4 violazione o falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. in relazione al quale andavano esaminati due distinti ordini di violazione: A) per non aver la Corte d’appello dato conto dell’eccezione di continenza e litispendenza, sollevata in primo grado e poi come motivo di reclamo in appello, in relazione alla pendenza di altri giudizi aventi ad oggetto le stesse richieste economiche risarcitorie oggetto della domanda riconvenzionale sempre avanzate dalla società ex datrice di lavoro a titolo di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito; si faceva riferimento a due giudizi cosiddetti romani pendenti davanti al tribunale di Roma. Nella impugnata sentenza la Corte territoriale aveva omesso di dare conto dell’eccezione di parte ricorrente che non era stata neanche trascritta nei motivi di reclamo; ed aveva pure omesso ogni decisione sulla stessa eccezione esaminando l’unico profilo della inammissibilità della domanda riconvenzionale per difetto del requisito ex articolo 1 comma 56 legge 92 del 2012, che nulla aveva a che vedere con l’eccezione processuale proposta in relazione alla continenza o litispendenza. B.- Inoltre con lo stesso motivo si deduce l’omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità del reclamo incidentale che era stato sollevato dalla datrice di lavoro in ordine al quantum debeatur posto che l’impugnazione incidentale tardiva andava dichiarata inammissibile laddove l’interesse alla sua proposizione non potesse ritenersi insorto per effetto dell’impugnazione principale.
9.1. Le diverse censure sollevate con il nono motivo (A e B) sono entrambe inammissibili perché deducono l’omissione di pronuncia su questioni processuali prospettando la violazione dell’art. 112 c.p.c. che può operare direttamente solo per le domande ed eccezioni di merito. Inoltre, esse sono inammissibili perché avendo la Corte pronunciato nel merito del giudizio si deve desumere che abbia implicitamente rigettato le eccezioni sollevate dalla parte istante (Cass. n. 321 del 12/01/2016).
10.- Con il decimo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione degli articoli 115 c.p.c. in relazione agli articoli 1218, 1223 c.c., 2702 e seguenti c.c., articolo 2697 c.c.; in via subordinata, artt. 1246 n. 3 c.c., 545 comma 3 e 4 c.p.c. per avere la Corte d’appello accolto il reclamo incidentale della società intimata in ordine al quantum debeatur sul presupposto che il danno accertato fosse quello richiesto dalla COGNOME sulla base della documentazione prodotta ex adverso (fatturazione e relazione di parte ) con amplificazione del loro valore probatorio mediante ricorso esclusivo al principio della non contestazione ex articolo 115 c.p.c.; laddove invece l’onere di contestazione riguarda le allegazioni delle parti e non i documenti prodotti nella loro valenza probatoria la cui valutazione in relazione ai fatti contestati è riservata al giudice. In via subordinata, la Corte ha violato le norme indicate laddove ha ritenuto che la compensazione cosiddetta impropria tra i rispettivi crediti e debiti non fosse sottoposta alle disposizioni limitative ex articolo 1246 n. 3 c.c., 545, 3 e 4 comma c.p.c. con la conseguenza che il credito vantato dalla società intimata a titolo di risarcimento potesse compensare interamente quello spettante al dipendente a titolo di TFR (di importo minore) oggetto di opposizione al decreto ingiuntivo nell’ originario giudizio n.333/2017 R.G. Lav.
10.1.- Le censure sollevate con tale motivo devono ritenersi inammissibili perché non confutano la ratio della sentenza impugnata. La Corte di appello, in realtà, non ha attribuito valore esclusivo o decisivo alla non contestazione, bensì ha preso in considerazione i documenti costituiti dalla fatturazione relativa alle operazioni in questione ed alla perizia di parte, con il sovrappiù della non contestazione (ovvero della generica contestazione) ma non dei documenti, bensì delle allegazioni relative ai fatti in essi rappresentati (e cioè alle operazioni stesse).
10.2. Quanto alla compensazione impropria deve ritenersi che essa possa operare anche rispetto al TFR ( cfr. sentenza n. 4825 del 19/02/2019).
11.Con l’undicesimo motivo si deduce violazione ex articolo 360 comma 1 n. 4 in relazione agli articoli 111, comma 6 Cost., 132 comma 3, n. 4 c.p.c., 115 c.p.c., vizio di motivazione anche per travisamento della prova in relazione al parametro economico utilizzato ai fini dell’accertamento del danno, per avere la Corte d’appello dapprima affermato che il criterio cui fare riferimento era rappresentato dalle indicazioni economiche (prezzi) provenienti dallo stesso COGNOME in sede di ordini, mentre poi, nell’arco di poche righe, contrariamente a quanto permesso, ha quantificato in € 593.033,51 il danno economico che corrisponde però agli importi fatturati dalla intimata rispetto ai suoi stessi listini aziendali. Inoltre si deduce un travisamento di emergenze probatorie decisive non valutate ovvero distortamente valutate rispetto alla loro vera, documentata e compiutamente allegata consistenza, ovvero ancora del tutto inesistenti.
11.1. Il motivo è inammissibile per la promiscuità e contraddittorietà delle censure sollevate; inoltre non esiste alcun travisamento nei termini già detti né alcuna
contraddizione per avere la Corte di merito fatto riferimento alla differenza fra quanto concordato tra le parti (secondo listino) ed il prezzo finale abusivamente ridotto. In ogni caso non è questo il punto, che attiene semmai al fatto che non dovessero essere operate riduzioni successive e non autorizzate rispetto a quanto sarebbe stato concordato tra le parti.
Non esiste quindi alcuna contraddizione nelle affermazioni effettuate dalla Corte. Si fa riferimento sempre ai mancati incassi relativi al corrispettivo dei prodotti ordinati determinati secondo i listini. Gli importi fatturati sono esattamente quelli che COGNOME avrebbe dovuto pagare alla stregua delle bolle di consegna.
12.- Col dodicesimo motivo si deduce violazione ex articolo 360 n. 4 c.p.c. in relazione agli artt. 102 e 331 c.p.c. in relazione al litisconsorzio nella fase di gravame. Ha sostenuto il ricorrente che al giudizio n. 333/2017 R.G. (opposizione a decreto ingiuntivo per mancata liquidazione TFR) erano stati riuniti in primo grado il giudizio numero 66/2019 R.G. (impugnazione licenziamento) e quello iscritto al numero 964/2017 R.G. nel quale la RAGIONE_SOCIALE chiedeva accertarsi la responsabilità di COGNOME con condanna al risarcimento del danno; e in ogni caso chiedeva la condanna a manlevare la COGNOME rispetto alle domande risarcitorie eventualmente formulate dalla COGNOME.
In tale giudizio si costituiva con comparsa di intervento volontario anche la RAGIONE_SOCIALE chiedendo la riunione al procedimento rubricato al numero 1323 del 2016 R.G. lavoro. La sentenza di primo grado del tribunale del lavoro di Ascoli Piceno n. 167/2021 non conteneva però pronunce in merito a detto giudizio (tanto che nelle more RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello avverso la sentenza nel giudizio 356/2021 rg R.G. corte appello). La mancata integrazione del contraddittorio
in appello determinerebbe quindi la nullità dell’intero procedimento di secondo grado e della sentenza rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità. Sussisterebbero quindi tutti i presupposti per emettere declaratoria di nullità del procedimento di secondo grado e della sentenza per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e dell’interveniente in quel giudizio, RAGIONE_SOCIALE
12.1. Occorre rilevare che l’impugnazione in appello del COGNOME era limitata solo al giudizio relativo al TFR, al giudizio relativo al licenziamento e alla domanda riconvenzionale di danno, e nessuna questione di poneva in ordine all’altro giudizio su cui non c’è stata nessuna pronuncia. La RAGIONE_SOCIALE ha impugnato autonomamente la sentenza 167 del 2021 ed il relativo giudizio pende dinanzi alla Corte d’appello di Ancona rubricato al numero 356/2021 G. Lavoro ( secondo le affermazioni incontestate della controricorrente).
12.2. Il motivo è dunque inammissibile, posto che non si comprende quale sia il pregiudizio e l’interesse de llo stesso lavoratore a proporre tale censura, non avendo egli interesse a lamentare alcunchè in proposito ed in relazione a domande diverse (proposte contro di lui da soggetti diversi, fondate su titoli diversi di responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c.). Né il ricorrente chiarisce quale sarebbe stata, appunto, l’utilità pratica che egli avrebbe tratto da una integrazione del contraddittorio in fase di appello, laddove l’in teresse ad impugnare va sempre valutato con riguardo ‘al pregiudizio che la parte subisca a causa della decisione da apprezzarsi in relazione all’utilità giuridica che può derivare al proponente il gravame dall’eventuale suo accoglimento (Cass. n.13395/201 8; n. 3991/2020).
13.- Per tutti i motivi fin qui esposti il ricorso principale deve essere dichiarato quindi inammissibile.
Sintesi dei motivi di ricorso incidentale
13.- Con il primo motivo di ricorso incidentale si deduce violazione di legge ex articolo 360 n. 3 c.p.c. in relazione all’articolo 115 secondo comma c.p.c. atteso che la Corte d’appello dopo aver riconosciuto pienamente l’entità del danno subito dalla appellante incidentale del tutto inopinatamente decideva di applicare una decurtazione del 30% sull’importo richiesto deducendo apoditticamente che sulle transazioni commerciali in discorso si verificherebbero notoriamente problematiche.
14.- Col secondo motivo si deduce violazione di legge ex articolo 360 n. 3 c.p.c. in relazione all’articolo 112 c.p.c. posto che la sentenza era priva di statuizione in ordine alla domanda di condanna al pagamento degli interessi legali e della rivalutazione pur domandate; anche nella parte motiva non si riscontrava il minimo accenno alla domanda di pagamento di interessi e rivalutazione ed era indubitabile perciò che la corte di merito avesse completamente omesso una pronuncia sul punto che inevitabilmente ha determinato una violazione del principio di corrispondenza tra questo è pronunciato.
15.- Va rilevato preliminarmente che non può accogliersi l’eccezione di carenza di procura sollevata dal ricorrente nel controricorso al ricorso incidentale per il fatto che in essa non si faccia specifico riferimento al potere di proporre ricorso incident ale. Ed invero ‘ la procura apposta nell’unico atto contenente il controricorso ed il ricorso incidentale deve intendersi estesa anche a quest’ultimo, per il quale non ne è richiesta formalmente una autonoma e distinta, ed il suo rilascio, anche non datato, mediante timbro apposto a margine
o in calce a quell’atto le conferisce sia il carattere dell’anteriorità che il requisito della specialità, giacché tale collocazione rivela uno specifico collegamento tra la procura stessa ed il giudizio di legittimità ‘ (v. Cass 8798/2016).
16.- Il ricorso incidentale risulta invece inefficace; ed invero l’inammissibilità del ricorso principale determina l’inefficacia del ricorso incidentale, che nel caso di specie ha natura di impugnazione incidentale tardiva, atteso che il termine decorso dalla comunicazione della sentenza, dell’11.11.21, scadeva dopo 60 giorni il 10.1.22. mentre il controricorso contenente il ricorso incidentale è stato notificato il 17.2.2022.
17.- Le spese di lite, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza della ricorrente principale, che, stante l’inefficacia del ricorso incidentale, è riferibile alla parte ricorrente principale, giusta il consolidato principio di diritto di cui a Cass. n. 4074 del 2014, secondo cui: ‘In caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, il ricorso incidentale tardivo è inefficace ai sensi dell’art. 334, secondo comma, cod. proc. civ., con la conseguenza che la soccombenza va riferita alla sola parte ricorrente in via principale, restando irrilevante se sul ricorso incidentale vi sarebbe stata soccombenza del controricorrente, atteso che la decisione della Corte di cassazione non procede all’esame dell’impugnazione incidentale e dunque l’applicazione del principio di causalità con riferimento al “decisum” evidenzia che l’instaurazione del giudizio è da addebitare soltanto alla parte ricorrente principale’.
18.- Sussistono, in relazione alla ricorrente principale – e non anche alla ricorrente incidentale tardiva (cfr., Cass. n. 18384/2017) le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso principale e l’inefficacia di quello incidentale; condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 8000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in euro 200,00) e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 19.11.2024